Editoriale
La figuraccia di Lavrov e la condanna del Nobel
Solo i grandi comici come Charlie Chaplin erano riusciti a fare ridere della guerra. Ora, però, c’è riuscito uno che di mestiere fa il ministro degli Esteri - attenzione! - non di uno staterello qualsiasi, bensì di una superpotenza mondiale. Tutto immortalato in un video che in un lampo ha fatto il giro del mondo e in cui si vede (e soprattutto si sente) il capo della diplomazia russa, Sergey Lavrov, dire testualmente che “La guerra è stata lanciata contro di noi usando il popolo ucraino” scatenando così le risate e gli ululati di dissenso del pubblico presente. Anche in questo caso, non un pubblico purchessia dato che Lavrov stava parlando a Nuova Delhi alla super qualificata platea internazionale di Vip della Raisina Dialogue, una specie di Davos asiatica organizzata quest’anno a margine del G20 svoltosi nei giorni scorsi nella capitale indiana.
Povero Sergey. Da quando fu svegliato nel cuore della notte per scoprire che Putin aveva dato l’ordine di invadere l’Ucraina senza neanche avvisarlo, gli toccano i compiti più ingrati. A cominciare dal dovere viaggiare in lungo e in largo nel tentativo di giustificare l’ingiustificabile: un po’ come quei patetici orsi ammaestrati (l’orso è anche l’animale simbolo dei russi) che un tempo si esibivano nei paesini replicando sempre lo stesso numero.
Se al posto di Sergey Lavrov ci fosse stata la sua pugnace portavoce, quella Maria Zakharova che si diverte a dare del “figlio di p…” a chi osa pensarla diversamente dal “boss di tutte le Russie” (Putin, non Lavrov), probabilmente il servizio d’ordine del simposio indiano sarebbe stato costretto a intervenire. Lavrov, però, ingoiato al volo lo smarrimento iniziale, ha ripreso a sciorinare come se nulla fosse la solita tiritera dell’Occidente responsabile di tutti i mali passati, presenti e futuri del Pianeta.
I tanti che ormai non ne possono più di tutti questi ghirigori in salsa geopolitica e geoeconomica e hanno la testa rivolta al caro vita e alle conseguenze di un infinito protrarsi di questa maledetta guerra, saranno portati a liquidare l’episodio con una alzata di spalle. Comprendendone e per certi versi condividendone perfettamente sia le ragioni che lo stato d’animo, vorrei solo fare notare che le dichiarazioni del numero due del Cremlino sembrano la fotocopia di quanto si può leggere e ascoltare ogni giorno semplicemente accendendo la Tv, sfogliando i giornali, navigando su Internet e pure incrociando uno dei tanti cortei per la pace tornati improvvisamente a spuntare per le nostre strade. Non è forse vero che strati consistenti di opinione pubblica, in modo particolare in Italia, sembrano avere scelto la linea - se va bene - di una sostanziale equidistanza fra Mosca e Kiev e - se va male - quella della Nato e della Ue indicati quali effettivi responsabili della guerra (che io chiamo e continuerò a chiamare con il suo vero nome, cioè “invasione”) in corso in Ucraina? Aggiungo che il fenomeno, fotografato anche dai sondaggi, è destinato ad allargarsi seguendo lo stesso identico schema già ampiamente sperimentato con i no vax, che infatti tutte le indagini demoscopiche indicano come il nucleo portante dell’onda cosiddetta “pacifista” che vorrebbe sistemare la questione costringendo gli ucraini ad arrendersi alla barbarie putiniana (in parole povere abbandonandoli al loro destino) in cambio di una non meglio precisata e nessuno sa quanto durevole fine delle ostilità. Al riguardo, sarà interessante capire che cosa intenda realmente la neosegretaria Pd, Elly Schlein, con il suo annunciato «sosterrò l’Ucraina, ma da pacifista». Come se il suo predecessore Letta, che con Giorgia Meloni e Mario Draghi è stato il principale pilastro dell’appoggio italiano “senza se e senza ma” a Kiev, fosse invece un noto e pericoloso guerrafondaio. Lo capiremo comunque molto presto al momento del voto alla Camera sulla mozione per la fine dell’invio di armi alla resistenza ucraina preparata di persona dal leader 5Stelle, Conte.
Ma, per tornare agli umori che si respirano in giro, è chiaro che il martellante battage contro «quel comico ebreo» di Zelensky, variamente declinato nel berlusconiano “Io con quel signore non ci parlerei” e nell’accusa strisciante di starsene al calduccio mentre i suoi soldati e il suo popolo vengono macellati (ma allora, come mai non se l’è data subito a gambe rifugiandosi all’estero con appresso la famiglia e una bella valigiata di soldi come fatto invece dall’ex presidente afghano prima ancora che i Talebani si riprendessero Kabul?), è assolutamente chiaro, dicevo, che quel messaggio che sembra uscito dalle grinfie della già citata Zakharova ha, per dirla in gergo, «sfondato». Grazie anche a una narrazione “no war” che, a forza di gridare «Pace, Pace!», ha troncato ogni legame (e qui cito quanto scritto giorni fa sul “Corriere della Sera” da Ernesto Galli della Loggia) con «la guerra in difesa della patria, quella di cui qui si tratta e che gli ucraini stanno combattendo e che anche la nostra Costituzione definisce un dovere sacro di ogni cittadino».
Chi, invece, di rinunciare ai propri ideali di libertà, giustizia, democrazia e pacifica convivenza fra i popoli non ci ha mai pensato neppure per un momento, è l’attivista per i diritti umani bielorusso e Nobel per la Pace 2022, Ales Bialiatski. La solita corte fantoccio messa su dal quasi trentennale dittatore oltre che principale alleato di Putin, Lukashenko, ha appena condannato il sessantenne Ales (che già si trovava in prigione dal 2021) a dieci anni di carcere duro con l’accusa di avere promosso e finanziato le proteste contro il regime. Prima di farci sommergere anche noi dalle risate, è troppo chiedere al “popolo della pace” di scendere in piazza per chiedere l’immediata liberazione del “Mandela” bielorusso, possibilmente senza inalberare certi cartelli grondanti razzismo contro quell’odioso “comico ebreo” di Zelensky?