Indie planet
Da Dave Gilbert a Kazutaka Kodaka e Kotaro Uchikoshi, il mito di Talos, George Orwell e Leonardo Da Vinci
OLD SKIES (Wadjet Eye Games, per Pc, Mac e Linux)
Dave Gilbert è tornato, in compagnia di Fia Quinn, giovane donna chiamata a compiti di responsabilità. Il fondatore di Wadjet Eye Games, sviluppatore ed editore specializzato in celebrate avventure grafiche, con il nuovo punta e clicca Old Skies prova a farci viaggiare nel tempo, dimostrando ancora una volta - dopo la fortunata serie Blackwell e gli altrettanto indovinati The Shivah e Unavowed - la vitalità di un genere e l’inesausta voglia di sperimentare dell’autore. Gilbert con le sue opere ha reso omaggio anche alla natia New York e, nonostante si sia ora trasferito a Philadelphia in Pennsylvania, con Old Skies ci porta ancora una volta a spasso nella Grande Mela, con la sua capacità di tratteggiare luoghi, personaggi e situazioni, congegnando abilmente intreccio narrativo ed enigmi. La squisita pixel art del passato ha lasciato intanto il posto a una grafica dalla risoluzione più elevata, il cui effetto richiama le tavole disegnate a mano di un cartone animato d’antan. Siamo nel 2062 e i salti nella quarta dimensione non hanno più niente di fantascientifico. Basta rivolgersi a un’agenzia, come la ChronoZen dove lavora Fia Quinn, e i turisti danarosi possono provare l’ebbrezza di calarsi in un’epoca più o meno remota, spinti da svariati motivi, dalla semplice curiosità alla nostalgia (un affermato scienziato vorrebbe sostare nella tavola calda dove andava a mangiare da studente), alla volontà, non proprio limpida, di intervenire alterando la linea del tempo, compiendo un’azione in generale vietata. Fia, che può contare sui consigli del suo istruttore Frank Nozzarelli, detto Nozzo, e del collega Duffy, deve sorvegliare che non accadano violazioni, onde non determinare paradossi ed errori. Questo almeno in termini generali, perché la faccenda in realtà è un po’ più complessa. Ci sono figure che hanno un impatto limitato sul corso degli eventi e che possono dunque subire alcune modifiche senza che la grande storia ne risenta. La biografia di altri è invece assolutamente intangibile, pena effetti catastrofici a catena. Se il posto in cui ci muoviamo è sempre New York, abbiamo diverse opportunità riguardo il quando arrivare a compiere il tour. I sette clienti hanno un arco di due secoli tra cui scegliere. C’è chi preferisce limitarsi al 2040, chi si addentra nell’età del proibizionismo o ancora più a ritroso nella Gilded Ages, l’età dell’oro avviata con la presidenza di Ulysses S. Grant e suggellata dalla morte di William McKinley, il 25° inquilino della Casa Bianca assassinato nel 1901. Tra le sette date, e dintorni, c’è anche la mattina del tragico 11 settembre 2011. Fia può consultarsi con Nozzo, il quale ha accesso a un database con le notizie di carattere storico, ma ulteriori informazioni le deve trovare personalmente lei, guardandosi attorno, scovando manufatti, dialogando con la gente, come nelle care, vecchie avventure. È una magia che continua cui contribuiscono la cura nel doppiaggio e l’evocativa colonna sonora tinta di jazz. Fia può morire, ma l’espediente dei viaggi nel tempo le permette di resuscitare facendo tesoro degli indizi ottenuti per giungere alla soluzione dei rompicapo.
