Editoriale

Da Stargate a Tesla: quanto è solida la luna di miele tra Elon Musk e Donald Trump?

Aldo Tagliaferro

Al momento sono ancora in luna di miele, ma due personaggi scomodi, egocentrici e debordanti come Donald Trump e Elon Musk potrebbero essere destinati - nemmeno troppo tardi - a entrare in rotta di collisione e allora non basterebbe nemmeno la futuribile guida autonoma, su cui Tesla sembra davanti a tutti, a evitare l’impatto.
Il miliardario sudafricano ha un ruolo non banale nella struttura di governo disegnata dal neo presidente degli Stati Uniti: è a capo del Doge, Department of Government Efficiency, una sorta di ministero temporaneo che ha il compito di tagliare le spese inutili, efficientare la burocrazia e ridurre le norme in eccesso. Musk, ra l'altro, ha già fatto fuori l’altro miliardario che doveva codirigere il Doge, Vivek Ramaswamy.
Le prime crepe si stanno aprendo sul progetto Stargate che coinvolge OpenAI, Softbank e Oracle e che nella visione di Trump prevede fino a 500 miliardi di dollari di investimenti in infrastrutture per l’intelligenza artificiale. Elon Musk, con la consueta delicatezza, ha buttato lì un laconico e sprezzante «non hanno i soldi». Alla base ci sono antiche ruggini con Sam Altman, insieme al quale Musk fondò OpenAI dieci anni fa.
Lo staff di Trump è furioso con il patron di Tesla: «Ha chiaramente abusato della sua vicinanza al presidente», ha fatto sapere alle agenzie un alleato del presidente. Il tycoon al momento getta acqua sul fuoco, riducendo il tutto a uno screzio personale («A Elon non piace una di queste persone, ma anche io nutro antipatia per certe persone. Le critiche non mi danno fastidio», ha commentato Trump). Ancora nulla di clamoroso, certo, ma a meno di una settimana dall’insediamento del nuovo inquilino alla Casa Bianca è quanto meno il segnale che dovremo abituarci a situazioni del genere perché la cifra di Elon Musk è questa e difficilmente cambierà registro.
Ma c’è un altro fronte che potrebbe deflagrare da un momento all’altro, quello dell’auto elettrica che al momento sembra vedere Trump e Musk sulle sponde opposte del fiume. Nel suo discorso inaugurale di restaurazione The Donald ha stroncato a chiare lettere l’auto con la spina, con un inno al petrolio scandito dal «Drill baby drill» che è già diventato virale. Il ritorno al petrolio prevede l’eliminazione del credito d’imposta a favore dei produttori di auto elettriche, al momento 7.500 dollari a veicolo. Se Musk tace è perché il parere di diversi analisti è che la decisione intaccherebbe solo marginalmente la posizione di Tesla, saldamente leader di mercato, mentre avrebbe un impatto maggiore su Ford o GM, in ritardo sull’elettrico, che potrebbero ricevere il colpo di grazia dalla retromarcia della Casa Bianca. Ci sono però diverse obiezioni da muovere: gli altri costruttori americani potrebbero finalmente passare all’incasso degli ingenti investimenti degli ultimi tempi in termini di mercato contro i modelli di Tesla che cominciano ad essere vecchiotti. Non solo: per Trump non sarà così facile allentare gli standard normativi previsti dall’Epa (l’Agenzia per la protezione dell’ambiente) che obbligano le Case a vendere veicoli elettrici per evitare le sanzioni legate alle emissioni e poi ci sono Stati, la California in primis, che potrebbero opporsi, Il Carb (California Air Resources Board) decide sulle emissioni in deroga all’Epa e Trump dovrebbe imbarcarsi in un lungo braccio di ferro legale per modificare le regole. Senza contare - e qui entra in gioco direttamente Musk - che è proprio grazie alle misure stringenti come gli standard Carb che Tesla incamera una buona fetta dei suoi introiti. Infatti Tesla, che produce solo elettrico (ma vale anche per alcune start-up di settore), vende i crediti per veicoli a zero emissioni prodotti oltre la quota prevista alle Case che sono in ritardo. Dal 2018 parliamo di quasi 10 miliardi di dollari di ricavi, circa un quarto dei 36 miliardi di utile operativo della Casa californiana. E fin qui siamo negli Usa, ma lo stesso discorso vale per l’Europa dove in tanti - da Stellantis a Toyota, da Ford a Mazda - hanno optato per il meccanismo di condivisione delle emissioni (il «pooling») proprio per evitare sanzioni rimpinguando così le casse di Tesla: Ubs stima che quest’anno Tesla potrebbe ricevere oltre un miliardo di euro di risarcimenti dai rivali che devono centrare standard altrimenti impossibili.
Aggiungiamo infine qualche numero relativo a Tesla che, nonostante il clamoroso sorpasso su Audi consumato nel 2024, ha più di un motivo per non dormire tranquilla: le consegne hanno registrato un calo dell’1,1% lo scorso anno, al di sotto delle aspettative del mercato, mentre il colosso cinese Byd ha già messo la freccia per superare Tesla come primo costruttore elettrico al mondo, costringendo peraltro ad abbassare i listini sul mercato cinese. E la classifica annuale di Brand Finance stima il valore del brand Tesla in picchiata a 43 miliardi di dollari contro i 58,3 di inizio 2024 e i 66,2 miliardi valutati due anni fa.
Se gli eventi per Tesla dovessero precipitare, è facile ipotizzare un Musk in rotta di collisione con il trivellatore della Casa Bianca. A meno che il miliardario non consideri l’era dell’auto elettrica che lo ha reso ricco già superata e sia ormai totalmente proiettato nella space economy: lì lo spazio per il suo ego smisurato pare esserci in abbondanza.