L'editoriale
I primi cento giorni di Filosa in Stellantis alla prova dei tre tavoli
Si chiudono domani i primi cento giorni di Antonio Filosa al timone di Stellantis. Cento giorni non certo memorabili, né dal punto di vista dei risultati né sotto il profilo dell’impatto del nuovo corso. Se è vero che il mercato sconta una congiuntura obiettivamente molto sfavorevole al settore e l’andamento del Gruppo si porta dietro scelte figlie ancora dell’era Tavares, sarebbe però stato lecito attendersi un impatto più deciso dall’ingresso del nuovo manager. Qualcuno ricorda ancora l’ingresso esplosivo di Sergio Marchionne nell’estate del 2004 (quando Fiat perdeva 5 milioni al giorno e di fronte agli uffici chiusi in agosto per ferie chiese: “In ferie da cosa?”) ma manager con quella personalità restano fuori categoria.
Ma se di Filosa abbiamo sentito parlare poco, è anche perché il nuovo Ad ha scelto di partire dagli Stati Uniti (realtà che conosce molto bene), forse perché l’Europa è in una condizione di tale incertezza da spaventare e indurre al rinvio di qualsiasi scelta. Oltre oceano Stellantis è scesa dal 12% al 7% scontando anche l’uscita dal mercato di sette modelli di successo. In un mercato che con l’arrivo di Trump ha scelto di non privilegiare le vetture elettriche (sulle quali Stellantis è ancora indietro) Filosa sa di potersi giocare alcune chance rimettendo al centro i motori endotermici più potenti e annunciando un nuovo portafoglio di modelli Jeep, una gamma più snella per Dodge e il ritorno di un pick-up midsize per Ram, che abbandona invece la spina.
Delle vicende americane, però, importa relativamente a chi sta vivendo il 2025 più in cassa integrazione che al lavoro. Parliamo ovviamente dei dipendenti italiani. I dati nel nostro Paese sono drammatici per Stellantis: lo stabilimento di Atessa dove si producono veicoli commerciali ha perso 1600 lavoratori dal 2021 con una riduzione della produzione da 310mila a 192mila furgoni lo scorso anno. Ma il dato più inquietante è che questo impianto, nonostante tutto, resta il punto di forza del gruppo in Italia. Figuriamoci il resto degli stabilimenti dove si lavora in media due giorni a settimana. Proprio oggi a Pomigliano si ferma la produzione di Fiat Panda (la best seller del mercato interno) fino al 6 ottobre e di Alfa Romeo Tonale fino al 10 ottobre.
Certo, all’orizzonte c’è l’arrivo di nuova Jeep Compass a Melfi e della 500 ibrida a Mirafiori ma non si tratta tanto di un problema di modelli perché Stellantis ha annunciato lo stop in sei stabilimenti europei, dalla Spagna alla Germania, dalla Francia alla Polonia, segno di un malessere diffuso figlio anche dell’incertezza sulle decisioni che Bruxelles prenderà (si spera) a breve sull’indirizzo della transizione energetica. Se Ursula von der Leyen è stata vaga nelle sue affermazioni alla ripresa del “tavolo strategico” sull’auto, Antonio Filosa non è stato più preciso in una delle sue rare uscite ufficiali, il 10 settembre quando si è unito al coro che chiede all’Europa “azioni strategiche urgenti”. Per il resto promesse generiche: “Le nostre tre priorità per i prossimi anni sono la crescita del business, partendo dal Nord America e poi passando per l’Europa e attraverso il lancio di nuovi prodotti, un’esecuzione impeccabile e l’aumento dei profitti.
L’obiettivo è migliorare i nostri indicatori finanziari trimestre dopo trimestre”. Insomma, più fumo che arrosto e infatti il titolo Stellantis viaggia sull’ottovolante: dopo la fiammata generata dagli annunci generici di Filosa le azioni hanno ritrattato rapidamente e oggi viaggiano appena sotto gli 8 euro mentre a inizio anno avevano sfiorato i 14. Le sfide di Filosa ora si giocano su tre tavoli: il confronto con l’Europa, quello incerto con il governo (c’è stato un contatto con il ministro Urso) e quello con i sindacati, che preannuncia un autunno decisamente caldo. Quello che serve – su tutti e tre i fronti – è un piano industriale coraggioso e rapido e che possibilmente definisca anche il futuro della Gigafactory di Termoli, un investimento per ora sospeso ma dal quale dipendono strategie e indotto perché – volenti o nolenti, nei termini previsti dall’Ue o leggermente modificati – il futuro non può prescindere a questo punto da una robusta elettrificazione. Il tempo stringe perché i cinesi avanzano. In aprile i brand cinesi hanno venduto 47mila auto in Europa. Più di Audi o di Renault, per dire. E’ qualcosa di più di un campanello d’allarme.