THE HUNDRED LINE - LAST DEFENSE ACADEMY (Aniplex, per Pc e Switch)
In Giappone c’è un particolare legame tra le storie di fantasmi e le scuole. Se abbandonate, è facile vengano etichettate con edifici infestati. In ogni caso, a mezzanotte o comunque in orari non consoni con la tipica attività, le aule normali frequentate tutti i giorni sarebbero pronte a svelare arcane presenze. Un fenomeno che è stato ascritto tra i riti di formazione e di passaggio, dove ci si deve confrontare con le proprie paure per crescere e diventare grandi. Altri hanno puntato il dito sull’ordine imposto e sull’estrema competitività sperimentata in ambito educativo, tali da alimentare tensioni trasposte poi in racconti dell’orrore. Per alcuni invece si tratta semplicemente del fascino che a ogni età questo genere letterario esercita, senza dover necessariamente indagare nell’inconscio individuale o collettivo per trovare le ragioni della sua fortuna. Film e videogame hanno comunque continuato ad attingere a questo immaginario. Tra gli esempi più riusciti di giochi ambientati in un istituto superiore c’è la serie Danganronpa, inquietante e spietata. Il suo autore, Kazutaka Kodaka, insieme ad altri artefici del successo della visual novel, l’illustratore Rui Komatsuzaki e il compositore Masafumi Takada, ha dato vita nel 2017 con Kotaro Uchikoshi, il papà della serie Zero Escape, alla software house Too Kyo Games, che adesso con The Hundred Line - Last Defense Academy è già pronta a firmare un capolavoro di profondità e complessità narrativa ottenuta con gli strumenti della multimedialità. La denominazione Too Kyo Games è un gioco di parole tra il nome della metropoli dove ha sede, ossia Tokyo, e il significato del termine kyo: ne deriva un’espressione autoironica che sta per giochi troppo folli. E in effetti in The Hundred Line - Last Defense Academy si ritrovano l’umorismo nero, la battuta magari fuori posto, l’eccentricità sopra le righe che spiccavano già in Danganronpa. La scuola non è però più un istituto in apparenza come tanti. Il titolo di Too Kyo Games si svolge in un’accademia decisamente speciale, dove per cento giorni adolescenti delle mille risorse e dai mille problemi devono combattere un distruttivo invasore. Intrappolati nella Last Defence Academy, provano a sopravvivere destreggiandosi su un doppio registro: da un lato c’è l’attività scolastica, dove si impara a conoscere i colleghi e si esplora l’architettura alla ricerca di indizi e spiegazioni; dall’altro ci sono i combattimenti tattici nella modalità di un tower defense, dove schierarsi a protezione della struttura per evitare che qualsiasi breccia possa mettere in pericolo i giovani reclusi e l’intero mondo. Sul protagonista Takumi Sumino aleggia il grande interrogativo del perché sia stato selezionato per arrivare fin lì. Da una misteriosa entità ha ricevuto in dono un’abilità detta hemoanima, condivisa con i compagni e da attivare con un gesto crudele, pugnalandosi il cuore. Se l’energia cala in maniera impressionante, si può anche decidere di sacrificarsi, lanciando un estremo attacco micidiale. Nel variegato cast di studenti c’è poi chi non desidera per niente mettere a repentaglio la propria esistenza contro un nemico di cui si ignora tutto. Diradare la nebbia, far emergere la verità, sciogliere i dubbi, vincere le timidezza, le ossessioni, i difetti caratteriali, le diffidenze: la missione della squadra è più articolata di quanto si potesse di primo acchito supporre, alle prese con personaggi a tutto tondo, una realtà troppo bizzarra per non celare qualche inganno e le trame intessute dal fantasmino Sirei con l’irrompere del quale cambia completamente la tranquilla quotidianità di Takumi, scaraventato in un intreccio temibile e avvincente.
