EDITORIALE

Stop Far West, più trasparenza: serve la legge sulle lobby

Ruben Razzante

Nelle ultime settimane è stata ventilata la possibilità che la legislatura ai nastri di partenza possa inaugurare una stagione riformatrice. Difendere lo spirito della Costituzione non vuol dire rinunciare a modificarne alcuni articoli, privilegiando il metodo della più ampia condivisione tra maggioranza e opposizioni, al fine di migliorare il funzionamento dello Stato e delle sue istituzioni. Tuttavia, le emergenze internazionali, destinate a moltiplicare le incertezze nella vita delle imprese e dei cittadini, lasciano presagire che potrebbe mancare, almeno inizialmente, la serenità per ipotizzare cambiamenti sostanziali nell’assetto dei poteri. Affrontare la quotidianità potrebbe rivelarsi una priorità totalizzante, oltre la quale il nuovo governo potrebbe non riuscire ad andare. Il caro energia e l’impennata dell’inflazione, oltre che togliere il sonno a milioni di italiani, renderanno particolarmente impervia la navigazione del nuovo esecutivo e richiederanno soluzioni incisive, senza le quali il futuro di aziende e famiglie potrebbe davvero essere a rischio. Ecco perché concentrarsi sui massimi sistemi, vale a dire sugli equilibri tra i poteri, potrebbe rivelarsi un vero e proprio miraggio.


Il tema delle riforme costituzionali resterà probabilmente sullo sfondo e difficilmente si creerà un clima ideale per affrontarlo, quanto meno nell’immediato.
Ma ci sono riforme che si possono approvare agevolmente, senza toccare la Costituzione, e con approccio bipartisan, perché intercettano esigenze ampiamente condivise. Sono riforme che non comportano costi e che anzi produrrebbero benefici tangibili sul funzionamento della macchina pubblica, contribuendo a renderla più trasparente e rispettosa del principio di rappresentanza degli interessi di tutti i cittadini. Tra le prime da inserire nell’agenda di governo c’è quella della regolamentazione delle lobby.
Se ne parla ciclicamente da quasi mezzo secolo, visto che in 46 anni, a partire dal 1976, sono stati presentati ben 97 disegni di legge che la prevedono. Fino all’anno scorso avremmo concluso amaramente che nessuno di essi è mai riuscito ad essere calendarizzato nei lavori parlamentari. Nel gennaio di quest’anno, però, c’è stata una svolta. La Camera ha approvato per la prima volta nella storia italiana una proposta di legge sul lobbying, che il Senato avrebbe dovuto votare nel mese di luglio. I venti di crisi, con lo scioglimento anticipato delle Camere, hanno fatto naufragare questo tentativo. Ora, però, è fondamentale che non si riparta da zero e che il nuovo Parlamento garantisca alla disciplina delle lobby un iter spedito, che consenta alla legge di vedere la luce in tempi brevi.

Il primo passo dovrà essere quello di spiegare ai cittadini l’importanza del provvedimento, affinché non appaia una questione puramente teorica e procedurale. Il termine lobby potrà sembrare distante dalla vita quotidiana delle persone comuni e confinato nell’angusto recinto del vocabolario per addetti ai lavori. In realtà ha a che fare con il metodo di assunzione delle decisioni pubbliche, che vanno a impattare sul destino dei cittadini e delle imprese. Fare una legge che obblighi i decisori istituzionali a rendere aperte e trasparenti quelle decisioni significa rafforzare i meccanismi di partecipazione democratica e alimentare un circuito di fiducia tra persone e istituzioni.
Ogni giorno i Parlamenti, i consigli regionali e comunali e gli altri organi espressione della volontà popolare, anche avvalendosi di funzionari e burocrati, sono chiamati a prendere decisioni importanti per il bene comune in tutti settori della vita pubblica. Sabato a Milano, nella sua prima uscita ufficiale dopo le elezioni, Giorgia Meloni ha evocato ed esaltato il ruolo prezioso dei corpi intermedi, vale a dire le formazioni sociali che si interpongono tra i cittadini e chi decide, facendo sintesi delle esigenze di un singolo settore o luogo della società civile e colmando il vuoto tra le persone e lo Stato apparato. Ascoltare con regolarità i corpi intermedi può essere, da parte di chi gestisce la cosa pubblica, un primo passo verso una visione meno verticistica e più democratica dei processi decisionali, sia in ambito legislativo che amministrativo, a patto che si stabilisca per legge il dovere di ascoltare tutti i portatori di interessi, vale a dire la totalità delle componenti di ogni singola categoria e di ogni settore produttivo. Una legge sulle lobby dovrebbe servire proprio a questo.

Per decenni nel nostro Paese le pressioni dei grandi gruppi hanno ispirato in via prevalente, quando non esclusiva, la preparazione delle leggi, che dunque hanno privilegiato gli interessi di pochi, trascurando quelli dei soggetti più deboli e meno rappresentati ai tavoli istituzionali. L’iter di assunzione delle decisioni pubbliche è apparso spesso opaco. Politici e funzionari statali si sono approcciati ai portatori di interessi senza osservare alcuna regola. Una sorta di Far West in cui i più potenti e spregiudicati hanno goduto di corsie preferenziali presso i decisori istituzionali e sono riusciti a condurre in porto battaglie particolaristiche e corporative, in barba ad ogni principio di pluralismo democratico.
Per riattivare un circuito fiduciario tra cittadini e istituzioni e per fare in modo che i primi tornino convintamente a fidarsi delle seconde è necessario riconoscere piena legittimità a tutti i gruppi di interessi leciti, coinvolgendoli nel processo di formazione delle decisioni pubbliche. Una legge sulle lobby dovrebbe prevedere come obbligatoria la presenza di tutte le voci. Il confronto inclusivo tra i diversi punti di vista su un singolo argomento oggetto di una scelta di interesse generale dovrebbe essere un metodo regolamentato, tutelato ed esteso, affinché la rappresentanza degli interessi sia piena.


Proprio come succede negli Stati Uniti e in molte parti del mondo, i professionisti che svolgono attività di lobbying per conto di imprese, associazioni di categoria e gruppi di interesse dovrebbero avere l’obbligo di iscriversi in un Registro della trasparenza, dichiarare le finalità delle proprie azioni di interlocuzione con i soggetti istituzionali e rendere pubblica l’entità delle risorse destinate alle attività svolte per avvicinare i decisori istituzionali. Una legge che prevedesse tutto ciò sarebbe assai utile anche per smontare il luogo comune sulle lobby, considerate nell’immaginario collettivo strumenti di corruzione e malaffare e invece da valorizzare come elementi indispensabili per realizzare una equilibrata «democrazia degli interessi».