Generazione bit

The Last of Us, la Scozia, il Far East e il Mediterraneo

Riccardo Anselmi

THE LAST OF US PARTE II REMASTERED (Sony, per Ps5)

Sony non ha mai nascosto il suo approccio multimediale ai videogame che, negli anni, è diventato anzi una forte cifra stilistica. Le grandi produzioni da Oscar che si trovano solo su Playstation hanno alle spalle una visione precisa, portata avanti di generazione in generazione, dai cd-rom al blu-ray. Il digital entertainment inteso anche come evoluzione interattiva e contemporanea delle altre forme di espressione che hanno attraversato il Novecento. Non è un caso che un titolo di culto come God of War, rilettura videoludica spiccatamente americana e molto pulp dei miti classici, sfrutti a piene mani proprio tecniche cinematografiche come il piano sequenza, reinventandoci attorno un intero genere, quello dei giochi d’azione in terza persona. Ma, al di là dei singoli elementi presi in prestito, è l’attenzione maniacale a tutti i dettagli messi insieme che richiama su console lo stesso perfezionismo di film indimenticabili, dove non si coglie mai un’inquadratura fuori posto. Un risultato figlio dell’unione tra regie sapienti e la dedizione assoluta delle maestranze che compongono alcuni dei più incredibili studi del panorama, da Polyphony Digital a Naughty Dog, da Insomniac a Guerrilla, a Santa Monica. Se nel filone non può mancare oggi il cinecomic, che su Ps5 assume le sembianze in calzamaglia della saga di Marvel’s Spider-Man, l’apice si tocca con The Last of Us, che ha compiuto un po’ il percorso opposto: partito come videogame, ha poi ispirato una serie tv trasmessa da Hbo. Ora, con l’arrivo della riedizione del secondo acclamato capitolo, il racconto di Ellie iniziato nel 2013, quando a dominare la scena era Ps3, si può rivivere dal principio alla sua spietata conclusione nel migliore dei modi sulle macchine odierne di Sony, per mezzo di The Last of Us Parte I e appunto The Last of Us Parte II Remastered. L’operazione serve anche a infondere maggiore compattezza tra gli episodi in origine piuttosto distanti, ma rimasterizzati su Ps5 all’insegna di un feeling comune, per essere riavvicinati quasi come un’unica esperienza. Sony si dimostra ancora una volta specialista in questo tipo di realizzazioni che ricordano certe tradizioni dell’home video come i cofanetti, dal Signore degli anelli a Star Wars, declinate per l’occasione a metà tra il restauro digitale, la versione estesa e il rifacimento soft. A seconda di come lo si guarda, c’è un po’ dell’uno e dell’altra in The Last of Us Parte II Remastered, che rielabora particolari tecnici innalzando l’effetto wow dell’alta fedeltà, ma aggiunge anche contenuti e offre un ampio dietro le quinte, tutti fattori pensati per affascinare i fan del videogame, pietra miliare tramite cui Naughty Dog, lo studio californiano degli Uncharted, ha esplorato i confini della maturità del medium affrontando la sfida su un piano affine alla settima arte. Il viaggio post-apocalittico di The Last of Us, oltre a reinterpretare i temi del romanzo di formazione nell’ottica dell’odissea della sua giovane protagonista, è uno straordinario ritratto on the road dell’America più vera: un mondo in rovina dove i conflitti della civiltà vengono condotti alle estreme conseguenze di una società ormai ridotta in frantumi, nella cornice potente di una natura rigogliosa e selvaggia che ha riaffermato il sopravvento sull’uomo. Parallelamente alla raffinata narrazione, con la modalità extra Senza ritorno, il cui nome è già un programma, si possono gustare invece da una prospettiva inedita, quella loop dei roguelite alla base di altre hit Sony quali Returnal così come del dlc Valhalla di God of War: Ragnarok, dinamiche action anch’esse da primo della classe che hanno contribuito in maniera altrettanto importante al successo internazionale della serie, assoluto paradigma per la libertà e varietà di situazioni armi in pugno.


