Editoriale
Intelligenza artificiale: l'Europa rischia di perdere il treno
Stiamo imparando quotidianamente - magari con qualche difficoltà - a convivere con l'intelligenza artificiale ma forse non ci rendiamo ancora conto di quanto sia pervasiva e quanto stia modificando le regole del gioco.
Prendiamo l'automotive. Siamo portati a pensare che l'intelligenza artificiale a quattro ruote si riduca al fatto di avere ChatGpt nel sistema di infotainment, ma in realtà ci sono moltissimi ambiti decisivi nei quali l'Ia è oggi fondamentale, come spiega bene il recente Osservatorio Auto e Mobilità redatto dalla Luiss Business School e coordinato da Fabio Orecchini: la progettazione (disegno e industrializzazione), la produzione (strumenti e processi), il prodotto (tecnologia a bordo) e l'interazione con i clienti (acquisti, marketing, servizi, comunicazione).
Se oggi l'Ia viene sfruttata all'interno di un'auto al 20-30%, nel giro di pochi anni si passerà al 100% rendendola di fatto il fulcro intorno al quale ruoterà l'intera filiera. Il discorso vale per molti altri settori, amnifatturieri e non - dalla domotica alla difesa, dalla finanza alla medicina - nei quali sempre di più l'interazione con l'utilizzatore e il contesto, l'elaborazione di informazioni e l'apprendimento continuo faranno la differenza.
È evidente che investire in intelligenza artificiale ed essere all'avanguardia dell'innovazione è una delle necessità in questa fase di transizione verso un mondo digitalizzato. Ebbene, ancora una volta l'Europa è in ritardo al crocevia dell'innovazione. Citiamo due allarmi che provengono da universi lontani ma convergono nel messaggio: Walter Riccardi, professore d'igiene e Sanità pubblica alla Cattolica pochi giorni fa spiegava che in ambito medico l'Europa «nel settore dell'intelligenza artificiale è in ritardo rispetto ad altri Paesi». Qualche settimana prima era stato Fabio Panetta, governatore della Banca d'Italia, a sottolineare il ritardo continentale nei confronti non solo di Stati Uniti e Cina ma anche del Regno Unito, che ormai si è sfilato dai 27. E poi centrando il punto: «l'Europa non può limitarsi a essere un semplice utilizzatore» dell'Ia ma «deve ambire a un ruolo attivo nella sua produzione». E invece gli investimenti latitano, anche a livello di privati, con appena 20 miliardi di dollari investiti dall'Europa nell'ultimo decennio contro i 330 degli Stati Uniti e i 100 della Cina. I tre paesi che investono di più - Germania, Svezia e Francia - messi insieme investono un decimo degli Stati Uniti. Nessuno dei Big del settore - da Googke a Alibaba, da Meta a Huawei) è europeo. E anche quando decidono di coinvolgerci restano solo le briciole. Microsoft prevede investimenti per circa 120 miliardi nel bienno in intelligenza artificiale ma meno del 3% di quella cifra ricadrà in Europa.
L'Europa è senz'altro indietro nella partita degli investimenti ma quel che è peggio è che sembra intenzionata a utilizzare le solite armi, peraltro spuntate, della legislazione: si pensa più ad arginare i colossi mondiali - che peraltro sguazzano spesso felici nei «paradisi fiscali» europei - che ad investire nella ricerca. Qualche tempo fa il padre di Meta, Mark Zuckerberg, e Daniel Ek (Ceo di Spotify) erano intervenuti sull'Economist a proposito del regolamento europeo sulla protezione dei dati che a loro dire sta creando ritardi e incertezze in un continente con regolamenti complicati e non armonizzati. «L'intelligenza artificiale - sostengono ha il potenziale per trasformare la produttività globale, accelerando il progresso scientifico e aggiungendo migliaia di miliardi di dollari all'economia globale». Il timore è che l'Europa questa opportunità se la stia giocando malamente.