COMMENTO
Pace durevole, non c'è certezza
«Siamo d’accordo con le proposte di cessazione delle ostilità, ma partiamo dalla posizione che questa cessazione dovrebbe portare a una pace a lungo termine ed eliminare le cause della crisi attuale». Con queste parole il presidente russo, Vladimir Putin, ha rilanciato la palla al suo omologo statunitense che ha commentato le «parole promettenti, ma non completamente» con cauto ottimismo.
D’altronde, perché il capo del Cremlino avrebbe dovuto accettare una richiesta elaborata dallo staff americano con quello ucraino in una fase della guerra dove la Russia sta riscuotendo un concreto vantaggio competitivo? E in cosa consiste effettivamente questa posizione di forza che Putin vuole utilizzare in sede negoziale?
Sul piano militare, come si evince anche dai canali Telegram ucraini, la controffensiva russa nella regione (oblast’) di Kursk ha consentito di riprendere i 1300 km quadrati, conquistati sette mesi fa dall’esercito ucraino nella Federazione russa. I soldati ucraini rischiano di essere accerchiati nei prossimi giorni e costretti alla ritirata oppure «nessuno potrà scappare e ci saranno solo due opzioni: arrendersi o morire», come ha affermato Putin che, per la prima volta dall’inizio della guerra in Ucraina, ha indossato una mimetica e si è recato sul posto per sollecitare i generali a risolvere la questione «il prima possibile». Nel territorio del Donbas, l’esercito russo avanza lentamente, ma progressivamente, approfittando delle difficoltà del fronte ucraino e intensificando l’azione bellica attraverso una massiccia quantità di armi (1200 bombe aeree guidate, 870 droni e 80 missili) lanciate in diverse zone del paese. Sebbene per il Cremlino la priorità sia la liberazione della regione russa di Kursk, non vi è dubbio che avanzare anche nel suolo ucraino, con le condizioni meteorologiche favorevoli sino all’autunno, consentirà di conquistare e annettere ulteriore territorio ucraino prima di sedersi al tavolo delle trattative.
Sul piano economico, il Cremlino non può eludere la raccomandazione della governatrice della Banca centrale russa, Elvira Nabiullina, sulla necessità di riportare gli indicatori economici a livelli più rassicuranti. In tal senso, le parole di Donald Trump sulla minaccia di ricorrere a «sanzioni devastanti» se la Russia rimane contraria alla tregua non possono essere sottovalutate dal Cremlino. Sinora le sanzioni che hanno colpito i settori finanziari non hanno prodotto forti effetti collaterali sull’economia russa, ma l’esenzione delle sanzioni nel settore del petrolio e del gas della durata di due mesi, che era stata autorizzata dall’ex presidente Joe Biden, è terminata il 13 marzo scorso e le banche russe potrebbero riscontrare difficoltà nell’accesso ai sistemi di pagamento americani per condurre transazioni energetiche. Tuttavia, anche in questo caso, il presidente russo potrebbe contare sul fatto che queste restrizioni provocherebbero un aumento del prezzo fino a cinque dollari al barile, rendendone difficile l’acquisto ad altri paesi, che potrebbero, a quel punto, richiederne la cessazione; in alternativa queste sanzioni potrebbero essere bypassate con il sistema di criptovalute per agevolare, ad esempio, la conversione di yuan cinesi e rupie indiane in rubli russi. Come è emerso sin dai primi mesi dell’invasione russa in Ucraina, l’utilizzo delle sanzioni occidentali è una condizione necessaria e legittima come strumento di applicazione del diritto internazionale, ma non sufficiente nell’immediatezza degli effetti e nel contrasto ai metodi alternativi, come il mercato parallelo dei beni attraverso altri paesi (Turchia e Asia Centrale in primis) che la Russia ha sempre sfruttato in questi anni.
Sul piano politico, il presidente russo ha affrontato e risolto efficacemente alcune situazioni che potevano minarne l’autorità e la permanenza al Cremlino, come la «marcia su Mosca», avviata dall’ex capo dei mercenari di Wagner, Evgenij Prigožin, nel giugno 2023 e la morte del suo principale avversario, Aleksej Navalnyj, nel febbraio 2024. In entrambi i casi, Putin ha potuto dimostrare agli avversari interni al Cremlino quanto non convenga sfidarlo se si vuole rimanere in vita. Oltre a questo monito, si aggiungano le elezioni plebiscitarie del marzo 2024 che lo hanno riconfermato per la quinta volta alla guida del paese. Forte della struttura di potere che ha creato, Putin è anche molto attento agli umori dell’opinione pubblica, specialmente per quanto riguarda l’atteggiamento dei russi nei confronti della guerra in Ucraina. Un recente sondaggio dell’istituto indipendente, Levada Center, inserito nella lista degli «agenti stranieri», quindi inviso al Cremlino, ha recentemente pubblicato i risultati di un’inchiesta secondo la quale il 72 per cento dei rispondenti ritiene che il paese stia vincendo la guerra, il 60 per cento che il negoziato sia desiderabile, ma solo alle condizioni poste dal Cremlino, altrimenti per il 77 per cento degli intervistati è bene proseguire sino alla vittoria (pobeda) finale.
E la questione delle condizioni russe risiede proprio nel messaggio «diplomatico» che Putin ha voluto indirizzare a Trump, evitando, per il momento di entrare in collisione con l’amministrazione presidenziale americana e sintetizzabile in un «sì» (alla tregua), ma (alle nostre condizioni): de facto è, attualmente, un chiaro «no». Per il Cremlino è inaccettabile perdere i territori già conquistati sul campo, porre in discussione l’annessione illegale della Crimea del 2014, accettare l’adesione dell’Ucraina nella Nato o truppe occidentali al confine, non garantire alcuni diritti alle minoranze russofone e alla Chiesta ortodossa russa e, soprattutto, trattare con Volodomyr Zelensky, considerato un presidente illegittimo dopo il rinvio delle elezioni presidenziali ucraine a causa della legge marziale. Bastano già queste considerazioni per comprendere quanto sarà difficile per l’Ucraina il percorso verso una pace che «giusta» non potrà mai essere, come storicamente è avvenuto in tutte le guerre, ma semmai «possibile», solamente se in questa partita a scacchi tra Trump e Putin si allargherà la posta in gioco ad altri dossier geopolitici (Artico, Medio Oriente, Indo-Pacifico ed Europa) nell’ottica di una spartizione e ridefinizione di un «nuovo ordine mondiale». E questo non offre, certamente, certezze sul fatto che possa essere anche una pace «durevole» nel tempo.