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Indie planet: il soldatino di piombo e l'ultimo magazziniere

Riccardo Anselmi

TIN HEARTS (Wired, per Pc e console)
Il più famoso rimane quello dell’omonima fiaba di Hans Christian Andersen, che si conclude con l’immagine dell’unica traccia rimasta del coraggioso protagonista, un cuoricino di stagno, in inglese “a little tin heart”, ma sono destinati a ritagliarsi un posto d’onore anche i soldatini di stagno del videogame “Tin hearts”, senz’altro un po’ dispettosi e con i quali dunque si è meno portati a entrare in empatia, però sono perfetti nella loro foggia d’antan, in grado di evocare un periodo, l’età vittoriana, che è stata la stagione d’oro della case da bambola e delle statuine in miniatura. Tin hearts favorisce proprio un tuffo nel mondo incantato dell’infanzia, capace di spalancare gli occhi per la meraviglia. Mentre si deve preservare i soldatini caricati a molla, aiutandoli a superare i tanti ostacoli che si frappongono alla loro marcia, diretti verso una meta che potrà svelare il segreto dell’inventore di giocattoli tutto preso dalla passione per i suoi progetti. Ne veniamo a conoscere a poco a poco l’esistenza seguendo il viaggio del volitivo drappello, in un edificio pieno delle straordinarie creazioni di Albert Butterworth, delle più svariate tipologie. Gli sviluppatori di Rogue Sun hanno realizzato anche un prequel delle vicende del geniale Albert e dell’amatissima figlia Rose: il filmato d’animazione The little soldier who dared, disponibile su Youtube, ha la voce narrante dell’attore Stephen Fry, con il quale Kostas Zarifis, amministratore delegato della software house inglese, aveva avuto modo di collaborare nell’acclamato Fable di Lionhead studios. Alcuni membri di quel team si sono ritrovati per realizzare Tin hearts dove, di puzzle in puzzle, si dischiudono i capitoli di una commovente storia palpitante di vita, tra slanci, errori, delusioni, cadute e voglia di risollevarsi.

MOONS OF DARSALON (Dr Kucho, per Pc e Mac)
Ci sono videogame dei quali è impossibile non cogliere subito l’anima artistica. Moons Of Darsalon siede nei posti più alti. Lo si può approcciare alla stregua di un manifesto del movimento rétro di cui si fa portavoce lo spagnolo Dr. Kucho, al secolo Daniel Manzano, una carriera come dj e produttore musicale che ha dedicato al progetto otto lunghi anni di passione. Il ritorno di fiamma per gli amori di gioventù a 8-bit e 16-bit, il Commodore e lo Spectrum, ma anche la sintesi multimediale di riflessioni a cavallo tra science fiction e sogni elettronici, sul filo di quello humour un po’ sbilenco che ne caratterizza l’intera opera, a cominciare dal satirico Ghosts’n Djs, omaggio al classico Ghosts ‘n goblins e allo stesso tempo critica alle derive commerciali della dance. Moons Of Darsalon dipinge un futuro vintage dai colori sgargianti, alla guida di stralunati astronauti sperduti tra le avversità di bizzarri pianeti alieni. Splendidamente animato a mano, il gioco mette in campo in realtà soluzioni tecniche all’avanguardia, sia per quanto riguarda l’interattività che, pur nella dimensione 2D, approfondisce molti aspetti fisici, sia a livello di intelligenza artificiale, in una fantasmagoria dove, per la gestione indiretta dell’equipaggio, si citano a più riprese Lemmings e Pikmin. Ovviamente non manca una nota particolare per la colonna sonora, composta emulando il sound chip Sid 6581 del mitico C64.

