Dal 20 sab settembre 18:00
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Dal 11 aprile 2014 - 21:00
Al 11 aprile 2014 - 23:00
Una coperta per attraversare le tempeste del nostro tempo. E’ proprio al pubblico che si chiede di creare la scenografia, formata esclusivamente dalle coperte che ciascuno porterà da casa: questo l’invito di Motus ad immergersi «Nella Tempesta», venerdì alle 21 al Teatro al Parco, spettacolo conclusivo della stagione 2013/14 di Briciole Solares Fondazione delle arti. La storica e pluripremiata compagnia riminese diretta da Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande approda sull’isola shakespeariana di Prospero attraverso le suggestioni dei testi fantascientifici di Philip Dick e Aldous Huxley, e riflette sulla condizione di altre isole del nostro presente, come Lampedusa e i suoi migranti. Proprio a chi è senza un tetto le coperte del pubblico verranno infine donate, grazie alla onlus parmigiana Ciac che si occupa di immigrazione e cooperazione internazionale.
Cosa significa stare «nella Tempesta» in questo spettacolo?
«Pensavamo a come descrivere un futuro possibile - spiega il regista Enrico Casagrande - e siamo arrivati al 'Brave new world' di Huxley, con la sua società devastata che è però anche una citazione della 'Tempesta'. Ci siamo calati nella lettura shakespeariana affascinati non tanto dai contenuti quanto da alcuni 'topoi' che abbiamo ritrovato al suo interno, come il rapporto con il potere, concentrandoci sulle figure di Prospero Ariel e Caliban. L’isola del testo tra l’altro geograficamente potrebbe riferirsi proprio a Lampedusa: da qui ci siamo immersi profondamente in alcune dimensioni del quotidiano, dentro a questa pesante tempesta che stiamo attraversando, riflettendo sulla situazione del Mediterraneo, sulle tragedie degli sbarchi. Ci siamo posti la domanda 'a chi appartiene questa terra?', raccogliendo testimonianze dirette sul campo, a Lampedusa e Tunisi. Anche agli attori chiediamo molto, è uno spettacolo dove le tempeste personali degli interpreti si intrecciano alla scena».
E anche agli spettatori chiedete di vivere non una sospensione della realtà, ma un’esperienza collettiva.
«Lo spettatore è parte integrante, in un certo senso è il motore di tutto perché se ogni volta non ci fossero le sue coperte lo spettacolo non potrebbe farsi. A monte c’è stata la decisione di costruire un lavoro estremamente povero: le coperte sono il primo rifugio di un homeless, ma anche la magica isola sotto cui nascondere i tuoi sogni di bambino. C’è stata la volontà di scardinamento di una certa pesantezza del teatro, con le sue scenografie morte chiuse nei magazzini».
Siete una delle compagnie teatrali italiane invitate sui palcoscenici di tutto il mondo: secondo la vostra esperienza quanto oggi il teatro con i suoi strumenti antichissimi può indagare un mondo globale che comunica ad altissima velocità?
«Il teatro è uno strumento arcaico ma ha il pregio della velocità rispetto ad altri mezzi come il cinema, può modificarsi ogni volta che si va in scena, rimanere 'vivo', almeno per come lo facciamo noi che continuiamo a seguire la tournée, cambiando piccole e grandi cose. Nonostante la velocità dei social network, c’è una grande comunità che vuole ritrovarsi in un rito collettivo come il teatro».
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