EDITORIALE
Trump imputato e la campagna piena di veleni
La notizia dell’incriminazione di Donald Trump è clamorosa. La procura di Manhattan lo ha, infatti, incriminato per il pagamento di 130.000 dollari alla pornostar Stormy Daniels per farla tacere sulla loro relazione. Il Tycoon diventa così il primo ex presidente a essere incriminato nella storia americana. La decisione del gran giurì, a questo punto, è destinata ad avere ripercussioni senza precedenti sulla politica statunitense oltre che a influenzare la corsa alla Casa Bianca per il 2024, anche se non fermerà quella del Tycoon. Infatti, Trump, anche se sottoposto a processo, un processo che non avrà tempi brevi, potrà candidarsi e anche vincere se gli elettori americani gli concederanno la fiducia che gli hanno negato nel 2020.
Le accuse precise mosse nei suoi confronti non sono ancora state rese note, almeno al pubblico. La Cnn parla di oltre 30 capi di accusa di frode aziendale. Ma tutto sarà più chiaro quando martedì Trump arriverà a New York e si consegnerà alla procura per l’udienza di convalida dell’incriminazione. In teoria dovrebbe essere portato in tribunale in manette, ma trattandosi di un ex presidente probabilmente le modalità saranno molto più soft. Non potrà comunque evitare di essere fotosegnalato e gli saranno prese le impronte digitali, anche se, pagata la cauzione, non dovrebbe avere altre restrizioni alla libertà personale. Sicuramente, i suoi avvocati lo hanno già affermato, si dichiarerà non colpevole e non chiederà alcun patteggiamento. Anzi probabilmente chiederà che le accuse vengano archiviate prima di arrivare a dibattimento. Anche perché le prove a suo carico, che si fondano sulla testimonianza del suo ex avvocato «dei lavori sporchi» Michael Cohen, sembrano molto circostanziate. In pratica il Tycoon avrebbe usato soldi della sua campagna elettorale per pagare il silenzio della pornostar. Ma i reati che si potrebbero configurare sono molto difficili da dimostrare in aula anche con prove valide e quindi molti scommettono che alla fine non si arriverà a un verdetto di colpevolezza.
Non per questo i guai per Trump sono finiti. In realtà, infatti, quello della procura di Manhattan è solo la prima inchiesta su di lui che si trasforma in un processo. Fra i procedimenti contro di lui ci sono infatti anche quello della Georgia sulle interferenze elettorali, e quelle federali sui documenti riservati trovati a Mar-a-Lago e sull'assalto al Capitol del 6 gennaio 2021. Senza contare le cause civili sugli asset gonfiati. Le autorità di New York accusano Trump di aver mentito a banche e assicurazioni gonfiando il valore dei suoi asset di miliardi di dollari, chiedendo indennizzi per 250 milioni di dollari. Insomma, per i prossimi anni Trump andrà spesso in tribunale.
Ma il problema non è giudiziario. Almeno non è solo giudiziario. Un ex presidente e candidato alla presidenza che passa il suo tempo nei tribunali è comunque un’anomalia politica. Soprattutto un uomo politico come Trump che è anomalo di suo. E in effetti il Tycoon ha già dato un assaggio di quello che potrebbe succedere, attaccando con toni durissimi, quasi eversivi, la procura di Manhattan e il procuratore capo Alvin Bragg. Trump dice che Bragg, che è democratico e di nomina politica come tutti i procuratori negli Stati Uniti, è la longa manus di Joe Biden ed è pagato da George Soros, l’ex finanziere e filantropo che è la bestia nera di tutti i cospirazionisti di destra che lo accusano di ogni nefandezza e non gli perdonano – e questo dice molto sull’antisemitismo neppure latente della destra radicale – di essere ebreo.
Le accuse di Trump, poi, in qualche modo vengono rilanciate da molti esponenti – non tutti, per fortuna - repubblicani, anche perché l’ex presidente ha ancora un largo seguito nella base elettorale del partito e nessuno vuole mettersi contro di lui. Nemmeno il potentissimo governatore della Florida Ron DeSanctis, odiato da Trump perché sta tentando di fargli le scarpe nella corsa alla Casa Bianca, ha detto una parola di moderazione. Anzi ha affermato che la Florida non concederà mai l’estradizione di Trump verso New York. Chiaramente non ce ne sarà bisogno perché l’ex presidente ha già trattato la sua consegna. Ma questa roboante presa di posizione fa capire quanto timore ci sia tra i repubblicani quando si tratta di andare contro Trump. Se nemmeno «Ron DeSanctimoniou» («Ron l’ipocrita» come lo chiama l’ex presidente) prende le distanze da Trump sarà difficile che qualcun altro nel partito lo faccia. La prossima sarà quindi una campagna elettorale piena di veleni. Forse ancora di più di quella del 2020 che è finita con l’assalto a Capitol Hill.