THE TALOS PRINCIPLE: REAWAKENED (Devolver Digital, per Pc, Ps5 e Xbox)
Non una semplice remasterizzazione: l’edizione definitiva di The Talos Principle, l’avventura filosofica di Croteam che dalla sua uscita nel 2014 ha fatto incetta di premi, si arricchisce di un capitolo iniziale inedito, il prequel In The Beginning, grazie al quale ci si addentra maggiormente nei misteri all’origine del videogame. The Talos Principle: Reawakened include inoltre il dlc Road to Gehenna e, ma solo nella versione per Pc, un editor che permette ai giocatori di sviluppare autonomamente livelli da condividere attraverso il Workshop di Steam. Naturalmente Reawakened si presenta anche con una qualità grafica migliorata, ma in generale a distanza di oltre un decennio il fascino intrinseco di questo puzzle game in prima persona splende intatto, nell’invitare a porsi le domande fondamentali che l’uomo rivolge dalla notte dei tempi, alla ricerca di una possibile risposta sul senso di un andare e di un agire verso una meta che nessuno può dire di conoscere con certezza. Il titolo richiama non a caso una figura della mitologia greca, la statua vivente Talos, che si immagina abbia ispirato l’omonimo principio in un fittizio pensatore dell’antichità, per il quale anche gli esseri umani non sono altro che macchine, sia pure di natura biologica, analogamente al gigantesco automa in bronzo forgiato da Efeso per Zeus che si voleva dotato di coscienza. Riferimenti alle Sacre Scritture e ai miti della classicità sono ricorrenti in quella che si rivela essere l’indagine compiuta da un robot senziente che si interroga su di sé, sul suo creatore, sul suo destino ultimo, esplorando una sequenza di ambientazioni tanto enigmatiche quanto ammalianti. La storia, alla cui stesura hanno contribuito gli scrittori Tom Jubert e Jonas Kyratzes, l’estetica raffinata, i puzzle ben congegnati: tutto concorre a immergere nell’atmosfera magnetica di The Talos Principle: Reawakened, ulteriormente ravvivata dagli scenari idilliaci dell’espansione In The Beginning, che si svolge all’epoca del test il cui esito fu la nascita di macchine intelligenti, in un’alba del transumanesimo diventato già post umano. Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? E se la vita fosse soltanto un’ombra che cammina in una realtà inesistente? Al cult, tornato adesso in una veste nuova e aggiornata che assomiglia a un vero e proprio rifacimento, nel 2023 si è aggiunto il sequel The Talos Principle II, con l’espansione Road to Elysium, ad arricchire ancora di più questo affascinante viaggio tra rompicapo e filosofia.
KARMA: THE DARK WORLD (Wired Productions, per Pc e Ps5)
La realtà quale è e come viene trasfigurata dai ricordi. Il nostro agire spinto da dettami introiettati da consuetudini imposte dall’esterno o deciso dal libero arbitrio di ciascuno. Intanto, riecheggia una nota citazione dal romanzo 1984 di George Orwell: “Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato”. Perché è una società ossessionata dalla sorveglianza, dal dominio sulla vita degli altri quella immaginata nel thriller psicologico Karma: The Dark World di Pollard, studio indie di Shanghai. L’anno degli eventi è non a caso il 1984, in una versione alternativa della Germania Est, finita sotto il giogo della Leviathan Corporation, che con i suoi sistemi di rigida e onnipresente vigilanza cerca di ottenere la massima efficienza, vista come lo strumento chiave per raggiungere un miglior benessere per tutti. In verità anche la Leviathan risponde a un’autorità superiore, i cui piani sembrano però contraddittori, in preda a qualcosa di diverso dal solito. In Karma ci sono parecchi strati sovrapposti, che rendono il titolo sfaccettato e complesso, capace di chiamare in causa questioni filosofiche di fondo, sul concetto di identità individuale e del proprio posto nel mondo. Il protagonista è Daniel McGovern, un agente itinerante dell'Ufficio pensieri della Leviathan Corporation. Per investigare sui crimini Daniel ha la facoltà di entrare nella mente delle persone, intrufolandosi nei meandri di memorie che possono contrastare ferocemente con la maschera esteriore indossata dai sospettati. In queste circostanze risaltano gli echi surreali del cinema di David Lynch e della sua serie tv Twin Peaks. Nulla è ciò che sembra in questa distopia nella quale, a poco a poco, cominciano a vedersi alcune crepe e l’agente ligio e impassibile si scopre più empatico e vulnerabile, desideroso di instaurare relazioni di amicizia, forse anche di amore. La dicotomia tra l’apparente calma esteriore e il terremoto interiore è percepibile sia a livello visivo, tramite meccanismi di distorsione applicati alla descrizione dei moti dell’anima nel rincorrersi di reminiscenze non sempre affidabili, sia a livello sonoro, nella contrapposizione tra le registrazioni effettuate in ambienti urbani e naturali, sfondo della quotidianità dei cittadini tedeschi orientali, rispetto alle dissonanze catturate nei viaggi dentro le spire contorte del subconscio. Cosa ci rende umani? Cosa sono i sogni e dove ci conducono? Circondati dai manifesti della propaganda della Leviathan, imbottiti di pasticche generosamente fornite dal regime tecnocratico votato solo al bene del popolo, quale ribellione è possibile? Quale presa di coscienza? Eppure, tessera dopo tessera, andrà componendosi il quadro generale di un Dark World ancora più inquietante di quanto le avvisaglie permettessero di ipotizzare.
