Dal 20 sab settembre 18:00
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Dal 20 aprile 2014 - 10:00
Al 21 aprile 2014 - 19:00
E’aperta al pubblico nei giorni di Pasqua e Pasquetta, alla Fondazione Magnani Rocca, di Mamiano di Traversetolo, la mostra «Campigli. Il Novecento antico». (orario continuato 10-19; la biglietteria chiude alle 18).
A poco più di un mese dall’inaugurazione l’esposizione ha già raggiunto i 5.000 visitatori, con altissima vendita del catalogo, Silvana editoriale, (acquistabile alla reception e nelle librerie o con la Gazzetta di Parma, a 18 euro più il prezzo del quotidiano) a riprova del gradimento del pubblico nei confronti dell’artista, presente nei maggiori musei del mondo ma pressoché assente dalla grande scena espositiva dopo la memorabile mostra che la Germania gli dedicò nel 2003.
Piacciono le donne di Campigli, tema a cui l’artista dedicò quasi esclusivamente la propria produzione; non possono fare a meno di attirare lo sguardo e la curiosità, il desiderio di comprendere quelle figure femminili elegantissime, ingioiellate, eppure prigioniere nel proprio mondo. Il mistero che si cela dietro le immagini viene indagato in oltre ottanta opere, concesse da celebri musei e raccolte private, a documentare l’intero percorso dell’artista, dagli anni venti agli anni sessanta. Tedesco di nascita, italiano di formazione, parigino per cultura, egizio, etrusco, romano, mediterraneo per elezione, Campigli (Berlino, 1895 – Saint-Tropez, 1971) fu un personaggio colto ed europeo (parlava cinque lingue), inusuale nel nostro panorama artistico.
Uomo solitario, nella sua pittura si intrecciano geometrie e magie, memorie e simboli (lesse Freud e Jung in lingua originale); fu anche scrittore raffinato e riservato. Per conoscere l’artista e la sua ossessione dell’immagine femminile bisogna entrare nella sua vita familiare. Il mistero è infatti protagonista nella vita di Campigli: solo in tempi relativamente recenti si è scoperto che era nato a Berlino e che il suo vero nome era Max Ihlenfeld. La madre, tedesca di appena diciotto anni, non era sposata; per evitare lo scandalo, il bambino viene portato in Italia, nella campagna fiorentina. La madre, che gli aveva dato il cognome, lo raggiunge saltuariamente; nel 1899 sposa un commerciante inglese e può prendere il bambino con sé, fingendo (per salvare le apparenze) di essere sua zia. A quattordici anni, Max scoprirà casualmente la verità. Questa vicenda familiare può spiegare, da un punto di vista psicologico, il mondo espressivo dell’artista: il suo universo di donne quasi inconoscibili, immobili e insieme sfuggenti e distanti, è in definitiva una lunga meditazione sull’enigma femminino, sull’icona della Dea-Madre. Non uscirà più dalla dimensione infantile e permetterà alla sua immaginazione di prendere il sopravvento sulla realtà per rendergliela accettabile. Scrive infatti: «Non mi sono mai rifugiato nel sogno, nell’infantilismo, ci sono semplicemente rimasto, non ne sono mai uscito».
La mostra, a cura di Stefano Roffi, è suddivisa in cinque sezioni, oltre ai grandi mosaici allestiti nel giardino della Villa dei Capolavori. Sarà visibile fino al 29 giugno.
Stefania Provinciali
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