THE LAST WORKER (Wired, per Psvr2)
Un magazzino merci grande quanto una città e un ultimo lavoratore umano rimasto lì a smistare e sistemare scatole di cartone. I suoi colleghi sono tutti robot che hanno rimpiazzato a uno a uno le persone colpevoli di commettere errori in una catena ben oliata, che non ammette incertezze e rallentamenti, nell’aspra critica al capitalismo allestita da Wolf & Wood e Oiffy, pur condotta attraverso la graffiante ironia dei testi e la colorata grafica cartoon realizzata con la collaborazione dell’artista Mike McMahon (2000 AD, Judge Dredd). In un futuro immaginato vicino, ma virato verso le tinte fosche della distopia, l’intelligenza artificiale e i processi di automazione hanno infatti preso il sopravvento e la stessa esistenza del dipendente modello protagonista è costantemente minacciata, per cui l’uomo si attacca a un’ansia di perfezionismo, a una disperata strategia di sopravvivenza, a una lotta impari con le implacabili creature meccaniche. Il senso di alienazione appare in tutta la sua drammaticità quando ci si accorge di aver trascorso le proprie giornate per inseguire progetti che non erano i nostri, nella ripetizione di gesti, lontano dalla luce del sole, dal calore degli affetti e dalla bellezza della natura. Ma pian piano si fa largo l’ombra di una cospirazione che potrebbe scardinare lo status quo. Un’esperienza narrativa sui generis, godibile attraverso le frontiere dell’immersione, con la realtà virtuale del visore Psvr2 di Playstation.


HAVE A NICE DEATH (Gearbox, per Pc e Switch)
Malinconia burtoniana e graffiante ironia per un action roguelike 2D che mette in scena una versione umana, troppo umana del mondo ultraterreno, dove il Tristo mietitore, dotato di un diversificato arsenale di falci, è rappresentato come il ceo di una multinazionale, che si chiama, ça va sans dire, la Death Inc. Oberata di lavoro, la Morte prova a delegare ai vari reparti il suo gravoso compito, ma i sottoposti si rivelano eccessivamente di buona lena nel seminare guerre, malattie, incidenti e catastrofi al fine di determinare i trapassi. L’unico risultato è dunque vedere scatenarsi una scia di decessi senza precedenti e per la Morte il moltiplicarsi di pratiche burocratiche da smistare. Il passo successivo per il grande capo sarà dunque lasciare il suo ufficio per andare a constatare di persona l’attività delle diverse divisioni, eliminare gli inghippi e arrivare, forse, a godersi un meritato riposo. È qui che comincia a delinearsi la parodia spietata di un’organizzazione dai ritmi massacranti. Non ci sono sconti per nessuno, in questa galleria di ordinarie mostruosità, disegnate però con quel tocco di empatica poesia che pervade ogni ambientazione allestita dai Magic design studios. L’atteggiamento improntato al motto Castigat ridendo mores non risparmia neppure la mensa aziendale: stavolta è il cibo spazzatura a essere preso di mira, per mettere in guardia da come, pure qui, si punti più alla velocità industriale nella preparazione dei cibi e al risparmio che non alla qualità per il benessere dei dipendenti. Finali multipli.


HUNT THE NIGHT (Dangen, per Pc)
Ormai appare chiaro come dietro la grafica rétro di molti produzioni indie si nascondano progetti tutt’altro che minori, capaci così di emanciparsi dalle catene dei grossi budget, recuperando anche l’amore per i classici di cui si fanno testimoni tanti nuovi sviluppatori. È il caso di Moonlight, studio spagnolo di nostalgici dell’era a 16-bit, che rivive pienamente in Hunt the night, l’action adventure dark fantasy con il quale il team si presenta ora sulla scena accompagnato da Hiroki Kikuta, già autore della colonna sonora della pietra miliare Secret of mana. Alcuni saluteranno Hunt the night come l’erede dei Castlevania, altri coglieranno i rimandi a Bloodborne e a The legend of Zelda, tra venature esplorative rpg e combattimenti difficili e tecnici, il tutto ovviamente riletto nella chiave 2D del digital entertainment dei primi anni ‘90 che riecheggia in ogni dettaglio, a cominciare dall’assoluta protagonista, la pixel art, dove l’old school sposa una ricchezza di forme e della tavolozza dei colori quasi barocca. Con la sua estasi gotica, Hunt the night si inserisce d’altronde a buon diritto nella corrente iberica che negli ultimi tempi ha contribuito a rinverdire l’immaginario horror, anche videoludico, dai reboot di Castlevania e Metroid firmati Mercurysteam a Blasphemous di The game kitchen.


