EDITORIALE

Governo, tempi paradossali con la crisi alle porte

Domenico Cacopardo

Gli ottocenteschi ritmi istituzionali che governano o sgovernano l’Italia ci conducono a un’attesa paradossale del giorno in cui il nuovo governo si insedierà e non sarà ancora nel pieno dei suoi poteri per la procedura di conferimento della fiducia dal Parlamento (di fatto, ormai, monocamerale, visto che i provvedimenti si discutono in una sola sede parlamentare, essendo solo tabellare l’approvazione dell’altra sede: con tanti saluti alla lotta di tanti contro la riforma costituzionale di Renzi).
La data per l’ufficializzazione del gabinetto Meloni è fissabile dopo il 21 ottobre, giorno del vertice europeo, cui parteciperà per l’ultima volta (salvo una chiamata alla presidenza dell’Unione a scadenza di Ursula von der Leyen nel 2024) Mario Draghi. Ci saranno cioè voluti una trentina di giorni più quelli necessari per la fiducia per vedere, finalmente, conclusa l’attesa di un governo.


Nei confronti del gabinetto che verrà, la posizione corretta è un giudizio riservato. Ne abbiamo viste troppe negli ultimi 28 anni (inizio della seconda Repubblica nel 1994) per non aspettare i primi e i secondi passi di Giorgia Meloni e dei suoi ministri per esprimerci in maniera consapevole sulla nuova esperienza.
Giacché si tratta di una novità assoluta, un governo di destra-centro alla testa del Paese e questa volta per un ampio consenso popolare espresso, naturalmente, da coloro che sono andati a votare, il 58,18% degli aventi diritto. Questo significa che il 42% abbondante di consensi al destra-centro, nella popolazione vale poco più 21%: un valore che significa molto per Giorgia Meloni e per chi va al governo, tenuto conto che l’obiettivo primario che una coalizione al potere si deve porre è quello di allargare e consolidare il proprio consenso nel Paese.


Rimane il fatto che i tempi di costituzione del nuovo governo sono evidentemente incompatibili con le gravi emergenze interne e internazionali. Quante aziende avranno portato e porteranno i libri in tribunale in questi 27 giorni trascorsi dalle elezioni? E quanti giorni ci vorranno perché venga ufficializzata con un decreto la posizione del nuovo gabinetto rispetto all’emergenza bollette?
E sul piano internazionale, dove saranno le autorità italiane nel caso, possibilissimo, del precipitare della crisi? Il governo Draghi non potrà decidere alcunché e il nuovo governo non ci sarà e non valgono le vuote e retoriche parole sulla continuità giuridica e istituzionale.
In questi 11 giorni trascorsi dalle elezioni, la leader di Fratelli d’Italia s’è mossa con cautela, raccogliendo immediatamente la disponibilità istituzionale e - diciamolo pure - morale di Mario Draghi di far tutto il possibile per facilitare la transizione e il passaggio di consegne sui dossier caldi giacenti a Palazzo Chigi.


Il periodo di Draghi primo ministro sarà ricordato nei decenni come uno dei periodi meno infelici del Paese, per scelte politico-amministrative e per lo stile, come del resto si ricorda il tempo di Giovanni Giolitti durante il quale la lira (la liretta nazionale) faceva aggio sull’oro. Fa bene Giorgia Meloni a tenersi in mano tutte le carte e a non giocarne alcuna. L’attesa acuisce gli appetiti e ottenebra le menti già ottenebrate di alcuni suoi alleati, di fatto pronti ad accettare ciò che verrà loro offerto (con equilibrio, naturalmente) e a non attuare fragili minacce di appoggio esterno.
Importante, in sostanza, è rimanere ancorati alla realtà, come ha invitato a fare il presidente della Confindustria Carlo Bonomi, a non inseguire impossibili slogan elettorali (prepensionamenti e flat tax) e a ragionare sui dati di fatto.
Il divorzio di alcuni politici con la situazione reale e le sue esigenze ha già prodotto sconfitte elettorali e altre ne produrrà se si insisterà sulle illusioni. Il realismo è sempre stata la bussola dei politici di qualità.