A HIGHLAND SONG (Inkle, per Pc e Mac)

“My heart's in the Highlands, my heart is not here” cantava Robert Burns, il poeta nazionale della Scozia, colmo di struggimento e di nostalgia per la natura dei monti della sua terra dai quali era lontano. Un paesaggio rimasto nel cuore anche di Joseph Humphrey, lo sviluppatore che insieme a John Ingold ha fondato a Cambridge la software house Inkle, artefice di avventure celebrate per l’originalità e le raffinate scelte stilistiche. Humphrey si è trovato dunque molto a suo agio, nel rievocare in “A Highland Song” gli orizzonti sconfinati dove si muove la protagonista Moira McKinnon. Sola con i suoi pensieri, lo sguardo attento a ciò che la circonda, Moira ricorda le tante lettere ricevute dallo zio Hamish ed è attraverso la loro corrispondenza che si ricostruiscono, frammento dopo frammento, le tessere del mistero che avvolge la ricerca della ragazzina, provando a immedesimarsi nelle domande da lei rivolte a un interlocutore generoso di risposte, ben calate nella storia e nel folclore dei posti. C’è qualcosa di universale in questo peregrinare in compagnia di chi non è vicino a noi, eppure è presente con i suoi consigli, la sua saggezza, disposto a dare una mano a una giovanissima costretta a confrontarsi con problemi più grandi di lei per sopravvivere in un ambiente sconosciuto. E c’è appunto questo luogo speciale, le Highlands scozzesi, dove è facile farsi prendere dall’incantamento, come in quella quintessenza del pittoresco che è il Lake District caro ad artisti e poeti, con una differenza però: nella regione montuosa all’estremo nord della Gran Bretagna si possono percorrere miglia e miglia senza incontrare un benché minimo insediamento, cui chiedere eventualmente aiuto, e si deve imparare a contare su se stessi. È quanto sperimenta Moira, che un mattino se ne esce alla chetichella da casa per andare dallo zio e poter finalmente vedere per la prima volta il mare. Hamish abita infatti in un faro isolato, lungo la costa. L’adolescente ha a disposizione appena una settimana, perché lo zio le ha chiesto di arrivare per la tradizionale festa di Beltane, il primo maggio gaelico, preannuncio dell’estate. Riuscirci non sarà semplicissimo, perché nella brughiera, avvolta nella nebbia, ci si può perdere. Le grotte possono offrire un rifugio o diventare una prigione. Un ameno sentiero può rivelarsi un frustrante vicolo cieco. Tra tumuli, declivi e alture, Moira procede spedita in questo platform 2D atipico, che diventa all’occasione anche un gioco musicale, quando Moira sfreccia e salta a ritmo, mentre la colonna sonora avvolge nelle note di Laurence Chapman e delle folkband Talisk e Fourth Moon guidate da Mohsen Amini: echi del passato riletti in chiave contemporanea per accompagnare la corsa nella vita di una ragazzina vivace e curiosa, spinta dall’affetto a esplorare l’ignoto e a superare ogni difficoltà.


HARMONY: THE FALL OF REVERIE (Don’t Nod, per Pc e console)

