Editoriale

Trump, l'Ue, i dazi, l'Ia: cambia il paradigma per il mondo industriale

Lino Cardarelli

Prima annunciate in campagna elettorale, poi ribadite e attualmente in corso di definizione o applicazione, le misure protezionistiche che gli Stati Uniti intendono introdurre per tutelare le produzioni nazionali preoccupano i Paesi esportatori vicini, come Canada e Messico, nonché l’Ue e la Cina, tutti paesi in cui l'interscambio commerciale svolge un ruolo rilevante nella formazione del Pil. Perché Trump è arrivato a tanto? Sicuramente per disimpegnarsi da una costosa e difficile situazione in Europa scaricandone costi e rischi sugli europei di cui non nasconde lo scarso apprezzamento ma, probabilmente, anche per un riequilibrio strategico e di ravvicinamento nelle relazioni con la Russia con la mira di ridurne la dipendenza dalla Cina, l'irriducibile antagonista nel riordino del teatro mondiale.
Ma Trump non è stato meno tiepido con le strutture governative nazionali con l'istituzione del Doge, un Dipartimento governativo con a capo un mastino come Ekon Musk, che ha il compito di sovrintendere al controllo delle spese dell'Amministrazione con un piano che prevede un taglio di 4 miliardi di dollari di spese al giorno, per complessivi 3 trilioni di dollari, per evitare il fallimento del paese e un ufficio dedicato al controllo di tutti i finanziamenti erogati all'Ucraina. Difficile un confronto con la nostra «Spending Review»...
Nel contempo, la nuova Amministrazione americana stabilisce protocolli di comportamento e sollecita gli europei a fornire puntuali proposte su armi, truppe di pace e accordi di sicurezza da offrire all'Ucraina per mettere fine alla guerra. E allo stesso tempo, rendere chiaro a Bruxelles di doversi far carico di gran parte del costo per la ricostruzione dell'Ucraina e della sua sicurezza da garantire con una forza europea. Siamo in presenza di un cambio di paradigma, per alcuni autorevoli analisti «una vera rivoluzione nazionalista che mira a modificare la natura e le proporzioni della politica e dell'economia» e non mancherà di influenzare molte aree del mondo che negli ultimi anni si sono confrontate e fatto emergere vissuti anche molto diversi da quelli che venivano raccontati. È in questo contesto che si è venuto ad appannare il soft power, il fascino di molta di quella articolata letteratura che aveva contribuito ad affermare, almeno in Occidente, l'«american way of life».

Ma questa prospettiva segna anche il tempo per l'Ue di svegliarsi e predisporre con urgenza un proprio articolato progetto in grado di affrontare - e far superare per quanto possibile - le delicate situazioni che si stanno prospettando e che raccordano trasversalmente gli aspetti rilevanti dell'intero pianeta. Queste urgenze portano tutte le economie europee, ma sono in concreto le aziende a doverne sostenere il peso economico, direttamente al bivio: replicare ai dazi imposti da Trump con altri dazi o assorbire il colpo, proporsi un obiettivo di crescita e abbandonare sul breve il sostegno all'export per investire sull'apparato produttivo per renderlo più efficiente e competitivo e evitare un impatto devastante sui margini sino al possibile arresto di produzioni non più remunerative e/o l'abbandono di consolidati mercati e l'affannosa ricerca di altri. E questo vasto stress finanziario e impegno organizzativo proprio nel momento in cui le strutture aziendali sono già sollecitate da processi di profonde innovazioni avviate dalla digitalizzazione e accelerate da una sempre più diffusa «Ia generativa» il cui impatto sui processi innovativi non è ancora possibile misurare essendo tanto invasivo e profondo come raramente lo è stato altre volte.
La «Ia generativa» è altrettanto dirompente ma conduce in un universo per gran parte ancora ignoto: essa non crea, non inventa e i prodotti e servizi su cui impatta già esistono. Essa parte da regole semplici, normali, al limite della banalità, si afferma come uno tsunami per arrivare a proporre al termine del processo «conoscenze aggiuntive, interdisciplinari» - quindi potenzialmente applicabili su un incalcolabile ampio spettro di altre tecnologie o di prodotti esistenti - innovative ed accettate internazionalmente anche se ancora disciplinate con protocolli non omogenei e alla non facile ricerca di un denominatore comune. I risultati di questa vasta innovazione configurano un contesto che deve essere meglio declinato per capire gli impatti al momento dell'arrivo del nuovo prodotto, far accettare le modalità del nuovo modo di produzione e di una nuova offerta in grado di creare una domanda nuova. Il mercato viene a trovarsi davanti a prodotti e/o servizi prima inesistenti che propongono una offerta innovativa che chiede cittadinanza economica in un habitat nuovo al punto che non è il prezzo a farla da padrone: la competitività reale è quella sollecitata dallo stesso prodotto nuovo, dalla tecnologia nuova e si potrebbe concretizzare in un vantaggio decisivo di costo, di qualità o di utilizzo che va ben oltre l'impatto sul margine operativo: puo' arrivare a minacciare non tanto i profitti e le produzioni esistenti quanto le stesse fondamenta dell'impresa che potrebbe trovarsi irrimediabilmente spiazzata. Com'é già accaduto con la Kodak, che non ha colto il cambiamento apportato dalle produzioni fotografiche digitali; con l'Enciclopedia Britannica soppiantata da Wikipedia e, di recente, dal lancio sul mercato della piattaforma cinese DeepSeek che ha rivoluzionato il mercato in diretta competizione con la statunitense OpenAi, affermata leader, che si è trovata spiazzata e impreparata a reggere il confronto con la concorrente cinese che ha messo la piattaforma a disposizione gratuitamente di ogni operatore interessato. Quindi, per tante aziende, il pericolo non risiede solo nella qualità del prodotto o della tecnologia con cui confrontarsi ma anche dalla ricettività che ne dà il mercato finale. Come nel caso dell'auto che da veicolo industriale si configura ora come prodotto digitale.

