GUSTO

Irresistibile "picàja"

Chichibìo

Un vero concentrato di sapori parmigiani

Una ricetta della nostra sincera cucina popolare - Il tratto di nobiltà è arrivato anche nell'evoluzione del nome: da picaja a «punta di vitello ripiena». Che un tempo era soprattutto lessata e ora va al forno

Il taglio di carne della punta di vitello è certamente tra i più economici e dimenticati che i nostri macellai possono proporci e, come spesso accade in questi casi, si tratta di una cosa molto buona, anche se il suo nome, «picàja», non è proprio altisonante. Già il termine dialettale rimanda alla cronaca prosaica di un piatto che ha origine nella cucina padana e nella tradizione domestica che ha saputo trasformare un pezzo di carne negletto in un piatto della festa, delle ricorrenze speciali, sempre da tutti molto gradito. Lorenzo Sartorio, in uno dei suoi appassionati e preziosi interventi sulla «Gazzetta» (21.2.2022), ha raccontato quanto quel piatto fosse popolare e come personaggi di un tempo si identificassero con esso fino ad assumerne il nome e come un'osteria molto frequentata di borgo Palmia proprio «Picàja» si chiamasse in onore e a sottolineare la maestria che la cuoca aveva nel prepararla. Poi l'osteria cambiò gestione, fu «La Campanära» e probabilmente mutò anche il menu.

Ma non si smarrì la fama e il piacere di quel piatto, che da popolare, casalingo e da osteria che fu arriva a noi imborghesito, se si può usare questa espressione, e diventa «Punta di vitello ripiena». Era prevalentemente lessato, ora quasi sempre arrostito; era di vitello e ora, che questi sono diventati merce rara, la punta è di vitellone. Oggi si è un po' persa l'abitudine di cucinarla in casa, tuttavia sono moltissimi i ristoranti e le trattorie che la propongono come piatto tipicamente parmigiano. E hanno ragione a sottolineare questo aspetto, perché se la cucina italiana ha nei repertori regionali molte preparazioni con carni ripiene (la più famosa è la grande «Cima alla genovese»), la farcitura della picàja è solo nostra e ripropone gli ingredienti e i sapori, dolci e materni, che ben conosciamo a cominciare dal Parmigiano, le uova, il pane grattugiato, un goccio di brodo per legare, sale e pepe. Questo è il ripieno principe con cui si farciscono anche cappone e gallina, con cui alla Bassa si fanno gli anolini.

Poi, si sa, le ricette amano le variazioni e ogni famiglia, ogni cuciniere ha la sua e allora ecco chi aggiunge al ripieno un po' di concentrato, chi lo screzia con qualche foglia di prezzemolo, chi con grani di salsiccia -niente tuttavia che valga il colore paglierino e il sapore dolce del ripieno senza aggiunte di sorta. S'è detto piatto da trattoria e va aggiunto che non è un piatto sbrigativo: naturalmente, come sempre, la differenza sta nella qualità della carne e degli ingredienti che daremo per scontati, poi c'è la necessaria cottura dolce, attenta, lunga affinché la carne sia tenera e il tutto ben amalgamato. Infine la picàja deve essere pronta per il momento del servizio ché di un arrosto si tratta e si sa che gli arrosti soffrono se vengono riscaldati e in questo caso la carne si indurirebbe, il ripieno simile a un mattone.

Occorre allora servirla appena fatta ed è per questo che un famoso ristoratore della nostra città la propone sempre accompagnata dal ritornello «appena sfornata» e, anche se sorride un po' auto ironico e noi sappiamo che è bene non credere mai troppo agli osti, gli si può dare fiducia perché in realtà è una specialità della casa e ai tavoli sono molti i clienti che l'hanno ordinata e la mangiano soddisfatti. Infine, si torni al nome: picàja è il termine dialettale della punta di vitello, come attesta Guglielmo Capacchi nel suo «La cucina popolare parmigiana» dove ne dà la ricetta nella versione al forno e lessata. Un caro, indimenticabile amico sosteneva però che per fare quella lessata andasse usata la parte terminale, la punta del sottopancia di vitello, dove c'è poca carne e un filo di grasso e che qui andasse ricavata la tasca, mentre lo spessore è di circa 2 cm da farcire col classico ripieno parmigiano.

Fatta cuocere con le verdure, si lascia sobbollire, poi intiepidire, affinché il ripieno si rassodi e non scappi da ogni parte al momento del taglio. Per quella al forno servirà invece la parte centrale, disossata e con più carne, poi stesso ripieno. Ultima e buona notizia: un gruppo di «Bontà dell'Appennino» ha dato vita in questi giorni alla “Confraternita della Picàja”. Lo scopo è quello di tutelare il piatto, promuovere la ricetta, indagarne storia e evoluzione e, ovviamente, organizzare molte degustazioni. Presidente è il «Gran Duca» Luigi Calzoni, segretario il «Marchese» Alberto Anelli, tesoriere il «Conte» Andrea Riccò.

Il tratto di nobiltà è arrivato anche nell'evoluzione del nome: da Picaja a «punta di vitello ripiena». Che un tempo era soprattutto lessata e ora va al forno.