Processo

Caso Saman, la difesa della madre in tribunale: "Nazia Shaheen va assolta per non aver commesso il fatto" e "i genitori pensavano andasse via col fidanzato"

La madre di Saman, Nazia Shaheen, va assolta «per non aver commesso il fatto». Così ha concluso l’avvocato Simone Servillo, il difensore della donna pachistana, unica latitante, nella sua arringa davanti alla Corte di assise di Reggio Emilia dove sta arrivando alle battute finali il processo per l’omicidio della 18enne pachistana morta a Novellara nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021.
«Quella sera Saman disse ai genitori che voleva andarsene di casa; loro pensavano che lo avrebbe fatto con Ayub Saqib», il suo fidanzato in Italia. «Alle 22.53 le telecamere ripresero Nazia uscire di casa con Saman: insieme parlarono del fatto che lei voleva andare via. Questa è un’informazione nuova, che ci ha dato Shabbar», ha detto Servillo. «Nazia voleva convincerla a non andare via: per lei, e anche per me - dice il difensore - Saqib è una brutta persona».
Per Servillo non è sostenibile la tesi dell’avvocato Liborio Cataliotti, difensore di Hasnain, secondo cui la madre ha ucciso la figlia in quel momento stringendole un foulard al collo: «Nei 57 secondi in cui Nazia sta fuori non è verosimile che l’abbia strangolata. Ma chi doveva incontrare Saman? «A oggi nessuno lo sa - dice Servillo - I genitori non sono stati in grado di dirlo: secondo Shabbar, lei doveva uscire per incontrare Saqib e andarsene. Dopo gli altri allontanamenti di Saman, sapevano che trattenerla sarebbe stato inutile». Sono fissate udienze il 5, il 15 e il 19 dicembre.

"La vittima poteva essere mia sorella. Il mio assistito è un giovanissimo a cui è già stata stravolta la vita". E’ un passaggio dell’arringa difensiva dell’avvocato Mariagrazia Petrelli, che assiste Ikram Ijaz, uno dei cugini di Saman Abbas, imputato con altri quattro familiari per l’omicidio della ragazza.
Per Ijaz la Procura di Reggio Emilia aveva chiesto la condanna a 30 anni. «Durante i miei studi ho fatto letture sulla pena di morte, in cui si diceva che in questi casi il giudice dovrebbe interrogarsi fino allo scrupolo e dell’angoscia. Chiedo anche a voi di fare la stessa cosa: potremmo infatti ritrovarci di fronte a una condanna assimilabile. La permanenza in carcere è dura, ma a volte necessaria: ma un innocente dovrebbe riflettere su quant'è dura la vita?». E poi: 'Il clamore mediatico e la morte della 18enne non possono farci dimenticare due principi-chiave: la responsabilità individuale e la certezza della colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio. In quest’aula ho sentito parlare di patriarcato e chiedere una sentenza etica, ma la civiltà non può scontrarsi con questi principi».