×
×
☰ MENU
☰ MENU

Parma -

Sabato 06 Settembre 2025


I Gang: «Con il nostro rock siamo sempre sulle Barricate»

La band marchigiana stasera sul palco del Ri-Party a Roccabianca. Marino Severini: «La perdita del passato è la vera malattia di questi tempi»

The Gang, la storica band marchigiana di folk-rock militante dei fratelli Severini, è tornata sulla scena e sulle piazze d’Italia con un nuovo album fresco di stampa, «Sangue e cenere» (febbraio 2015). In attesa di vederli stasera sul palco del Ri-Party di Roccabianca, scambiamo due parole con il cantante e paroliere Marino Severini.

Cosa possiamo aspettarci dalla scaletta del concerto?
«Oltre ai nostri brani più conosciuti, ci concentreremo sulle canzoni dell’ultimo cd: sono quasi tutte ballate, tanto che il disco è stato definito “commovente”, non so bene cosa significhi ma mi piace. Sarà un concerto intimo, che ci rappresenta oggi, una tappa di un percorso che vuole dare dignità alla musica popolare lasciando da parte i vecchi cliché».

Un brano narra l’episodio delle Barricate antifasciste in Oltretorrente del 1922
«Certo, quella di “Barricate” è una storia che ci appassiona e che conosciamo bene. Questo brano, come “La pianura dei sette fratelli” (da “Una volta per sempre”, 1995, ndr) è ispirato all’antifascismo come valore attuale: una sorta di medicina che rivitalizza la memoria, contro la malattia gravissima che ci affligge, la perdita del nostro passato. Non è una storia vecchia né inutile, anzi: il messaggio che ne esce è di “fare le cose quando è ora”, un antidoto per le coscienze».

Come sono accolti questi temi nei live?
«Girando l’Italia ci accorgiamo che episodi importanti della storia, come le Barricate, non sono affatto acquisisti, vanno tenuti vivi: sono indispensabili per rendersi invincibili anche da “non vincitori” di una storia che non sempre ci rispecchia, specie quando è scritta dall’alto».

Un altro brano che rappresenta qualcosa di speciale?
«Nei live l’onda emozionale più alta arriva da “Marenostro”, una preghiera al Mediterraneo in nome dei migranti che muoiono in mare. Sono storie crudeli che ci mettono a nudo, che rivelano un lato disumano della nostra società che non possiamo ignorare».

L’ultimo cd ha visto la luce grazie a una piattaforma di crowdfounding, la raccolta di fondi sul web. Che significato ha?
«Dimostra semplicemente che non esiste più un pensiero unico nella produzione musicale: oggi ci sono altre possibilità, dalle quali deriva un nuovo senso d’appartenenza e da cui nascono prodotti che sono veramente “bene comune”. Sarà il futuro, e per noi il futuro è sempre meglio del passato».

Avete recentemente collaborato con i Mé Pék e Barba, cuore folk della Bassa: nel loro ultimo album «CartaCanta» tu canti in «La tigre dell'Ogliastra». Facile prevedere che succederà qualcosa sul palco di Roccabianca...
«Al di là dell’aspetto musicale e della conoscenza personale, sono ragazzi di quella bellissima “razza contadina dell’Emilia” che dimostra che da radici ben annaffiate può sempre sbocciare qualcosa di bello. Sono questi incontri che ci fanno essere orgogliosi di stare là dove le cose iniziano, con giovani timonieri pieni di entusiasmo, proprio come in questo Festival di Roccabianca».

© Riproduzione riservata

ALTRI EVENTI