"CONTROMANO"
UK, così l'automotive può dare una mano a Sunak
Chi l'avrebbe mai detto: pare che toccherà all'automotive - l'industria messa potenzialmente più a rischio dalla Brexit - rilanciare l'incerta economia britannica. Con il voto del 2016 Londra si era posta ai margini dell'Europa creando non pochi problemi all'industria automobilistica, in particolare quella giapponese, che aveva scelto il Regno Unito come hub per il vecchio Continente.
I contraccolpi sono stati pesanti (Honda ad esempio ha chiuso dopo 36 anni lo stabilimento di Swindon) ma pare che l'aria stia cambiando. Ha iniziato Tata, il colosso indiano proprietario di Jaguar e Land Rover (alla faccia del contrappasso coloniale...) stanziando 4 miliardi di sterline per produrre batterie in UK anziché in Spagna, pochi giorni fa è seguito l'annuncio di Nissan, che realizzerà nelle linee di montaggio di Sunderland - nel Nord dell'Inghilterra - due modelli di vetture elettriche, Juke e Qashqai.
Lo stanziamento previsto è di 1,12 miliardi di sterline e il progetto dovrebbe dare lavoro a seimila persone. Ossigeno puro per l'automotive britannico che nel corso dei decenni ha perso il controllo di tutti i suoi storici brand (di Jaguar Land Rover abbiamo detto, Vauxhall è di Stellantis, Mini e Rolls Royce sono di Bmw, Bentley è nelle mani di Volkswagen e MG addirittura dei cinesi) ma ha mantenuto una filiera produttiva importante che contribuisce per 71 miliardi di sterline al Pil nazionale. E potrebbe aprire a sviluppi futuri la partnership che Londra ha stretto con la Corea del Sud (grande produttore di auto) sul libero scambio commerciale, in particolare di semiconduttori.
Insomma, l'automotive potrebbe dare una mano ai malandati Tory del premier Rishi Sunak che - a proposito di Brexit - deve fare i conti con il record di ingressi in UK (saldo di 745mila nel 2022, e 672mila nei primi sei mesi dell'anno): magari finiranno proprio a produrre auto nel Regno Unito...