THE STONE OF MADNESS (Tripwire Presents, per Pc e console)
Dopo la serie Blasphemous, intrisa del folclore dell’Andalusia, lo studio The Game Kitchen, che al quartier generale di Siviglia ha intanto aggiunto una sede a Tenerife nelle Canarie, torna con The Stone of Madness a ispirarsi alla Spagna, ma da un punto di vista completamente diverso. Il titolo fa riferimento a un quadro di Hieronymus Bosch custodito nel Museo del Prado di Madrid, l’Estrazione della pietra della follia, apologo sulla dabbenaggine di chi si sottopone a una dolorosa operazione eseguita da un ciarlatano, sotto lo sguardo di un monaco e di una religiosa. Era del resto una credenza popolare che la pazzia fosse racchiusa in un sassolino nella testa del folle e che bastasse eliminare l’intruso per ritrovare la serenità perduta. L’altro rimando si ricollega al genere scelto per The Stone of Madness, uno stealth tattico in tempo reale, come la popolarissima serie Commandos sviluppata dagli ormai defunti Pyro Studios di Madrid (senza dimenticare comunque anche Shadow Tactics dei tedeschi Mimimi, che hanno chiuso i battenti nel 2023). L’ambientazione è invece memore del mystery The Abbey of Crime, del 1987, conosciutissimo in patria e mai uscito fuori dai confini dalla Spagna, che riprendeva liberamente temi tratti dal Nome della rosa trasferiti nel contesto di un edificio del XVIII secolo. Anche The Stone of Madness ha per cornice un monastero settecentesco, situato in un’area remota dei Pirenei. Un luogo di sofferenza e di terrore, dal quale cercare di fuggire al più presto. È l’impresa in cui si imbarcano cinque reclusi, con i quali è indispensabile familiarizzare per ottenere la solidarietà reciproca e qualche possibilità in più di riuscire in un intento tutt’altro che scontato. Ognuno ha capacità utili, in certe circostanze quasi indispensabili, ma contemporaneamente paga il prezzo di fobie impossibili da ignorare. Chi ha paura del buio non potrà affrontare un percorso immerso nell’oscurità. Chi è privo della vista non potrà leggere quel bigliettino dalle informazioni vitali. Chi teme il fuoco non potrà avvicinarsi ai camini accesi. La vicenda rispetta l’alternanza dì-notte. Al calar delle tenebre ci si mette a pianificare, si valutano le risorse a disposizione, si sceglie la squadra che il giorno successivo entrerà in azione, adottando tattiche che possono prevedere la violenza di combattimenti corpo a corpo oppure limitarsi a comportamenti elusivi, per superare silenziosamente gli ostacoli ed evitare di essere intercettati da guardie, monaci e monache. Accuratamente disegnati a mano e ricchi di dettagli, gli scenari contribuiscono all’efficace ricostruzione di un microcosmo dove risulta arduo fidarsi di qualcuno, eppure non si può fare a meno di forgiare legami con gli altri sventurati. A illuminare sull’estetica, che si nutre della contrapposizione tra atmosfere da fiaba illustrata e la durezza delle situazioni raffigurate, è il coinvolgimento dei Teku Studios di Taruel, in Aragona: a loro, già autori del puzzle game The Candle, che spiccava per il carattere pittorico delle sequenze, si deve l’idea iniziale di The Stone of Madness, nel quale sono poi confluite molteplici suggestioni. Una su tutte, citata da The Game Kitchen, l’opera tarda di Francisco Goya con il materializzarsi di incubi resi attraverso l’accentuato contrasto tra luce e ombra.
