Editoriale

Il cavaliere in crisi di narcisismo

Vittorio Testa

Ha scelto di giocare al Rischiatutto, il Cavaliere, che pur di tornare al centro dell’attenzione ha mostrato il pollice verso a Mario Draghi: colui che proprio reso forte del sostegno da parte di Berlusconi aveva accettato il ruolo di presidente del Consiglio. Che sia stata una decisione presa o meno in accordo con Salvini e la Meloni di per sé non conta un bel nulla. Si contano infatti sulle dita degli Ecatonchiri dalle cento mani le occasioni in cui Berlusconi ha stretto patti di ferro preelettorali con i due alleati per poi a elezioni avvenute decidere il contrario. In genere lo schema della vicenda poggiava sulla richiesta di Fratelli d’Italia a che i due alleati sottoscrivessero il giuramento di evitare accordi sia pur minimi con Berlusconi e la sinistra. Una follia di intenti robesperriani, impraticabile in politica, che è l’arte del possibile. Il culmine di queste sceneggiate si ebbe nel 2018, con i tre “alleati” che, guardantisi in cagnesco, escono dalla consultazione con il Presidente della Repubblica e davanti alle telecamere il Cavaliere si esibisce in una parodìa degna di un Totò, prestidigitando a uno a uno l’elenco delle cose fatto da Salvini: il quale, ricevuti dalla Lega più voti tra le forze alleate, pertanto acquisito lo status di leader del centrodestra, con una forzatura del tutto eccessiva aveva poi messo in piedi un governo sostenuto dalla Lega e dai Cinque stelle, forze che fino a un minuto prima si erano combattute in una gara di denigrazione addirittura ontologica, di condanna di tali forme di vita e scambio sonori schiaffoni: «Un mostro deforme nel corpo e nell’anima», l’aveva bollato il Cavaliere, il quale non nascondeva il disprezzo nei confronti del presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Certo il percorso politico di Silvio Berlusconi ha sempre avuto la pretesa di appartenere a una categoria di purezza filantropica: quella di un miliardario generoso, sessuomane invidiato da molti di noi maschietti italici, benedetto dai vertici ecclesiastici: sostenitore tenace, lui con alle spalle due matrimoni, due finte spose e centinaia di “innamorate” a gettone.
Combattuto dalla sinistra e dai liberali per la sua una posizione predominante nella gestione televisiva, trent’anni dopo il Cavaliere non è stato nemmeno sfiorato da un’eventuale riforma. Ma adesso il panorama politico è molto cambiato. Secondo le rilevazioni periodiche delle aziende sondaggistiche nel centrodestra è in atto una tellurica attività che ha cambiato i rapporti di forza. Fratelli d’Italia, il partito considerato dal Cavaliere un contenitore in prevalenza formato da nostalgici postfascisti non ancora degni della patente di democratici europei, è a quota 23 per cento.

La Lega perde di brutto ed è al 14 per cento. Questo travaso destrorso farebbe sì che la Meloni potrebbe uscire dallo stato di forza ibernata in un ruolo di testimonianza e diventare determinante nel gioco politico. Anche perché – e qui veniamo alla questione riguardante Berlusconi – Forza Italia avrebbe sì e no il 7 per cento. Una persona abituata alla gara politica frenerebbe la spinta a ergersi come protagonista senza il quale nessuno va da nessuna parte. Invece ecco un Cavaliere vittima di sé stesso pronto a impancarsi a unico capace di tattica e prospettiva, autentico deuteronomio. Con callida indifferenza alle promesse fatte e ai patti stipulati si muove sena ascoltare i non richiesti consigli degli amici più ragionevoli. Si è insuperbito: e gli secca che Draghi abbia raggiunto la stima di milioni di italiani. Il 50 per cento dei quali vorrebbe che continuasse a essere il premier. Il Cavaliere in crisi di narcisismo, nega persino che i due suoi alleati possano fare a meno di lui. Non è improbabile che un Silvio Berlusconi impaziente di tornare al comando si sia giocato d’amblé il futuro politico suo e di conseguenza quello di Forza Italia, la formazione nella quale è peraltro in atto una diaspora consistente in aperta ribellione contro il “fuhrerprinzip” con cui ha governato il partito: ascoltando molto ma non tenendo in minima considerazione che le ragioni di sé stesso. Un difetto che con il Cavaliere in forma fisica e mentale diventava a un pregio: senza vincoli assembleari in un movimento di cooptatati dal Satrapo di Arcore, Berlusconi era diventato il “pistolero più veloce del West”: personalizzava ogni questione e aveva trasformato ogni occasione di voto, persino quelle amministrative nelle grandi città, in un refrendum su di sé. Ma il giochino che ha incantato per trent’anni il Paese sembra aver perduto gran parte del fascino. E il 25 settembre rischia di essere la data che guasterà la festa del 29: quella dell’ottantaseiesimo compleanno di un Silvio Berlusconi non più al centro del mondo.