Qual è il motore che muove il mondo? Gloria, Felicità, Potere, Caos, Legame e Verità sono le Ambizioni personificate - un po’ come avveniva con i sentimenti e le passioni incarnate nei personaggi della saga Sandman di Neil Gaiman - che possono far pendere troppo la bilancia da una parte o dall’altra, minando in modo devastante i fragili equilibri che governano la vita nella fittizia isola di Atina, collocata in un imprecisato lembo del Mar Mediterraneo. Harmony: The Fall of Reverie dello studio francese Don’t Nod ci ricorda come, per i singoli e per la collettività, sia comunque una questione di scelte a influenzare il corso di un destino non scritto. Gli autori di Life is Strange, Remember Me, Tell Me Why e Twin Mirror spostano con Harmony: The Fall of Reverie ancora più in alto, e in profondità, il livello della narrazione, adottando una loro versione del genere tipicamente giapponese delle visual novel, con l’elaborazione di uno stile grafico in 2D che fonde efficacemente suggestioni dai manga orientali con l’animazione occidentale di film come Spider-Man: Into the Spider-Verse. I personaggi appaiono così vividi ed empatici, la colonna sonora composta da Lena Raine (pluripremiata per le musiche del platform Celeste) coinvolgente. La protagonista Polly, con alle spalle un problema irrisolto con la madre, torna nella città natale per cercare la donna, improvvisamente sparita nel nulla, scoprendo quanto Atina sia cambiata, sotto il tallone di una spietata megacorporazione che, in nome del massimo profitto, utilizza le armi del controllo di massa per schiacciare ogni dissenso, puntando anche sul sempre maggior divario tra ricchi e poveri per separare in maniera netta la società in base al censo. Polly si trova presto a disporre di uno strano dono, la chiaroveggenza, che le permette di scrutare il futuro per modificarlo. Sul tabellone virtuale di un gioco da tavolo, Augural, la ragazza può inoltre verificare in anticipo gli effetti delle sue decisioni, che si riverberano sia sulla quotidianità di Atina, sia sulla dimensione parallela del sogno chiamata Reverie in cui Polly diventa Harmony e riesce a comunicare con quella sorta di divinità che sono le Ambizioni, ciascuna con i propri obiettivi, i propri progetti, le proprie soluzioni. A lei spetta l’attribuzione di un ruolo chiave a una determinata Ambizione, imprimendo una direzione agli eventi. Speranze e aspirazioni in un mondo e nell’altro si rivelano la spinta dominante delle azioni di uomini e dei. La bussola è nelle mani di Polly/Harmony in un diramarsi complesso di situazioni che richiedono di soppesare costi e benefici per riuscire a salvare Atina, Reverie e sé stessi.


ANOTHER CODE: RECOLLECTION (Nintendo, per Switch)

L’adolescenza, quell’età che segna l’addio alla stagione dall’infanzia per entrare nel mondo degli adulti: uno spartiacque che la protagonista di Another Code: Recollection si trova a vivere senza poter contare sui consigli e l’aiuto dei genitori, due neuroscienziati vittime di una tragedia, spariti nel nulla e presumibilmente deceduti. È cresciuta con una zia nei dintorni di Seattle, ma al suo quattordicesimo compleanno l’arrivo di un pacco inviato dal padre impone alla ragazza di andare alla ricerca della verità, recuperando i frammenti di ricordi rimossi. Era il 2005, quando sul doppio schermo del Nintendo Ds debuttava in Another Code: Two Memories l’eroina Ashley Mizuki Robins, giudiziosa e altruista, sotto tanti aspetti simile alle sue coetanee quando coltiva sogni per il futuro, con la differenza di dover affrontare problemi più grandi di lei, con il supporto di un dispositivo portatile chiamato Das (Dual Another System, quasi un antenato di Switch) con cui fotografare e archiviare ogni utile indizio. Quattro anni dopo il sequel Another Code: R - Viaggio al confine della memoria usciva per Wii. Qualche mese più tardi la software house Cing, nota anche per i punta e clicca con l’ex detective Kyle Hyde, Hotel Dusk: Room 215 e Last Window: The Secret of Cape West, nonché per Again: Interactive Crime Novel, finiva in bancarotta, chiudendo i battenti nel 2010. A raccogliere l’eredità dell’ex agente della polizia di Los Angeles, tornato a indagare in Chase: Cold Case Investigations - Distant Memories per Ds3, aveva provveduto Arc Systems Works, lo studio di Yokohama dove erano confluiti vari ex di Cing e che adesso ha realizzato il remake Another Code: Recollection, nel quale sono riuniti Two Memories e Viaggio al confine della memoria. Se Nintendo spesso si contraddistingue per riedizioni filologiche molto vicine all’originale, stavolta l’operazione è stata condotta in maniera più incisiva e articolata, introducendo la visuale in terza persona, rendendo le ambientazioni esplorabili nelle tre dimensioni, revisionando i testi con un nuovo doppiaggio (in inglese e in giapponese), fornendo a chi volesse semplicemente godersi il racconto la possibilità di utilizzare in qualsiasi momento un agile strumento per risolvere i rompicapo. Il fatto di avere a disposizione in un unico titolo le due avventure contribuisce a far apprezzare il senso di continuità della storia che ha nel personaggio di Ashley e nell’atmosfera dei luoghi i suoi punti di forza, in quello che diventa un percorso anche introspettivo di conoscenza di sé. In Two Memories si approda sull’isola Blood Edward, immaginata al largo della costa dello Stato di Washington negli Usa. Per scovare le risposte sul destino del padre e della madre, Ashley, oppressa da un incubo ricorrente, dovrà confrontarsi con ciò che è celato nella casa degli Edward, provando anche a dare una mano al fantasma D incontrato sul posto, che vorrebbe scoprire le circostanze della sua morte per cacciare via le inquietudini e ottenere una tanto desiderata pace. Viaggio al confine della memoria trasporta invece sulle rive del lago Juliet, al tramonto di un’estate, con il rito del campeggio prologo al congedarsi definitivo della sedicenne Ashley dalla bambina che è stata, capace di superare il trauma di una perdita dolorosa.


