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La seconda vita della pasta
Barilla ha puntato sulla sostenibilità e sulla lotta allo spreco alimentare. La chef Marianna Vitale e le ricette che mirano al riutilizzo del cibo
Nella giornata mondiale della pasta Barilla ha trovato un modo speciale per celebrare l’ingrediente più rappresentativo per antonomasia della cucina italiana. Katia Desogus (Pasta Barilla Marketing Director Italy) e Beatrice Penna (Barilla Group Digital Marketing & PR Manager) hanno spiegato come le nuove confezioni blu con logo rosso della pasta classica Barilla, in un’ottica di maggiore sostenibilità e di tutela del pianeta, attraverso un significativo gesto d’amore, abbiano eliminato la finestra di plastica trasparente e si siano convertite al solo cartone.
Il menu di Marianna Vitale
Quanto alla sostenibilità intesa come lotta contro allo spreco alimentare, Barilla ha affidato l’arduo compito di dare una seconda vita alla pasta del giorno prima a Marianna Vitale, chef stellata di Sud Ristorante a Quarto (Napoli). La cuoca partenopea, che dal 2016 vanta un menù interamente dedicato alla pasta, non è soltanto una specialista in materia. Alle qualità professionali, unisce una spiccata sensibilità e una capacità di approfondimento e di riflessione notevoli che, innestandosi su un indiscutibile senso del gusto, hanno portato a entusiasmanti prove d’autore in cui la pasta classica Barilla, prendendo spunto dalla tradizione gastronomica campana, ha ricevuto una valorizzazione fuori dal comune.
Il gesto d'amore
Così ha commentato con grande intelligenza la Vitale: «Cucinare bene è il mio gesto d’amore. Riguardo al progetto che mi è stato affidato, in quanto professionista della ristorazione, che mette al centro del proprio lavoro il cliente e la sua soddisfazione, e che dunque cucina appositamente per lui, è stato difficile pensare al riciclo, che invece in una cucina di casa è sdoganato. Ho pensato di eliminare delle “etichette” pesanti per noi e di immaginare nuovi modi per cucinare la pasta. Per etichette intendo, ad esempio, il fatto che non esiste un modo unico per cucinare la pasta, non c’è un tempo di cottura univoco: un consumatore che va al ristorante, la vorrà al dente. Uno che la mangia in casa magari la avrà appena scotta, il sugo non sarà perfettamente amalgamato, ma sarà comunque il piatto comfort. Poi c’è da tener conto del momento emotivo che appartiene all’italiano. Un approccio legato all’organizzazione. Un tempo si faceva la spesa in base a cosa si voleva cucinare e per chi lo si doveva fare. Chi, tornava a casa da scuola affamato come me mentre la pasta stava cuocendo, viveva l’attesa come se il tempo non passasse mai e allora gli veniva servito un mestolo di acqua di cottura della pasta che in qualche modo ne conteneva l’essenza e comunque riscaldava, preparava lo stomaco».
L'interpretazione della Vitale
Ed ecco l’idea di interpretare l’attesa con una sorta di cross over tra quel ricordo e un hot gin cocktail, mettendo a punto una miscela calda “particolare” (così anche il nome del ristorante milanese che ha ospitato la performance della Vitale per Barilla) con acqua di cottura della pasta leggermente rifermentata con pasta madre, ginepro, pepe rosa e buccia di limone (una bevanda intrigante con note amidacee simil appretto, lieve acidità e sapidità da liquido di governo della mozzarella). La traduzione concreta della riflessione di Marianna Vitale sul tema della “seconda vita” della pasta è strettamente connessa agli usi tipici partenopei e a una diversa considerazione del fattore tempo. Oltre all’attesa, esiste anche la rivoluzione temporale che è rappresentata dalla frittata di maccheroni. «Non si tratta – ha spiegato la Vitale - di un piatto di puro riciclo». Piuttosto appartiene sia alla sfera del pensare in avanti relativamente a chi la deve fare, sia all’ambito dell’indizio emotivo per chi sa che verrà preparata. Per chiarire: «Se il giovedì si facevano i maccheroni col pomodoro e in previsione c’era di fare una gita fuori porta di sabato, allora se ne cuocevano di più proprio per poi poter fare la frittata di pasta. Chi stava a tavola e si era accorto che era stata preparata più pasta del dovuto, capiva immediatamente che a breve si sarebbe andati in gita e ne gioiva anzitempo. E così ho pensato di fare una Frittata di spaghettoni con ‘nduja, guarnita con crema di pomodoro, cozze marinate e lime». Servita a temperatura ambiente, con crosticina brunita croccante e profumo di ‘nduja, sprint acetico della marinatura dei muscoli che si estende alla crema di pomodoro, note fresche del lime, grazie al poker dolce-piccante-agro-sapido è risultata tanto appetitosa quanto leggera. «Ci sono delle ricette, del Sud, come quelle della pasta con i legumi, che necessitano di riposo per essere più buone. Pasta e fagioli ad esempio merita riposo. Quella che propongo io, Ditaloni lisci “riposati” con crema di fagioli e alghe, viene impiattata e poi lasciata a riposare lì fino a quando non si è formato quel caratteristico velo di sosta superficiale che fa da isolante. Solo allora, metto il succo di lime, che resta come sospeso, e poi le alghe e dei fagioli campani»». Tiepida, corposa, con la pasta al dente, i fagioli teneri ma compatti, e un florilegio di alghe a dare verve insieme alle note citriche, si lascia gustare riempiendo naso e bocca di note iodate come se si stesse seduti sulla battigia con la frescura della brezza marina »». Un altro concetto temporale che può determinare nuovi modi di cucinare la pasta è quello di stop. «Durante la pandemia, c’era comunque da ripartire. Con la nostra tavola calda Angelina dovevamo pensare alle consegne. Così abbiamo pensato a una pasta che fa metà cottura, questa cottura viene fermata e la pasta viene condita. Insomma fa uno stop. Questo ha aperto molteplici scenari: su cosa può diventare una pasta. Un esempio di come l’abbiamo portata all’estremo sta negli ziti (fermati a mezza cottura) aglio olio e peperoncino che visti come base su cui lavorare hanno dato vita a sette, otto versioni differenti (possono diventare una frittata di pasta da servire fredda). Addirittura la stessa pasta stoppata a metà cottura, posso servirla fredda o calda e cambia completamente». Dalle parole ai fatti: gli Ziti tagliati con crema di cavolfiore settembrino, anice e bottarga serviti in due temperature (una calda, una fredda) hanno dato ragione alla Vitale. In quelli caldi, la pasta era più morbida, la nota di cavolfiore prevaleva sulla freschezza aniciata e in qualche modo l’idea evocata era quella di una pasta con condimento cremoso; in quelli freddi, con texture della pasta più turgida, era l’anice a spiccare e con la complicità della croccantezza del cavolo crudo, quasi richiamando l’idea di un’insalata di pasta. Tre prove autoriali di grande spessore.