Editoriale

Uno stile sobrio e tante sfide complicate

Domenico Cacopardo

L'immagine di una Fiat 500 bianca che entra, sparuta, nell’imponente cortile del Quirinale rimarrà impressa nella mente di coloro che hanno seguito in televisione la giornata di ieri. E degli italiani che oggi staranno sfogliando i giornali. Un’immagine non casuale ma emblematica di un approccio sobrio e minimalista nell’assunzione della massima carica del potere esecutivo nazionale. Coerente con il comportamento austero adottato in questi giorni di consultazioni e di trattative tra i partiti.

Se aggiungiamo la constatazione che la premier è la prima donna che assume questo incarico nella storia del Paese ab ovo -sin da quando cioè uno stato unitario s’è realizzato dopo il Risorgimento e da quando è nata, dopo la Resistenza, la Repubblica-, questo 21 ottobre 2022 deve essere considerato una data storica.
Non bisogna farsi fuorviare dall’immagine e dall’idea di una donna al comando: Meloni proviene da una storia politica e personale seria, nella quale la sua determinazione e il suo impegno totale hanno fatto sì che un partito di dimensioni testimoniali diventasse il partito relativamente più votato, quello che ha conquistato nelle urne la primazia della coalizione di destra-centro, vincitrice del confronto elettorale.
Difficile, oggi, formulare un bilancio o un giudizio sulla base della composizione del governo. Difficile ed erroneo, visti gli appuntamenti cruciali che aspettano il gabinetto, rispetto ai quali il futuro è tutto da scrivere, anche in relazione a un programma elettorale che ora va incrociato con la realtà e con le emergenze più gravi. Per quanto possibile e con tutte le riserve del caso, possiamo ritenere che questo governo sia il governo di Giorgia Meloni. E non perché i partiti non abbiano influito sulla sua composizione, ma perché la medesima dinamica e la tempistica della conclusione dell’iter formativo hanno mostrato che chi è diventato ministro lo è diventato per volere della premier, cui dovrà rispondere della sua attività e dei suoi comportamenti.
Matteo Salvini non cesserà di tentare il solito gioco, già sperimentato anche con quel gentiluomo di Mario Draghi, di un piede dentro e di un piede fuori, ma gli sarà difficile condurlo proprio per lo sbarramento costituito dalla nuova inquilina di Palazzo Chigi.
Se il budino si giudica dopo averlo assaggiato, non entreremo nel merito dei nomi dei nuovi ministri: tranne alcuni gli altri sono sconosciuti al grande pubblico e mostreranno le loro qualità e le loro manchevolezze strada facendo. Né oggi, dalla girandola delle loro dichiarazioni potremmo trarre conclusioni.
Quello di Giorgia MelonI non è un governo buono per tutte le stagioni. È invece un governo molto caratterizzato, per i nomi di alcuni ministri che indicano e richiamano battaglie politiche condotte negli anni. Siamo stati abituati per troppo tempo a posizioni fungibili e intercambiabili, a personaggi poco caratterizzati buoni per ogni stagione. Ad alleanze tra partiti antagonisti o, comunque, distanti e divergenti. Questo modo di governare è terminato: viene introdotto così un elemento di chiarezza e di responsabilità, nel senso che ogni italiano sarà stimolato a scegliere la propria posizione rispetto alla politica del governo, acquisendo in tempi ragionevoli tutti gli elementi che occorrono a formarsi un giudizio.


Rimangono di fondo i problemi di sempre, rispetto ai quali si misurerà soprattutto Giorgia Meloni: l’Europa e il ruolo dell’Italia nella troika di governo (Francia, Germania, Italia e, vicina, la Spagna), la posizione nell’Alleanza atlantica e rispetto all’aggressione russa all’Ucraina; la gestione della crisi energetica, di cui le bollette per aziende e famiglie sono l’aspetto macroscopico, ma non unico (il rigassificatore di Piombino è una cartina di tornasole sulla volontà del governo di contribuire all’autonomia energetica del Paese) e dell’inflazione; la questione del deficit di bilancio con l’attuale sostegno della Bce; e tanti altri aspetti della vita economica e sociale, compresa la vexata questio del reddito di cittadinanza.
Un’ultima notazione merita il nome di Carlo Nordio: egli può segnare il ritorno del garantismo sotto il cielo d’Italia e il ristabilimento dei confini costituzionali tra i poteri dello Stato. Un’esigenza di fisiologia democratica, troppo a lungo negletta.
Rifiutando di intrupparci nelle schiere dei laudatores e dei damnatores, rifiutando finché sarà possibile di essere succubi del pregiudizio ideologico, continueremo a svolgere il nostro servizio alla Gazzetta e ai suoi lettori con indipendenza e rispetto della verità. Come sempre c’è stato garantito. Il presidente del consiglio dei ministri d’Italia è il presidente del consiglio degli italiani tutti. Mario Draghi, cui va il ringraziamento caldo degli italiani che hanno seguito il suo lavoro, lo è stato. Spetterà a Giorgia Meloni, nel rispetto delle diverse posizioni, onorare questa asserzione, quest’esempio.
Non taceremo in caso contrario.
www.cacopardo.it