EDITORIALE
La Cina e la nuova via della Seta
La seta non fa rumore. E, silenziosa, la Cina si sta muovendo su quella «nuova via della seta» uscita dai radar mediatici ma in continua, sotterranea ebollizione, capace di adattarsi alle crescenti turbolenze intercontinentali. La «nuova via della seta», si ricorderà, è in sostanza il piano di Pechino per espandersi commercialmente nel mondo, sviluppando infrastrutture di trasporto e logistica. «Yì dài yì lù» (un nastro una via, come lo chiamano in Cina) si sviluppa attraverso direttrici di mare, di terra e di accordi con aree e Paesi anche non storicamente legati alla Cina, se non addirittura ostili all’espansionismo cinese, come Australia e Corea del Sud. La stessa Italia ai tempi del primo governo Conte aveva steso il tappeto rosso a Xi Jinping. Dal clamore del 2019 l’attenzione è un po’ scemata dalle nostre parti ma il Dragone, che deve pure fare i conti con il Pil in discesa e un debito sempre più preoccupante, continua a lavorare lungo quelle direttrici, e noi faremmo bene - anziché perderci nell’ombelico di casa, sospesi fra Predappio e i rave party - a guardare con più attenzione cosa sta avvenendo sullo scacchiere internazionale.
A partire da Amburgo: la compagnia statale cinese Cosco, un colosso della logistica con oltre 400 navi, sta per mettere un piede in uno dei porti strategici del nord Europa. In particolare sul terminal amburghese di Tollerort, uno dei quattro del grande porto tedesco e uno dei tre del gruppo Hhla. Inizialmente si era parlato del 35%, quota che avrebbe dato ai cinesi addirittura diritto di veto, ma dopo le vibranti proteste in Germania, si sarebbe trovato l’accordo sul meno compromettente 24,9% che non consente partecipazioni strategiche. Però Cosco, intanto, ad Amburgo ci entra. E il terminal portuale in questione controlla a sua volta il 51 per cento di una delle piattaforme logistiche del Porto di Trieste, meta dichiarata fin dall’inizio nel piano della «nuova via della seta». È vero che un pericolo imminente di controllo non è all’orizzonte, ma il silenzio della nostra politica è preoccupantemente assordante.
Non è un caso la scelta di Amburgo per due motivi. In primo luogo le vie di terra della Road and Belt Initiative (questo è il nome in inglese: ognuno ha il suo…) sembrano meno percorribili di qualche anno fa perché l’instabilità in Afghanistan, le posizioni sempre più isolate dell’Iran e la guerra in Ucraina rendono il corridorio asiatico decisamente ostico. Ecco che la via del mare attraverso Suez con sbocchi nel Pireo (già in mano cinese) e Trieste apre anche la rotta verso nord, quindi Rotterdam e gli altri porti del nord Europa. In secondo luogo sta un po’ cambiando il paradigma industriale cinese: insieme alla retromarcia sui diritti civili a favore di un comunismo più ortodosso e retrogrado, Xi Jinping ha inferto diversi colpi negli ultimi anni alla digital economy, che ha perso appeal a Pechino, riscoprendo i valori della manifattura. Paiono in difficoltà Alibaba e WeChat (di recente ha fatto discutere il sorpasso in termini di capitalizzazione da parte di una distilleria sul primo social cinese). Un ruolo fondamentale nella manifattura cinese lo gioca l’automotive che, azzerato il gap tecnologico verso i motori endotermici, sfruttate a dovere le sinergie con l’Occidente (Dongfeng ora si sta sfilando da Stellantis) e forte di un mercato interno gigantesco che ammortizza costi e investimenti, è pronto a colonizzare i mercati occidentali, con colossi del calibro di Byd (Build Your Dreams, qui si pensa in grande…) e Saic mai così agguerriti non solo nelle proposte commerciali ma anche nell’offerta di prodotto.
È un altro tassello da inserire nel piano, un piano che conta già un migliaio di convogli merci che ogni mese da Wuwei, dopo 9mila km di rotaie, arrivano dritti a Duisburg. Siccome i cinesi, per quanto in difficoltà su molti fronti (come spiegato molto bene su queste colonne da Augusto Schianchi) non fanno nulla per caso, sarebbe utile cominciare a connettere tutti i puntini sulla via della seta per farsi trovare pronti e difendere gli interessi continentali.
Come sempre l’Europa sta invece dando dimostrazione di avere troppe teste. Soprattutto la Germania di Scholz, che da mesi sta giocando in proprio partite decisive, da quella del gas con la Russia agli accordi proprio con i cinesi (venerdì il Cancelliere darà a Pechino). È di pochi giorni fa la notizia che il governo tedesco sarebbe pronto ad autorizzare l’acquisizione della fabbrica di microchip dell’azienda Elmos di Dortmund da parte del concorrente Silex, società svedese interamente controllata dal gruppo cinese Sai Microelectronics.
E l’Olanda? Dal canto suo, alza la voce nei confronti dell’operazione di Cosco ad Amburgo soprattutto perché teme di perdere centralità negli attracchi del Nord Europa.
Insomma, il Dragone sarà imbolsito ma sembra reagire alle difficoltà interne muovendosi con strategie mirate sulla via della seta, mentre l’Europa di fronte a ogni criticità, siano i vaccini o l’energia, si dimostra incapace di muoversi compatta.