MULLET MAD JACK (Epopeia, per Pc e Xbox)
Dal Brasile con furore. Sospinti da una passione sfrenata per gli anime del Giappone degli anni Ottanta (e Novanta, quando il fenomeno andò a esaurirsi), i cosiddetti Oav, ossia Original Anime Video, distribuiti per il mercato homevideo, al tempo in cui si acquistavano o si noleggiavano le cassette vhs per il videoregistratore di casa, poi sostituite da altri supporti. Più in generale si può dire che le vhs hanno contribuito a far conoscere nel mondo cult come Akira o Cowboy Bebop (in onda in tv in Italia, primo Paese non asiatico, nel 1999), ma all’elenco - non esaustivo - degli imperdibili si possono aggiungere City Hunter, Riding Bean, Gunsmith Cats, a evocare l’immaginario alla base di Mullet Mad Jack, omaggio dichiarato a un genere, a una stagione, coincidente anche con l’età dell’oro degli arcade. A realizzarlo tre amici che nello Stato del Rio Grande do Sul hanno dato vita alla software house indipendente Hammer95, dichiarando a parole e nei fatti - nel loro titolo di debutto, uscito un anno fa per Pc e ora per Xbox - un incondizionato amore per i cartoni animati del Paese del Sol Levante. Mullet Mad Jack ne reinterpreta l’estetica, riprendendo anche le dinamiche degli fps dell’epoca, che oggi possono sembrare piuttosto semplici, ma che si confermano efficaci per andare diritti allo scopo: sbaragliare nel minor tempo possibile il maggior numero di nemici così da liberare al nostro eroe la strada e riuscire a soccorrere la damigella in pericolo, in questo caso l’influencer più famosa del mondo. Siamo nel 2090, la fusione tra umanità e internet è ormai avvenuta e per sopravvivere questa nuova specie necessita di dopamina, che il protagonista Jack deve ricevere ogni dieci secondi, salvo guadagnare qualche attimo in più uccidendo i nemici, con ulteriori bonus legati al grado di creatività messo in atto nell’azione. In questo fosco futuro cyberpunk la classe dominante è costituita da malvagi, ricchissimi robot potenziati dall’intelligenza artificiale. Mullet Mad Jack non ha un minuto da perdere, perciò si lancia in una missione adrenalina, forsennata, rutilante, sopra le righe, dove la morte è un’eventualità tutt’altro che rara e si deve allora cominciare daccapo, ma tra un piano e l’altro di questo edificio-prigione sono acquistabili potenziamenti, per recuperare quanto perduto. Il ritmo non concede tregua, tra le luci al neon di un futuro senza scampo, costellato di citazioni per la gioia dei fan che condividono con i ragazzi di Hammer95 ricordi di gioventù o che hanno imparato a conoscere personaggi e atmosfere di certi anime tramite le gif o TikTok, dove in realtà non hanno smesso di spopolare.
BIONIC BAY (Kepler Interactive, per Pc e Ps5)
Enigmatico, suggestivo: è un viaggio affascinante e irto di pericoli quello di uno scienziato che, dopo un fallito esperimento, si ritrova intrappolato in un mondo ostile, dove il confine tra vita artificiale e naturale, tra uomo e macchina è ormai saltato. Per cercare di uscire da un incubo ammantato da una tavolozza sfavillante, il nostro alter ego può sfruttare le caratteristiche intrinseche di questo strano universo biomeccanico. L’artista e game designer finlandese Juhana Myllys, fondatore di Mureena, in collaborazione con lo studio taiwanese Psychoflow, ha plasmato un platform di precisione originalissimo, dall’estetica raffinata, dove ogni elemento viene infatti a collocarsi coerentemente nel disegno più generale con un compito ben individuato, al di là del valore puramente espressivo, in un fiorire incessante di invenzioni. Sono le leggi della fisica a determinare i movimenti e le interazioni con i congegni e gli ostacoli incontrati dal personaggio sui suo cammino. Un percorso già sperimentato da Myllys (lead artist a RedLynx, la software house della serie di racing Trails, prima di aprire con Johannes Vuorinen lo studio Frogmind a Helsinki) nei pluripremiati Badland 1 (2013) - le cui atmosfere ipnotiche si nutrivano di molteplici fonti di ispirazione, dai dipinti della Hudson River School all’odierno cinema d’animazione, accanto all’osservazione diretta della natura - e Badland 2 ( 2015), memore della grafica dei film della Pixar e di espedienti narrativi visti in Star Trek The Next Generation. In entrambi