WAR HOSPITAL (Nacon, per Pc, Xbox e Playstation)

Florence Nightingale con in mano una lampada a rischiarare il buio delle notti segnate dalle grida disperate dei corpi martoriati in guerra. Henry Dunant che non riesce a rassegnarsi davanti all’abbandono al loro destino di uomini che potrebbero essere ancora salvati, mentre vengono invece condannati, doloranti e soli, a seguire la sorte dei cadaveri che li circondano sul terreno della battaglia. È dalla tragedia della guerra che sono nati esempi di impegno nella cura del prossimo, dalla professione infermieristica alla Croce Rossa. Ed è su uno dei fronti più sanguinosi della prima guerra mondiale che lo studio polacco Brave Lamb ha voluto ambientare War Hospital, allestendo un ospedale da campo, per associare stavolta a un titolo di ambientazione bellica la lotta per la vita, la scelta di chi, in un teatro di morte e di violenza, sceglie di curare i feriti. Non c’è però spazio per sentimenti edulcorati tra le brandine della struttura impiantata a pochi passi dalle trincee. Protagonista è un medico britannico in pensione, affiancato da uno staff da gestire per suddividersi i compiti e provare a tenere alto il morale. La situazione è dura e spietata. Le risorse a disposizione sono poche e scarseggiano sempre di più. Il triage per valutare l’ordine di priorità dei malati solleva questioni di carattere etico molto difficili, perché spesso hanno conseguenze irreversibili. In realtà non c’è niente di facile nelle decisioni da prendere, considerando che davanti a noi ci sono uomini con un nome e un cognome e una famiglia che li aspetta, non semplici numeri. Impariamo a conoscere le loro storie prima che dell’arruolamento. Le condizioni nelle quali si deve agire rimangono impari: manca il cibo, mancano i medicinali (che sono quelli in uso all’epoca), mancano le bende, cresce lo scoramento. Si deve fare di necessità virtù, per impostare una strategia mentre tutt’attorno il mondo sembra inghiottito dalla follia. Lo stesso tavolo operatorio mette al cospetto di pesanti dilemmi morali, perché magari l’intervento non sta procedendo per il meglio e si deve capire senza tentennare se cambiare metodologia o arrendersi colpevolmente. Ogni volta che si ricorre a una terapia, occorre sapere che la quantità dei preparati somministrati si assottiglia e magari impedirà trattamenti vitali per altri pazienti, innescando una catena di sensi di colpa, forse di insicurezze. Emerge così molto netta la faccia crudele della guerra, dove si rischia in qualsiasi momento di perdere la propria umanità. Se rimessi in piedi, terminata la convalescenza, i soldati torneranno a combattere, reiterando un circolo di angosciosa precarietà.


TRINITY FUSION (Angry Mob, per Pc, Playstation e Xbox)

