editoriale

Il farmaco come difesa nazionale

Marcello Cattani

In un mondo attraversato da conflitti, instabilità geopolitica e competizione strategica tra grandi blocchi, la sicurezza nazionale non può più essere ridotta alla sola dimensione militare. Oggi difesa significa anche capacità industriale, autonomia scientifica, tecnologica e tutela della salute. In questo quadro l’industria farmaceutica italiana rappresenta una infrastruttura critica, un asset strategico paragonabile, per importanza e funzione, agli investimenti nella difesa militare della Nazione.I numeri confermano questa centralità. Secondo Istat, la farmaceutica contribuisce per oltre il 4% al valore aggiunto manifatturiero nazionale, con livelli di produttività tra i più elevati dell’industria italiana. Nel 2025 l’export del settore cresce del 35% rispetto ai 54 miliardi di euro a valore del 2024, confermando un trend espansivo nonostante l’incertezza internazionale e rendendo i prodotti farmaceutici una delle principali voci dell’avanzo commerciale della Nazione. Il dato assume un significato ancora più rilevante se si considera il ruolo del settore nel saldo commerciale italiano: nel 2024 farmaci e vaccini hanno generato un surplus di oltre 21 miliardi di euro, pari a circa il 18% del totale del surplus manifatturiero italiano, posizionando la farmaceutica al primo posto tra i settori manifatturieri per contributo alla bilancia commerciale.

Anche l’occupazione segue una traiettoria positiva: negli ultimi anni il comparto ha continuato a creare lavoro qualificato, soprattutto in ricerca, produzione avanzata e controllo qualità, rafforzando la base industriale e scientifica italiana.Questi risultati si inseriscono in una dinamica di lungo periodo. L’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle patologie croniche rendono la domanda di salute crescente e irreversibile. Investire in salute significa investire in crescita economica, produttività e coesione sociale. Non è una spesa, ma una leva strategica capace di generare valore per l’intero sistema economico.È in questa prospettiva che l’industria farmaceutica va equiparata alla difesa. Senza una capacità di ricerca e produttiva solida e innovativa sul territorio nazionale ed europeo, la sicurezza dei cittadini è esposta a rischi concreti. Oggi l’Europa, e l’Italia in particolare, dipendono in larga misura da Cina e India per la produzione di principi attivi (API): una vulnerabilità strategica che, in caso di crisi geopolitiche o commerciali, può compromettere l’accesso a farmaci essenziali e vaccini.A questo si aggiunge un ulteriore fronte di rischio: l’innovazione farmaceutica globale è sempre più concentrata negli Stati Uniti. Le recenti discussioni e iniziative americane, come i richiami all’Executive Order 232 e al principio della Most Favoured Nation sui prezzi dei farmaci, segnalano una nuova ridefinizione degli equilibri globali dell’accesso all’innovazione. Se l’Europa — e l’Italia — non agiranno immediatamente, il rischio è ridurre la possibilità di offrire nuove possibilità di cura, nuovi farmaci e vaccini innovativi, e un ritardo strutturale nell’accesso, con una perdita di attrattività per gli investimenti in ricerca e sviluppo.In questo contesto, il payback farmaceutico rappresenta una criticità non più sostenibile.

Una tassa retroattiva che penalizza chi investe in produzione e innovazione è incompatibile con un mondo in cui la sicurezza delle forniture e la competitività industriale sono priorità strategiche. Il payback indebolisce la filiera e riduce la capacità della Nazione di attrarre capitali, nuove produzioni e nuove molecole.Superare il payback non significa rinunciare alla sostenibilità del sistema sanitario, ma adottare strumenti moderni e coerenti con le sfide attuali. Significa garantire accesso immediato e sostenibile a farmaci e vaccini innovativi, rafforzare la produzione nazionale ed europea e ridurre la dipendenza dall’estero. In questa direzione è necessario agire già ora, inserendo nella legge di bilancio 2026 un incremento strutturale dello 0,5% del FSN del finanziamento della spesa farmaceutica ospedaliera, per renderla più rispondente ai reali bisogni clinici, demografici, scientifici e tecnologici della Nazione.Il governo italiano ha già mostrato una chiara consapevolezza di questa posta in gioco. Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha più volte richiamato il concetto di sicurezza nazionale in senso ampio, legandolo esplicitamente alla capacità produttiva, industriale e tecnologica dell’Italia. Questa visione sta consentendo alla Nazione di assumere la leadership nel dibattito europeo, con l’obiettivo di cambiare l’agenda della Commissione Europea, ancora troppo spesso ancorata a un modello ideologico, poco competitivo e di scarso rilievo strategico globale. L’Italia ha oggi l’autorevolezza politica e industriale per proporre un’Europa più pragmatica, capace di coniugare innovazione, ricerca e sviluppo, sostenibilità e sicurezza. Un’Europa che consideri la farmaceutica non come un capitolo di spesa da contenere, ma come investimento e un pilastro della propria autonomia strategica.

Considerare il farmaco come difesa nazionale significa fare scelte chiare e tempestive. Tra queste, l’eliminazione del payback e il rafforzamento del finanziamento pubblico rappresentano segnali concreti che la Nazione sceglie l’innovazione, la responsabilità e la sovranità sanitaria. Crediamo che il Testo Unico sulla Farmaceutica, recentemente varato dal Governo, sia lo strumento per riformare con velocità e pragmatismo la governance della spesa farmaceutica, chiudendo definitivamente con la miopia strategica del passato. Chi ha ambizione e visione strategica, deve anche accettare il rischio dell’innovazione. Ma in un mondo instabile, il vero rischio è restare fermi. L’Italia può guidare il cambiamento in Europa grazie al Governo di Giorgia Meloni. Investire oggi nella farmaceutica significa difendere domani la salute, l’economia e il ruolo da protagonista internazionale della Nazione.

Presidente Farmindustria