i titoli alla cura per l’aspetto visivo si abbinava l’attenzione al comportamento reale dei materiali. Si tratta di due leitmotiv ripresi ed esaltati in Bionic Bay, che adotta un approccio innovativo alla stessa pixel art, costruita con pazienza artigianale, pixel dopo pixel, con effetti molto vicini alla pittura digitale. Sul fronte delle dinamiche, un dispositivo consente addirittura di scambiarsi di posto con gli oggetti colpiti, in un fluire continuo, dove si sfrutta anche l’abilità sia di manipolare il tempo, rallentandone il corso per poter affrontare con maggior consapevolezza zone impegnative e colme di nemici, sia di modificare gli esiti della forza di gravità, alternando sezioni concitate ad altre in cui perdersi nella contemplazione dei paesaggi di una fantascienza portata a conseguenze estreme. In questo modo la creatività entra sempre in gioco, per scovare la soluzione ottimale puntando sulle molteplici variabili coinvolte. I biomi attraversati risaltano anche per il tappeto sonoro che contraddistingue ciascuno, cancellando il rischio di monotonia. Oltreché da giocatori singoli, ci si può divertire nelle competizioni online con colleghi da tutto il mondo, scalando la classifica in gare di velocità, popolari su Playstation alla fine degli anni Novanta.
BLAZBLUE ENTROPY EFFECT (91Act, per Pc)
Ha festeggiato il suo primo compleanno forte di oltre un milione di copie vendute, ma per BlazBlue Entropy Effect sono in arrivo ulteriori buone notizie: l’imminente introduzione della modalità multiplayer locale (couch co-op) per giocare insieme agli amici nel salotto di casa e, dopo quello già sperimentato con Icey, il crossover con il roguevania Dead Cells. In estate è infatti annunciato il debutto di un personaggio del misterioso castello di Dead Cells che sarà pronto a immergersi nel turbinio incontenibile di BlazBlue Entropy Effect. Dietro la sua realizzazione c’è la passione nutrita da 91Act, software house di Chengdu in Cina, per gli action roguelite in generale e per la celebrata serie di picchiaduro 2D sviluppata dalla giapponese Arc Systerm Works in particolare. Correva l’anno 2008 quando Toshimichi Mori dava inizio con BlazBlue alla saga di un’umanità sull’orlo dell’estinzione, in un susseguirsi di guerre, dove il ritorno della pace non coincideva con una recuperata concordia, quanto piuttosto favoriva l’emergere di tensioni, forti divari sociali e ribellioni, con un cast di eroi e antieroi disposti a sfidarsi l’un l’altro, ciascuno per i propri non sempre confessabili obiettivi. Ai titoli principali, usciti anche in versione aggiornata, e agli adattamenti in anime, manga e romanzi, si sono aggiunti una decina di spin-off, coronati da BlazBlue Entropy Effect. Nel frattempo il produttore Toshimichi Mori ha lasciato Arc System Works per fondare, insieme a Toshinori Aoki, ex vicepresidente esecutivo di Marvelous, lo studio Flare di Tokyo con il sostegno di NetEase Games, il ramo videoludico di NetEase, colosso cinese dell’Internet technology con base a Hangzhou. Per 91Act, dopo un decennio di sviluppo di giochi d’azione per il mobile, BlazBlue Entropy Effect segna un salto di qualità. Con la serie originale lo spin-off condivide alcuni personaggi, come Ragna The Bloodedge e Noel Vermillion, ma il picchiaduro si è trasformato in un’avventura di azione a scorrimento laterale e la storia è inedita. Stavolta la salvezza del mondo sembra affidata alle possibilità riposte nella realtà parallela di un cyberspazio costituito da livelli colorati di luci al neon. Il giocatore, l’unico in grado di leggere la verità nascosta dietro le apparenze, si ritrova così in mano il futuro dell’umanità. Sono comunque i dieci personaggi, costruiti a tutto tondo, tra cui la new entry Hazama, a caratterizzare l’esperienza di Entropy Effect, dove più che le armi contano la velocità e la combinazione dei numerosi movimenti dalla fluidità eccezionale, , che si sbloccano cammin facendo, migliorando anche le abilità del nostro alter ego. Ognuno ha il proprio stile di combattimento e non è detto si entri in sintonia con ciascuno, ma tanto vale offrire una chance e provare. L’omaggio tributato da 91Act risalta però specialmente per l’estetica, sotto certi aspetti minimalista, eppure sempre molto efficace ed espressiva.