Combattere per salvare l’universo, in un futuro devastato dove le sorti degli esseri viventi si giocano sopratutto nelle dimensioni parallele di un multiverso artificiale sul punto di collassare. Il platform d’azione in stile roguelike dello studio indipendente romeno Angry Mob, scritto con la collaborazione di Ada Hoffman, autrice del ciclo di romanzi di fantascienza The Outside, si muove su diverse linee spaziotemporali, tutte sull’orlo di un pericoloso precipizio. La protagonista Maya deve utilizzare le proiezione di sé stessa in mondi alternativi nei quali sono trasfigurati aspetti di una civiltà che ha conosciuto in passato la fertilità dell’agricoltura generosa di doni, in una campagna popolata di piante e di animali rimasta soltanto un ricordo; che si è sviluppata industrialmente consegnando scenari cupi e inquinati; che ha tentato di migliorarsi con la scienza, ma i laboratori hanno generato inquietanti mostruosità. In ciascuno di questi multiversi è una differente incarnazione di Maya a compiere una missione indispensabile per riunire le tessere di un mosaico che non potrà essere ricostituito com’era. Nascerà qualcosa di nuovo, ma intanto si fa tesoro delle informazioni raccolte dai personaggi incontrati e soprattutto ci si lancia contro nemici che congiurano contro il raggiungimento dei nostri obiettivi. Se Atara, Kera e Naira, le tre personalità di Maya impegnate direttamente nella mischia, ricorrono ognuna ad armi peculiari, eventualmente migliorando l’arsenale spendendo quanto guadagnato di impresa in impresa, c’è la possibilità anche di unire all’occorrenza le forze, realizzando una fusione dalla quale scaturisce un’eroina potenziata. In fondo, è tutta una questione di equilibri, quelli sconvolti dai foschi progetti di una cospirazione da sventare, quelli da ritrovare recuperando un’armonia tra natura, conquiste tecnologiche e sopravvivenza dell’umanità. La faccenda è complessa, ma si può partire dal livello facile delle tre difficoltà previste, adatto ai neofiti per familiarizzare con le dinamiche di questa corsa veloce, piena di insidie, dove si scivola per aggirare gli ostacoli e procedere speditamente, saltando con agilità da una realtà all’altra.


DREADOUT 2 (Soft Source, per Pc e console)

In Dreadout, arrivato nel 2014, avevamo conosciuto Linda mentre, capitata con i compagni di classe e un’insegnante in una città fantasma, scopriva di avere la dote di vedere spettri e mostri, combattendoli. Nel sequel Dreadout 2, approdato adesso su Nintendo Switch dopo il debutto su Pc nel 2020 e, due anni dopo, su Playstation e Xbox, la studentessa torna a confrontarsi con l’orrore, che stavolta si palesa nel suo ambiente di vita, costringendola di nuovo ad affrontare creature da incubo, utilizzando lo smartphone per fotografarle e così catturarle, ma anche sferrando colpi all’arma bianca e, se le cose dovessero mettersi proprio male, tentare di nascondersi per superare l’ostacolo. Le situazioni rimandano a topoi consolidati del genere horror, che ha un fecondo filone con adolescenti come protagonisti, che si dividono tra l’impegno nello studio e la caccia a spiriti malvagi, trasfigurando in queste dinamiche i problemi della fase di passaggio all’età adulta. La software house indie Digital Happiness, con sede a Bandung, capoluogo della provincia di Giava occidentale, ha però puntato su un aspetto peculiare, la ricchezza del folclore indonesiano, cui attingere per immergere la storia in un’atmosfera unica, riuscendo a conquistare una platea internazionale e ad attirare l’interesse del regista connazionale Kimo Stamboel (alias The Mo Brothers quando in duo con il collega Timo Tjahjanto) che nel 2019 ha curato l’adattamento di Dreadout per il grande schermo. I fondatori di Digital Happiness, della generazione nata negli anni Ottanta-Novanta, cresciuta imparando a conoscere il Giappone attraverso gli anime e i videogiochi del Paese del Sol Levante, hanno spiegato di voler così divulgare ora la loro cultura. Per raggiungere lo scopo, si sono documentati per approfondire le tante leggende sorte in Indonesia attorno a entità soprannaturali, come quella diffusa a Pontianak nel Borneo sulla figura della vendicativa Kuntilanak, presente sia in Dreadout che nel suo seguito: donna bellissima, pallida e dai lunghi capelli scuri, morta mentre aspettava un bambino. Affondano invece le radici in alcune zone di Sumatra i racconti con le Palasik, streghe dedite a riti di magia nera, assetate del sangue di neonati. Ci sono poi i Buto Ijo, giganteschi ladri di bambini; le anime in pena dei Pocong condivisi con la mitologia malese; lo spirito della tigra bianca Maung Bodas, legata alle origini del Regno di Sunda e al semi-leggendario re Siliwangi, con il quale ci si ritrova dunque nell’estremo ovest dell’isola di Giava, accanto alla ragazzina coraggiosa di questa avventura in terza persona dove si lotta per sconfiggere il male e salvare l’umanità.