LABYRINTH OF ZANGETSU (Pqube, per Pc, Playstation e Switch)
È una tecnica pittorica a dettare l’intera cornice - stilistica e narrativa - del gioco di ruolo dungeon crawler 3D sviluppato dalla software house Acquire di Tokyo, che ha scelto di ispirarsi agli inchiostri in bianco e nero detti suiboku-ga, conosciuti anche come sumi-e. Dipinti con veloci pennellate, capaci di ricreare paesaggi e scene popolate di personaggi, rotoli e paraventi realizzati con il sumi-e costituirono il vanto del periodo Muromachi (1338-1573) e proprio al Giappone feudale rimanda il fantasioso mondo di Labyrinth of Zangetsu, nei suoi scenari, nei suoi eroi, nei suoi nemici tratti dalla ricca galleria di esseri soprannaturali del folclore del Paese del Sol levante. Fu però nel periodo Edo (1603-1867) che venne codificato l’aspetto al quale gli yokai sono rimasti associati. Il videogame è ambientato in un immaginario periodo Ido, minacciato da un inchiostro che, come una nebbia malefica, giunge ad avvolgere e inghiottire ogni cosa, laddove non arriva la protezione magica della luce della luna. L’inchiostro riesce a corrompere i vivi e i morti, annientando i primi e risvegliando i secondi, sotto forma di voraci ghoul. Un drappello di guerrieri dalle caratteristiche variegate è però pronto, esplorando la città fortezza di Ido e i labirinti che la circondano, a combattere i demoni, in un’impresa immersa profondamente nella tradizione nipponica, compresa la colonna sonora.


CANNON DANCER (Inin, per Playstation, Switch e Xbox)
Anche il digital entertainment ha i suoi classici, a volte oscuri e dimenticati, spesso legati a un’epoca che non c’è più, quella degli arcade, quando i videogame erano ancora una chimera difficile da catturare all’interno delle quattro mura di casa, ma che si poteva osservare nel massimo splendore solo per mezzo di costosi cabinati, mestamente usciti di scena con l’avvento del nuovo millennio, la rivincita dei computer e delle console. Negli anni ‘90 forse qualcuno ha almeno sentito parlare di Cannon dancer, o Osman (l’originale giapponese), più raro averlo toccato con mano, perché si tratta di un titolo che ha appunto vissuto la sua esistenza breve ma intensa nell’omonimo coin-op, diventando una sorta di leggenda di cui favoleggiare tra gli amici. Un quarto di secolo dopo, finalmente Cannon dancer si ripresenta al mondo sbarcando anche su console grazie a Inin, che ha risposto a un vecchio appello della nipponica Mitchell corporation, la quale già una decina d’anni fa aveva solleticato i fan con l’idea di un adattamento. La riedizione di Inin è la riproposizione esatta del gioco del 1996, ciò che allora si sarebbe chiamato arcade perfect e quasi nessuna piattaforma si poteva permettere. Sono presenti sia la versione giapponese, Osman, che quella internazionale, Cannon dancer, le quali presentano piccole, ma significative differenze agli occhi dei cultori di ogni singolo dettaglio. Per gli altri si tratta semplicemente dell’erede spirituale, esteticamente esuberante, di Strider, il celebre action game firmato negli anni ‘80 dallo stesso autore, Kouichi “Isuke” Yotsui.


