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Dal 15 luglio 2021 - 21:00
Al 15 luglio 2021 - 23:00
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Domani alle 21 appuntamento all’Arena Shakespeare. Serata poetica fatta di parole, musica, testimonianze e pensieri nello spirito
Il titolo di questo libro fa riferimento a un verso di Shakespeare dove il Teatro viene inteso come una O, come un cerchio, o uno Zero, in una parola un luogo circoscritto che può essere percorso da eserciti, re, mascalzoni, angeli, demoni, anime e corpi di ogni genere e rimane oggettivamente nul (cioè zero) rispetto alla grandezza della materia e della fantasia che lo abita.
In questa O, per oltre cinquant’anni, io e i miei storici e irriducibili colleghi del Teatro Due di Parma abbiamo cercato di costruire una memoria attiva, solenne, turbativa che si è materializzata sia nella costruzione di un Teatro per la città, sia nell’elaborazione di tanti e diversi atti teatrali consumati sia al suo interno, che in Italia, in Europa e nel mondo, dove abbiamo attraversato la realtà giocando con Shakespeare, Sofocle, Aristofane, Goldoni, Molière, eccetera, con i moderni Büchner, Pasolini, Weiss, eccetera, e con robusti autori contemporanei che, tutti insieme, hanno inciso la nostra pelle con segni e tatuaggi profondi.
E poi lezioni, tournée, laboratori, eventi, progetti...
Ma questo non è un libro di memorie.
Anche se si parlerà spesso di memoria. Io non ho la memoria di tutto quello che ho fatto, perché ho ancora attivo il mio corpo faber, ma ho solo lampi di pensieri, di folgorazioni, di petulanze, di sdoppiamenti, di tentativi di afferrare la materia per il suo verso sempre, però, mutevole. Solo di questo riesco a scrivere.
La materia si presenta un po’ caotica, ordinata (o disordinata?) solo grazie alle date che, collocate alla fine di ogni frammento fingono di suggerire un percorso di qualcosa, dove almeno ogni parola è consapevolmente sorvegliata anche se pensata nel delirio dei conflitti di palcoscenico, degli errori, delle contraddizioni e dei ripensamenti; ogni affermazione è calibrata, ma nello sfinimento delle ore passate nei camerini dei teatri; ogni rimando è voluto, ma nel disordine dei pasti sui treni, sugli aerei, nelle pizzerie notturne, nella febbre delle attese nelle stanze d’albergo dove ogni concetto ha un senso la notte, prima di dormire, un altro nel sonno, un terzo la mattina quando ci si sveglia, e infine sulla carta, in piena coscienza, ne acquista uno definitivo sostenuto anche da una risvegliata autoironia.
Il legame tra i pezzi, sia in forma di racconto, sia in forma ironico-sapienziale, non è né logico, né stilistico, né narrativo, è una sorta di upanisad arbitraria e paradossale composta da: resoconti di tipo giornalistico, riflessioni (poche), aneddoti ragionati e chiosati, dialoghi finti e paradidattici, divagazioni con scorciatoie dialettiche, satire in oziosa forma oraziana, epistole reali e ipotetiche, scherzi e aforismi, più un’appendice su modalità di regia collettiva, materia che mi appartiene per esperienza diretta e che muove spesso la curiosità dei giovani che intraprendono vita e studi di Teatro.
(2020)
Somnio ergo sum in Amazzonia
Ore sei e trenta del mattino. L'imbarcazione procedeva lentissima nella nebbia sul fiume.
Si udiva lontano un rumore costante simile al sibilo di una improbabile segheria. I rami degli alberi, gravidi d'acqua, apparivano all'improvviso sfiorando il parapetto e le fiancate della barca.
Totalmente immerso in quell'inatteso mondo di bambagia dove il suono non trovava una collocazione spaziale e dava anzi l'impressione di nascere dentro la testa, io mi guardavo attorno con una sensazione di fastidiosa estraneità.
Il mio occhio poggiava soltanto su ciò che di volta in volta, procedendo senza pericolo grazie all'ampiezza del fiume, si sottoponeva per un istante al mio sguardo. Poi la barca si fermò, o almeno così pareva.
L'idea che il tempo avesse rallentato fino a dare la sensazione dell'immobilità e l'impossibilità di individuare una sorgente del suono che non fosse dentro il mio stesso pensiero, mi costrinsero a cercare nelle figure più vicine e domestiche una forma di conforto. Guardavo i visi di chi mi stava attorno e mi pareva che in essi le reazioni fossero dilatate in un tempo che non capivo se si situava così nel mondo che mi circondava o nella mia percezione di quel mondo.
I volti apparivano tesi e sconvolti da una preoccupazione che forse si riferiva al concreto disagio di una orribile notte passata nel buio totale della tenebra densa e ammorbante, viva soltanto per cupo ronzio di nugoli di zanzare affamate. Ora il veleno di quegli insetti scorreva nelle vene di tutti, sotto la pelle di quei volti, pulsava nel mio corpo e nel letto del fiume che rispondeva, al mio bisogno di orientamento, con un brontolio lontano e sovrastante e ci pioveva addosso come le cime grondanti degli alberi, che dall'alto si calavano sulle nostre teste.
Un incomunicabile senso di pienezza emotiva e, contemporaneamente, quella lucida estraneità che non riuscivo a decifrare. Poi piano piano, come riemergendo da uno stato di coma profondo emerse lentamente una certezza che più prendeva forma più mi allontanava da quel panico che invece avrebbe dovuto generare.
No. Ero troppo lucido per non dire che stessi realmente vivendo ed ero troppo rapito per non dire che stessi sognando; la verità, agghiacciante e confortante nello stesso tempo, era che io stavo concretamente vivendo quegli istanti, ma…nel sogno dl qualcun altro.
Così l'attore
(1988)
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