CUISINEER (Marvelous, per Pc)

Ci sono i ramen e la tempura, ricette tipiche giapponesi diventate ormai internazionali, ma nel menu del ristorante di Cuisineer, tra un centinaio di specialità da tutto il mondo, si ritrovano anche piatti del Sud-Est asiatico, come la crema di cocco kaya, il roti prata e il granchio al peperoncino, tributo alla cucina di Singapore dove la software house Battlebrew Productions è nata nel 2017 da un gruppo di ex compagni di corso del DigiPen Institute of Technology Singapore. In Cuisineer si sono divertiti a portare in tavola i sapori della loro isola, ma l’aspetto della simulazione della gestione di un’attività commerciale è solo una delle sfaccettature del videogame, che utilizza anche le dinamiche di un roguelike per inoltrarsi nei labirinti multipiano di un dungeon crawler, il tutto avvolto nella grazia squisitamente kawaii che dai personaggi, animali antropomorfi in stile furry, si estende ai coloratissimi paesaggi, tra appezzamenti coltivabili delineati geometricamente, fiordi ghiacciati, paludi inospitali. La protagonista Pom, una ragazza con orecchie e coda da gatto (nekomusume), torna nel paese natio per far visita ai genitori, ma deve constatare lo stato di abbandono del locale di famiglia. Quando Pom prova a riaprire i battenti, il fisco presenta il conto di un debito esoso da ripianare. Non le resta che rimboccarsi le maniche per cominciare a cercare gli ingredienti necessari al fine di confezionare gustose leccornie, sbaragliando, armata di una spatola forata o di una pila di piatti, la serie di nemici che rivelano il lato umoristico di Cuisineer, dove si combatte contro galline giganti o agguerriti peperoncini fumanti. Rientrata alla base, Pom si mette ai fornelli per trasformare la materia prima in elaborati manicaretti, da offrire ai clienti, cercando sempre di ospitarli nel migliore dei modi. È così che si organizza il trantran quotidiano della ristoratrice, tra sortite nei dedali sotterranei e la soddisfazione di vedere crescere gli avventori ai tavoli, rimpinguando le casse della locanda.


DARK ENVOY (Event Horizon, per Pc)

“Qualsiasi tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”: è stata la terza legge di Arthur C. Clarke, l’autore di 2001: Odissea nello spazio, a suggerire allo studio polacco Event Horizon una delle caratteristiche di Dark Envoy che suona quasi come un ossimoro, ossia la coesistenza di maghi e di robot, di alambicchi alchemici e di dispositivi ultratecnologici o, in altre parole di fantasy medievaleggiante e di retrofuturistica fantascienza, riletta in chiave steampunk. Il mondo di Dark Envoy è dilaniato dalla lotta in crescendo tra la Lega e l’Impero che arriva a lambire la remota località desertica dove vivono i fratelli Malakai e Kaela, coinvolgendoli loro malgrado nel conflitto. Per affrontare il pericolo, l’impulsivo Malakai e la diplomatica Kaela possono formare una squadra fino a quattro componenti, da scegliere tra sei potenziali compagni appartenenti alla classiche classi del guerriero, del mago, dell’ingegnere e del ranger, ciascuna dotata di specifiche abilità. Dark Envoy è un gioco di ruolo tattico, che dà spazio all’esplorazione in un paesaggio costellato dalle rovine di un’antica e misteriosa civiltà, ma soprattutto mette al centro i combattimenti, che si disputano in tempo reale, con la peculiarità però di poter rallentare o fermare il tempo, in un’efficace versione della tecnica cinematografica del bullet time, permettendo così di modificare l’impostazione del duello mentre è in corso. Del resto Event Horizon alla manipolazione della quarta dimensione durante gli scontri aveva già dedicato il suo precedente titolo, Tower of Time. Di missione in missione, in Dark Envoy si torna alla base originaria per potenziare, personalizzare, attrezzarsi al meglio e intraprendere così una nuova avventura, plasmando con le decisioni prese l’evolversi degli eventi, da soli o in co-op online con un amico.