POTION TYCOON (Daedalic, per Pc)
Ce ne sono per tutti i gusti, ma per gli amanti del fantasy acquistano un sapore particolare le simulazioni in cui immaginare di aprire non un negozio qualsiasi, bensì una bottega da alchimista. Come in Potion tycoon, lanciato in accesso anticipato, dove si compie la scalata per arrivare a conquistare sempre più fette di mercato in un ambito in cui qualità e varietà degli ingredienti da miscelare possono fare la differenza, conferendo questa o quella proprietà alle pozioni magiche da offrire alla clientela. Per il resto, le dinamiche del marketing ieri come oggi, nel mondo arcano e in quello reale, non cambiano poi di molto. Riuscire a intercettare l’interesse dei vip è un ulteriore elemento su cui puntare, così da ottenere visibilità e aumentare potenzialmente i consumatori. Si può anche decidere di utilizzare materie prime esotiche, provenienti da terre lontane per ottenere qualcosa di unico nel nostro catalogo. Naturalmente, aumentando la produzione si presenta il problema di organizzarla al meglio, al fine di ottenere la migliore ottimizzazione. Sembra quasi di aggirarsi in un fiabesco libro illustrato, con più di un tocco di divertita ironia, grazie alla grafica disegnata dello studio Snowhound, formato da ex studenti dell’università di
Jyvskyla in Finlandia.


DOGFIGHT (Hound Picked, per Pc e console)
Spesso la vita è complicata già di suo che a casa poi, quando si accende un videogame, si cerca più che altro un po’ di leggerezza. È proprio alla spensieratezza dei vecchi arcade che guarda Dogfight - A sausage bomber story, rifuggendo anche il revival più recente degli shmups, i classici sparatutto a scorrimento che, pur lontano dai radar, mantengono uno zoccolo duro di appassionati. Mentre un pezzo importante del genere si è evoluto nei virtuosismi dei bullet hell, l’ultima produzione firmata dal duo americano Katsu entertainment selezionata da Hound Picked ne recupera l’anima più pura e semplice, ma non semplicistica. Dietro a Dogfight - A sausage bomber story c’è infatti uno studio approfondito che parte dalle pietre miliari giapponesi, come Darius o Thunder force IV, per imbastire una ricetta fresca alla quale chiunque possa approcciarsi immediatamente, magari nell’ottica di una serata in allegria con gli amici, grazie alla modalità co-op, estesa fino a quattro utenti e assoluta protagonista dell’opera, che mette in campo le variabili offerte dalle numerose combinazioni di armi a disposizione in volo. Inserito in un più ampio e originale universo di gioco dal taglio cartoon, Dogfight affronta la guerra con piglio umoristico e dissacrante, mischiando le pietanze del titolo insieme a fantasmagorici arsenali.


CORE KEEPER (Fireshine, per Pc)
Non bisogna lasciarsi ingannare dall’apparente semplicità, cui contribuisce l’aspetto amabile di una grafica pixel art realizzata con cura: c’è infatti molto da scavare e da scoprire in Core Keeper dello studio svedese Pugstorm, uscito in accesso anticipato. Da soli o unendo le forze con un massimo di altri sette amici, ecco che occorre farsi strada a colpi di piccozza in un sottosuolo non avaro di risorse, a patto di sapere scovare e gestire con strategia. Al di là dei cunicoli da aprire che spalancano le porte a ulteriori spazi da esplorare, occorre procacciarsi il cibo, destreggiandosi tra i tipi di coltivazioni più nutritive e vantaggiose rispetto alle forze investite per arrivare al raccolto, oltre a praticare la pesca nei laghi sotterranei ricchi di pesci. Il passo successivo è quindi sbizzarrirsi con le ricette, in modo da fortificare il nostro alter ego digitale che, per procedere nell’avventura, deve confrontarsi con mostruose creature pronte a materializzarsi dal nulla e di conseguenza attrezzarsi con armi utili a spuntarla nei combattimenti. Non solo, immersi in un costante buio rischiarato dalle torce, si è costretti a ingegnarsi per superare vari ostacoli, costruendo le strutture opportune. Insomma, c’è molta profondità in questo scendere nelle viscere della terra per capire i segreti di un’antica civiltà.