Gusto
Salse di Francia: la grande cucina d'oltralpe non può farne a meno
Le salse sono uno dei tanti vanti della cucina francese. Sono nate per arricchire il sapore degli alimenti, legare, condire, valorizzarne le caratteristiche anche col rischio, nei casi peggiori, di coprirli
Non si contano e forse non è nemmeno possibile contarle, perché le salse sono, è la perfetta definizione di Livio Cerigni di Castegnate nel «Cuoco gentiluomo», «un’idea astratta di sapori compositi che ha preso vita per mano di cuochi pigmalioni». E’ un’idea molto vecchia di cui si trovano tracce nelle culture dei popoli antichi, dai Sumeri ai Romani, e che probabilmente vide la luce già nella preistoria quando qualche succo raccolto nella cottura fu aggiunto a qualcosa d’altro e il sapore ne risultò accresciuto.
E questa è ancora la funzione delle salse: arricchire il sapore degli alimenti, legare, condire, metterne in valore le caratteristiche anche col rischio, nei casi peggiori, di coprirli e falsificarne le qualità. La storia della cucina si sviluppa con esse dal Medio Evo all’Ottocento e fino alla fondamentale classificazione che nel 1903 ne diede Auguste Escoffier («il re degli chef, lo chef dei re») nella sua «Guide culinaire». Sono «onore e vanto della cucina francese e hanno contribuito ad assicurare -secondo Curnonsky- quella superiorità che nessuno discute»: questo è stato probabilmente vero per buona parte del Novecento, ma poi le cose sono cambiante, a cominciare dalla Francia stessa.
Da Auguste Escoffier tuttavia si deve ancora oggi partire per cercare di orientarsi e ricavare quegli insegnamenti che aiutano a fare di una preparazione banale un grande piatto. Nella sua classificazione le salse madri, da cui si generano tutte le altre, sono quattro: la salsa spagnola, la vellutata, la besciamella e quella di pomodoro. Queste salse vengono a loro volta dal fondo bruno di carni rosse o dal fondo bianco di carni di pollo, vitello o pesce. I fondi sono preparazioni molto complesse che richiedono tempo e cura e che sono compito specifico del salsiere, figura professionale un tempo importantissima nelle brigate di cucina. Per ottenere una salsa si unisce al fondo un roux, che è un addensante ottenuto cuocendo lentissimamente burro e farina setacciata, amalgamando con cura e che in base ai tempi di cottura avrà colore bianco, biondo o bruno.
Per fare un fondo bianco bisognerà, ad esempio, mettere in acqua fredda ali o carcassa di pollo, portare a bollore, schiumare, togliere le impurità, aggiungere cipolla, aglio, pepe, un bouquet di erbe aromatiche, funghi champignon. Si fa cuocere 4-6 ore, si assaggia e, se il brodo ha il giusto sapore, si filtra perché sia limpido, chiaro, gustoso. Altra cosa il fondo bruno, dove ossa e carni a pezzetti andranno fatte tostare, poi si unirà molto burro, si cuoce ancora, quindi aglio, scalogno e alla fine timo, salvia, rosmarino. Si scolano le carni, si sgrassa con aceto di Xeres, si rimette la carne, si bagna col fondo bianco poco per volta, si fa ridurre e concentrare il gusto. Poi continua la cottura, si sgrassa, si cuoce ancora, si passa al colino cinese, si lascia raffreddare, si toglie il grasso, si fa ridurre la salsa a consistenza desiderata.
Questi procedimenti variano secondo il dettato del cuoco e si capisce che è difficile improvvisare. La salsa spagnola si prepara a partire da un fondo e un roux bruni cui si aggiunge un soffritto di prosciutto, carota e cipolla, si cuoce a lungo, si aggiunge concentrato di pomodoro. La salsa vellutata è fatta con un fondo bianco e un roux diluiti con brodo: da questa derivano la supreme (con panna, uova, formaggio), la vichyssoise (porri e patate)... La salsa besciamella è con burro, farina, latte: da lei derivano la Mornay (panna, Parmigiano o Gruyere), la Nantua (fondo di gamberi, burro, panna, Cognac)... Infine la salsa al pomodoro, da cui tutte le salse e i ragù della tradizione italiana.
Oggi, tuttavia, si richiede, e già lo voleva la «Nouvelle cuisine» (Gault e Millau 1973), di non esagerare con le salse e di evitare l’uso di quelle più ricche: si preferiscono piatti semplici, non truccati, con le materie prime in evidenza. Così come vuole quella signora bellissima e sofisticata che al maitre sussiegoso di un ristorante di lusso che le propone: «Consommé d’Orleans, potage soissonaise, bouché à la gauloise, marmite lyonnaise, soupe Colbert, bouillon royale, crepes Waleska a la sauce suprème...» risponde, con voce roca e maliziosa: «Rigatoni!». Era un Carosello della pasta Barilla, girato nel 1985 da Federico Fellini (che inventa anche quell’improbabile menu), con musiche di Nino Rota, arrangiamento di Nicola Piovani.