EDITORIALE

Luci e ombre sui droni russi abbattuti in Polonia

Mara Morini

Che cosa è realmente successo nello spazio aereo polacco qualche giorno fa? Attacco deliberato russo, un mero incidente o una imprudente false flag? In realtà, è molto difficile rispondere a questa domanda perché qualsiasi riflessione presenta, al contempo, luci e ombre difficili da dissipare.
Tuttavia, sulla base delle prime considerazioni svolte dagli esperti di strategia militare e le informazioni disponibili verificate, si può cercare di capire quali scenari siano più realistici di altri, posto che vi è un’unica certezza condivisa, che ritroviamo nelle parole di buon senso del nostro presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: «Al di là del contenuto, della portata dei due gravi episodi, quel che crea allarme è il fatto che ci si muove su un crinale in cui anche senza volerlo si può scivolare in un baratro di violenza incontrollata».
Fatta questa doverosa premessa, possiamo formulare qualche ipotesi relativa al «presunto» sconfinamento di droni russi nel territorio di un paese membro dell’Alleanza Atlantica.
Partiamo dall’eventualità che si tratti di un’azione strategica, preparata dal Cremlino, per testare la capacità reattiva militare del fronte orientale della Nato.

Se consideriamo il timing ovvero l’arco temporale in cui questa azione è stata implementata, potremmo considerarla come una reazione, successiva all’incontro della «coalizione dei volenterosi» della scorsa settimana, che ha sancito la volontà europea di essere presenti «sul campo, in mare e in aria» per fornire al presidente Volodomyr Zelensky le «garanzie di sicurezza« di cui l’Ucraina necessita per difendersi dal pericolo russo. In quest’ottica, il Cremlino avrebbe inviato un chiaro monito ai leader europei al fine di scoraggiare la presenza di truppe, anche di peacekeeping, in Ucraina perché sarebbe considerato come un atto di guerra nei confronti della Russia di Vladimir Putin. L’invio di questi droni è anche avvenuto dopo il summit cinese dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai dove non si esclude che i principali leader delle potenze revisioniste – in primis Cina, Russia e India – abbiano deciso di provocare i membri Nato per testare il tipo e le modalità di reazione e comprendere sino a che punto vi è una sinergia militare tra gli Stati Uniti, partner di maggioranza della Nato, e gli alleati europei. A ciò si aggiunga l’esercitazione strategica congiunta “Zapad 25” tra la Bielorussia e la Russia con manovre militari vicine al confine polacco, nel Mare di Barents e nel Mar Baltico che si sta svolgendo in queste ore per le quali lo sconfinamento dei «droni spia» potrebbe servire per ottenere dati sulle infrastrutture critiche presenti nell’area. A tal riguardo, il fatto che i droni siano stati intercettati vicini alla più grande base logistica polacca nella quale si concentrano tutti gli aiuti militari occidentali verso l’Ucraina, rafforza l’idea di una finalità di ricognizione per intercettare dati e informazioni.

È, infatti, opportuno ricordare che è improprio parlare di un «attacco» di droni posto che i cosiddetti «Geremia1» non contengono solitamente alcuna arma al loro interno, ma hanno una mera finalità di operazione di intelligence. Questo spiega anche perché il governo polacco non ha invocato l’articolo 5 della Nato che disciplina «anche» (ma non obbligatoriamente) l’adozione di misure per difendere l’alleato che è stato vittima di un «attacco armato», ma ha attivato l’articolo 4 che prevede una «consultazione» su questioni di «integrità territoriale, indipendenza politica e sicurezza di una delle qualsiasi Parti» minacciate.
«Sconfinamento» e «incursione» sembrano, quindi, costituire i termini militari più opportuni da applicare, anche se le implicazioni politiche di un evento di questo genere sono di una gravità senza precedenti per la situazione globale che stiamo affrontando.
Un dubbio relativo al coinvolgimento russo, riguarda, invece, il fatto che questa presunta decisione del Cremlino non avrebbe una logica razionale perché estenderebbe il conflitto ad altre zone per le quali sarebbe necessario investire più mezzi militari e soldati, attualmente impiegati, con estrema fatica, ad occupare ulteriori porzioni di territorio ucraino. Infine, sembra poco plausibile pensare che la Bielorussia, che è partner dell’Unione degli Stati con la Russia, ufficialmente dal 1 gennaio 2024, abbia avvisato i governi polacco e ucraino della presenza di droni russi, favorendone l’intercettazione e l’abbattimento.
Passiamo alla questione di un eventuale «errore tecnologico» da parte dei russi. In questo caso, l’ipotesi è veramente debole perché non si tratta di un paio di droni, che già in passato sono stati rinvenuti in Romania, Polonia e Germania, bensì di uno sciame di 19 elementi che inducono a parlare di un atto deliberato ed escludere il fatale incidente, anche eventualmente imputabile all’esercito ucraino nel tentativo tecnologico di mandarli fuori rotta.

Rimane la questione della «false flag», che consiste nel creare un pretesto per un’aggressione da parte di uno Stato incolpandone un altro per nascondere la propria responsabilità. Questa azione potrebbe essere interpretata come una decisione intrapresa dai leader polacco e ucraino con l’obiettivo di incolpare i russi per ottenere maggiori risorse economiche, per rafforzare l’apparato militare ad est e proseguire la guerra in Ucraina con l’auspicio di una vittoria militare. Si tratta di una questione che ha implicazioni di natura politica, ma, soprattutto, anche etica, che non è assolutamente da escludere per due motivi principali. Il primo riguarda la legittima volontà ucraina di difendersi dall’aggressore e allontanarlo dal proprio territorio alla luce del motto «tutto è lecito in guerra», ricorrendo a misure anche drastiche e inattese. Il secondo aspetto è relativo ad un illustre precedente storico che riguarda l’esplosione del gasdotto Nord Stream 2 nel settembre 2022, che era stato inizialmente attribuito alla Russia, e che recentemente è stato, invece, imputato ad un gruppo di sabotatori ucraini con supporto logistico polacco sulla base di un’inchiesta investigativa tedesca. Politicamente l’operazione sotto «falsa bandiera» servirebbe per aumentare l’allarme della minaccia russa in Europa, rafforzare il messaggio all’opinione pubblica della necessità di investire maggiormente nel riarmo e nella mobilitazione contro il pericolo russo.
Al di là di queste tre ipotesi ed altre eventuali antitesi che si possono riscontrare, si può affermare che, da un punto di vista militare, vi è stata una reazione immediata e, quindi, positiva della Nato nel territorio polacco che dimostra l’autonomia di intervento in caso di difesa di cui la Russia dovrà tener conto per eventuali incursioni o attacchi effettivi in futuro. Parimenti, si riscontra anche una buona capacità di penetrazione territoriale dei droni, che, potenzialmente, potrebbero minacciare le diverse basi militari dislocate in Europa in assenza di nuovi sistemi di difesa aerea.
Che si sia trattato di un’azione, più o meno dimostrativa, i leader europei non devono sottovalutare il fatto che la «guerra ibrida» con droni e attacchi cibernetici è ormai la modalità più ricorrente in tutto il mondo che richiede competenze e forti investimenti tecnologici per poterla affrontare efficacemente. Ma la lezione principale di questo singolare evento dovrebbe essere il ricorso da parte dei leader politici al buon senso e al dialogo prima che diventi troppo tardi.