Editoriale

Da Salis a Vannacci ma che Europa diventerà?

Pino Agnetti

Dunque, il dado (anzi due) è tratto. Il generale Roberto Vannacci e la maestra Ilaria Salis saranno candidati alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo dell’8 e 9 giugno prossimi. Il che significa che, fra i futuri 76 eurodeputati scelti direttamente dagli elettori italiani, potrebbero esserci anche loro: il parà di origini spezzine autore del best seller dell’anno «Il mondo al contrario» e l’insegnante monzese detenuta e in attesa di giudizio in Ungheria (il primo in corsa per la Lega e la seconda per la lista Alleanza Verdi e Sinistra).

Come si dice, in questi casi? In bocca al lupo! Ovviamente non solo a loro, anche se entusiasma ben poco sapere che con 42 loghi - 42! - presentati da una miriade di forze politiche in larghissima parte minori o di “disturbo” il nostro Paese si sia già confermato recordman continentale delle ammucchiate. In ogni caso, meglio concentrarsi su idee e programmi dei nostri aspiranti “euronorevoli”. Un primo saggio ce lo ha fornito proprio il generale Vannacci attraverso una intervista rilasciata al quotidiano «La Stampa». L’alto ufficiale - che anche dopo essere stato candidato ufficialmente da Salvini ha confermato di non avere la minima intenzione di dimettersi - ha scelto di giocare come sempre «a tutto campo».

Eccone alcuni scampoli (riportati rigorosamente alla lettera). Mussolini? «Uno statista, come lo sono stati Cavour e Stalin». I disabili? «Credo che delle classi con caratteristiche separate aiuterebbero i ragazzi con grandi potenzialità a esprimersi al massimo e anche quelli con più difficoltà verrebbero aiutati in modo peculiare». L’aborto? «Una infelice necessità a cui le donne sono costrette a ricorrere. Non credo che sia un diritto». L’antifascismo? «Trovo che non abbia alcun senso. Non vedo perché sia necessario dotarsi della patente di antifascista per esprimere le proprie opinioni». Gli italiani? «Hanno la pelle bianca».

Chi ora si aspettasse da me un commento su queste come su altre frasi dell’intervista, temo che resterà fortemente deluso. Farò solo una eccezione per la prima (il generale ricorre all’espediente retorico francamente un po’ frusto della definizione di «statisti» presente nei dizionari come di «uomini che hanno occupato posizioni di Stato»). Per osservare che, seguendo lo stesso criterio, la nobile qualifica andrebbe attribuita senz’altro anche a Hitler e in tempi più recenti al cileno Pinochet, al nordcoreano Kim Jong Un, agli iraniani e quasi omonimi Khomeini e Khamenei, al venezuelano Maduro, al bielorusso Lukashenko fino ovviamente a Putin: davvero una gran bella compagnia di «statisti»! Ma se non mi dilungo ulteriormente nel commentare il «Vannacci pensiero», non è certo per una sorta di opportunistico timore. È perché, terminata la lettura, mi è venuto da chiedermi: e l’Europa? Dov’è finita l’Europa? Eppure, un generale candidato al Parlamento europeo qualcosina avrebbe potuto dirlo. Ad esempio, sul tema a lui più congeniale della Difesa comune. Come pure sulla guerra tornata a bussare direttamente alle porte di casa nostra dopo quasi 90 anni di pace pressoché ininterrotta. Certamente lo farà e siamo tutti qui ad aspettare con particolare interesse la sua prossima intervista. Ma, per il momento, il nostro si è limitato a richiamare i propri trascorsi di «soldato sotto le bombe e i colpi di mortaio» (sempre per usare parole sue) solo per dichiarare di non temere i mal di pancia e le prese di distanza di metà del gruppo dirigente della Lega che proprio così bene non ha preso la sua fresca candidatura (dal «Non voterò Vannacci, mio nonno venne picchiato dai fascisti» del vice Presidente del Senato Gian Marco Centinaio, al non meno gelido «Io voto i candidati friuliani» del governatore del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga). Insomma, sapere quale sia nel concreto l’idea d’Europa che il generale ha in testa, male non farebbe. Lo stesso discorso vale naturalmente anche per l’altra eurocandidata del momento, anche se nel caso di Ilaria Salis va riconosciuto che una cella del carcere di Budapest non sia il posto migliore da cui fare politica. In ogni caso, chissà. Trattandosi di una insegnante, potremmo ritrovarcela presto a Bruxelles e a Strasburgo finalmente libera - a quel punto lo sarebbe in tutti i sensi anche se condannata - di occuparsi di cultura e di istruzione. Magari, con la sua vasta e da lei stessa più volte orgogliosamente sbandierata esperienza di pasionaria anti-nazi, potrebbe anche proporre di finanziare con il NextGenerationEu (il piano per la ripresa da cui deriva anche il nostro Pnrr) un vasto programma di gite scolastiche guidate fra i raduni della estrema destra europea. Così, tanto per favorire gli incontri e gli scambi «amichevoli» fra le giovani leve dell’estremismo continentale di ogni colore. Per carità di patria - sia italiana che europea – mi fermo qui.

L’unica cosa certa è che, di questo passo, nei 42 giorni esatti che ci separano dal voto dell’8 e 9 giugno, di programmi e di idee per l’Europa ne sentiremo parlare sempre di meno. Riforma del mercato unico? Unione bancaria? Immigrazione? Decisioni da prendere in ambito Ue non più all’unanimità, ma a maggioranza? Investimenti in digitale, tecnologie e difesa per potere reggere al confronto con i giganti Usa e Cina? Cambiamento climatico? Ed ancora, non una ma almeno due guerre spaventose in corso alle porte di casa nostra e capaci entrambe di evolversi in un conflitto mondiale senza più ritorno? Tutta robetta superflua e di cui non vale la pena occuparsi e preoccuparsi più di tanto. Al massimo, da lasciare trattare dai vari professori alla Draghi o alla Letta. Ecco perché, certe interviste e certe candidature non andrebbero neppure commentate. Perché fanno parte di un gioco che viaggia sulle nostre teste e che se ne infischia di spiegare alla gente comune - cioè a tutti noi - come sia possibile saltare fuori dalla fase più aspra e difficile dell’intera storia europea e mondiale dell’ultimo secolo. Un gioco che porta in una sola direzione: al caos. E, con il caos, alla fine di tutto. Compresa, inutile dirlo e sempre che non sia proprio questo il vero obiettivo, l’Europa.