secondo grado
Bibbiano, le motivazioni dell'assoluzione in appello: "Ci fu abuso di ufficio, ma Foti non partecipò"
L’abuso di ufficio nell’affidamento senza gara del servizio di psicoterapia da parte dei Comuni della Val d’Enza alla onlus di Claudio Foti sussiste, ma non si può affermare che lo psicoterapeuta imputato abbia compartecipato all’attività illecita, nonostante ne abbia beneficiato. Non si può neppure dimostrare un nesso causale tra il modo in cui lo stesso Foti conduceva la psicoterapia, utilizzando tra l’altro l’Emdr, la cosiddetta macchina dei ricordi, e la patologia di cui avrebbe sofferto una sua giovane paziente. Sono questi, nell’analisi della Corte di Appello di Bologna, i motivi per cui uno dei personaggi simbolo dell’inchiesta sui presunti affidi illeciti di minorenni è stato assolto, il 6 giugno in secondo grado, dalle accuse per cui il gup di Reggio Emilia lo aveva invece condannato a quattro anni, unico a scegliere l’abbreviato insieme ad un’altra imputata.
Nelle 66 pagine di sentenza firmate dal presidente Sonia Pasini e dal consigliere estensore Andrea Sacchetti, si dice che la procedura di affidamento del servizio di psicoterapia (che si svolgeva nei locali di 'La Curà nel Comune di Bibbiano) avvenne in violazione delle norme. E che la condotta, contestata anche ad altri imputati tra cui il sindaco di Bibbiano Andrea Carletti, attualmente a processo in rito ordinario a Reggio Emilia, rientra «senz'altro» nell’ambito dell’abuso di ufficio. Ma non ci sono elementi che consentono di dire che Foti, oltre a beneficiare «degli illeciti affidamenti del servizio» abbia materialmente compartecipato all’attività amministrativa, «essendosi lo stesso 'limitatò ad eseguire le prestazioni illecitamente affidate».
Non si ravvisano neppure «sufficienti elementi che consentano di attribuirvi intese, pressioni o sollecitazioni», proseguono i giudici, che per l’abuso di ufficio ritengono Foti non abbia commesso il fatto, nonostante risulti conseguito «l'ingiusto vantaggio» legato «all’utilizzo 'sine titulò dei locali: «Come emerso dall’attività di indagine - si legge in sentenza - gli psicoterapeuti avevano infatti libero e incondizionato accesso a tale struttura pubblica, in cui venivano tenute sedute terapeutiche anche nei confronti di pazienti privati». Ma Foti ne sarebbe stato solo un mero beneficiario.
Per il reato di lesioni psicologiche ai danni di una sua paziente minorenne, la giovane, ricostruisce la Corte, presentava già prima dell’inizio della psicoterapia una «condizione estremamente critica». E la sentenza di primo grado non ha considerare anche la sussistenza di quanto avvenuto prima della somministrazione della psicoterapia ("accertato uso di stupefacenti, riferito abuso sessuale ad opera dell’ex fidanzato, criticità nel rapporto con la figura paterna"): tutto questo non consente di attribuire a Foti «l'insorgenza della patologia» riscontrata nella ragazza. Peraltro le consulenza tecnica dell’accusa, recepita dal Gup, non si confronterebbe, per l’Appello, con fonti scientifiche.
Infine c'è il tema della frode processuale, cioé il delicato tema di accusa dell’avere alterato lo stato psicologico ed emotivo della ragazza al fine di ingannare e il tribunale dei minori di Bologna, per cui era già stato assolto a Reggio Emilia. I giudici su questo parlano di una impostazione «ideologica» di Foti, citando il fatto che aveva tenuto un atteggiamento simile anche nei confronti dei propri familiari, tanto da somministrare al figlio minore la terapia Emdr. Ma il suo approccio sarebbe stato il frutto di questa visione e non è possibile provare un intento ingannatorio.