editoriale
L'attacco alla Ue e il dovere di rafforzarla
Non ci soffermiamo sulle parole del documento del presidente degli Stati Uniti che senza mezzi termini scarica l’Unione europea come alleato storico e strategico e ne prevede la dissoluzione così come l’abbiamo conosciuta e come l’ha conosciuta il mondo.
È in discussione l’essenza stessa del nostro continente come punto di riferimento riconosciuto delle democrazie liberali e come culla della civiltà, che all’interno del processo di unificazione in atto ha preso nuova linfa ed è un riferimento ancora oggi.
Questo documento, che è un inno alle autocrazie, accomuna, non a caso, la nostra Unione Europea agli organismi internazionali che hanno costituito e costituiscono l’unico momento di confronto multilaterale per trovare sintesi avanzate sui problemi sia dei rapporti geo-politici fra gli Stati che sui rapporti socio-economici.
Questo documento è un inno al bilateralismo e ai rapporti di forza fra gli Stati per affrontare i problemi emergenti.
Non poteva mancare il riferimento alle politiche migratorie e il richiamo alle radici cristiane.
Ci sia permesso, su questo tema, di richiamarci alla nota pastorale «Educare a una pace disarmata e disarmante» della Conferenza episcopale italiana che costituisce un riferimento globale al tema della pace concepito come riferimento forte alla fraternità.
Quindi i valori delle nostre radici cristiane le ritroviamo in documenti come quello citato e non altrove, dove si parla di guerra e di rapporti di forza per risolvere le controversie, concetto opposto a quello della pace secondo la dottrina cristiana.
La National Security Strategy della presidenza degli Stati Uniti trova in Musk un alleato con accenti ancor più forti contro l’Europa, sicuramente condizionato dalla multa di 120 milioni inflitta dall’Unione Europea al social di sua proprietà X.
Musk arriva addirittura a dire che l’Unione Europea dovrebbe essere abolita con il ritorno all’autonomia dei singoli Stati che dovrebbero tornare sovrani.
Se dai riferimenti geo-politici ci spostiamo sul piano dei fatti reali cerchiamo di capire quale sarebbe la forza di uno Stato come il nostro fuori dall’UE.
È addirittura inimmaginabile un commercio internazionale delle nostre imprese senza il mercato unico europeo.
Lo dicono i numeri, lo dicono i flussi commerciali, lo dicono le catene del valore.
Se prendiamo solo il dato di agosto, secondo l’Istat le esportazioni verso i Paesi dell’Unione Europea sono cresciute del 2.1% su base mensile e del 5,4% su base annua, con i contributi maggiori che vengono da Francia (+20,6%), Paesi Bassi (+13,5%) e Spagna (+9,4%).
Sempre con riferimento al mese di agosto le esportazioni verso gli Stati Uniti hanno registrato un tonfo del -21,1%.
Allora di cosa stiamo parlando? Abbattiamo il mercato unico per ragioni politiche o per ragioni di interesse degli Stati Uniti?
Torniamo all’Italia. Vediamo altri dati: il nostro Paese è fra i dieci Paesi più indebitati al mondo.
Se prendiamo il valore assoluto del debito siamo al sesto posto, se prendiamo il debito sul PIL siamo all’ottavo posto, comunque ad un livello sempre elevato: lo sforzo del Governo di riportare il disavanzo annuale (deficit) sul PIL al 3% è positivo, ma resta il fatto che la montagna del debito pubblico non ci consentirebbe mai e poi mai di restare fuori dalla UE.
Pensiamo al contributo solo del Piano nazionale di ripresa e resilienza nel dopo pandemia e ai benefici che dà ancora al PIL, che senza questo flusso di risorse sarebbe negativo.
E nonostante questo sostegno l’Italia viaggia ad un PIL del 2025 dello 0,5%, ben più basso del 2,9% della Spagna e del 2,1% della Grecia.
Quindi lasciamo perdere le suggestioni colonialiste di oltre manica sui singoli Stati europei e lavoriamo seriamente per un processo di riforma della nostra UE. a partire dall’abolizione del voto del Consiglio europeo all’unanimità fino a individuare una nuova struttura istituzionale che preveda una figura di Ministro degli esteri e di un Ministro della difesa per dare forza a livello internazionale all’Unione Europea.