Una nuova, ulteriore lettura del vincolo rischio/opportunità è quindi emersa e si è venuta a consolidare nel passaggio fra due sistemi economici: da quello segnato dal «saper fare», in cui si apportano miglioramenti alle produzioni esistenti, a quello «della conoscenza» dove l'impianto economico non è esaminato e non va misurato su quello che già c'è - dove ci si limita a valutare una previsione incrementale su quanto è già noto - ma su quello che ancora non c'è, ossia su quello che il mercato sta ignorando. L'arrivo sul mercato di una siffatta innovazione non può essere gestita come «business as usual» e non va segnalata come un fulmine a ciel sereno: è spesso il risultato di frustranti lunghi periodi di ricerca per poi arrivare a essere devastante quando si salda il raccordo della Artificial Intelligence con la Human Intelligence a riprova che sarà sempre l'uomo l'iniziatore e il gestore finale di ogni tecnologia. L'ulteriore, ma sostanziale passo, è quello sul terreno operativo - il mercato - con la verifica dell'esistenza di quell'humus culturale di accettabilità, di presenza di competenze tecniche e di infrastrutture fisiche e normative in grado di accettarla e valorizzarla.
Si può affermare che vengono a concretizzarsi quei sentieri innovativi che, in scala molto più contenuta, si ritrovano nella filosofia del Ted - Technology, Environment, Design - avviato qualche decennio fa da un eccentrico e visionario architetto, Richard Wurman che, per teorizzare come discernere una innovazione incrementale, ha istituito il Ted Day, avveniristico evento frequentato da innovatori, severamente selezionati che, senza testi predisposti, hanno a disposizione 30' per illustrare la loro «innovazione». Potrebbe far parte di questa qualificata schiera di innovatori anche Adriano Olivetti che nella giungla del mercato di fine anni '50 - si stava passando dalla meccanica all'elettronica - ha suggerito e aperto un sentiero nuovo, poi percorso dai signori della Silicon Valley. Ma ne è stato escluso, per esempio, Elon Musk per l'auto elettrica che, per Wurman, ha solo perfezionato, con molta convinzione, tecnologie da decenni conosciute. Cosi l'architetto-filosofo Wurman ha anche rivalutato quel pizzico di ignoranza che può contribuire a creare qualcosa di nuovo: in fin dei conti, le virtù del «non sapere» (the power of ignorance) possono aiutare a superare gli ostacoli perché non conosciuti come tali, misurano la determinazione a voler perseguire e dare concretezza ai sogni.

Il frastagliato contesto geopolitico delineato, l'arrembante arrivo di nuove tecnologie, l'attivismo delle banche centrali, l'introduzione di dazi ed altri balzelli costituiscono la cornice di una instabile piattaforma su cui le imprese si confrontano per arrivare a scegliere i mercati in cui posizionarsi. E per una piu' corretta comprensione dei mercati e della dimensione dei necessari investimenti, la Ai innovativa non deve far passare in second'ordine il ruolo dei brevetti registrati, indice significativo che testimonia i risultati della R&S e misura il potenziale innovativo che si diffonderà nei mercati globalizzati. E' utile pertanto per un'impresa conoscerne la consistenza e le potenzialità prima della decisione di investimento per rafforzare, se il caso sostituire, mercati diventati ostici o addirittura preclusi come potrebbe accadere nell'attuale clima di conflitti commerciali per l'introduzione di dazi o di altri vincoli.
La propensione di un paese ai rischiosi investimenti in Ricerca-Sviluppo, oltre a misurare il potenziale della sua dimensione tecnologica, sollecita a conoscerne meglio l'assetto produttivo, l'orientamento al marketing, la consistenza commerciale, la governance e dimensione delle aziende concorrenti, dei fornitori e clienti. La Cina, prima per registrazione di brevetti, sforna ogni anno anche il maggior numero di laureati Stem seguita dall'India e si è organizzata per tempo per venire riconosciuta come «laboratorio del mondo» dopo aver trasferito all'India il testimone, tenuto in mano per anni, di «fabbrica del mondo».