THE HOUSE OF DA VINCI (Blue Brain Games, per Pc, console e mobile)
Un’epoca del passato caratterizzato da grandi cambiamenti; un inventore la cui figura è avvolta nel mistero e i cui progetti avveniristici attendono ancora di essere appieno compresi. Prossimamente (nel 2025, ma la data precisa non è ancora stata annunciata) l’appuntamento sarà con The House of Tesla, nell’America dell’era progressista, dove Nikola Tesla conduceva i suoi esperimenti su elettricità e corrente alternata. Il viaggio tra enigmi e avventura della software house slovacca Blue Brain Games (con doppia sede, a Bratislava e nella ceca Praga) è però cominciato nei fasti dell’Italia del Rinascimento, attorno alla figura del genio universale per eccellenza, Leonardo da Vinci. Le sue macchine ricostruite digitalmente e i suoi disegni, in particolare tratti dal Codex Atlanticus, rivivono nei puzzle di The House of Da Vinci, avventura 3D ambientata a Firenze nel 1506, l’anno in cui si ritiene sia stata terminata la Gioconda. Nel gioco il maestro è improvvisamente svanito nel nulla, dopo aver accennato al suo migliore allievo di aver appena messo a punto un oggetto straordinario. Quando l’assistente arriva sul posto comincia dunque a preoccuparsi, perché non c’è nessuno. Si mette quindi a cercare, a tentare di capire, circondato come è da strani rompicapo, inseriti nell’architettura e negli arredi delle diverse sale, . Rebus attraverso i quali ottenere gli indizi per procedere a districare l’ingarbugliata matassa, su cui si staglia l’ombra lunga di un complotto dalle ampie dimensioni. Mentre ci si inoltra in un labirinto disseminato di elementi arcani, si ha la costante sensazione di avere qualcuno alle spalle, aggiungendo un senso di inquietudine al giallo della sparizione del celebre artista e scienziato. Dalla sua il giocatore ha presto l’opportunità di utilizzare due lenti che gli permettono una vista di qualità superiore e dal carattere soprannaturale per leggere al di là delle superfici solide e per scrutare quanto accaduto in precedenza in grado di riverberarsi sull’oggi. Tra scrigni dalle serrature inviolabili, ponti girevoli, carri falcati, macchine volanti e frammenti di lettere si entra nel mondo del XVI secolo, così affascinato dal sapere e dall’evoluzione tecnologica. Il primo capitolo di quella che è diventata una trilogia si trova anche in versione VR, dove esplorare gli spazi con la realtà virtuale (con Meta Quest così come Psvr2). Una versione che ha comportato la necessità di ripensare completamente alcuni marchingegni, per rendere le interazioni più comode e accessibili, fornendo un’esperienza sotto molti aspetti del tutto nuova.
INAYAH - LIFE AFTER GODS (Headup, per Pc e console)
Sola, in compagnia di un piccolo drone, aiutata dai consigli di un mentore che appare sotto spoglie evanescenti, Inayah deve fare i conti con un trauma difficile da superare, quando da bambina era stata costretta ad assistere all’uccisione del padre da parte di nemici sconosciuti, forse appartenenti a un clan rivale. Cresciuta, Inayah cerca di ricongiungersi con la sua tribù, intraprendendo un lungo viaggio verso l’ignoto. Attorno a lei, le rovine di antiche civiltà e di arcani culti si stagliano tra la natura rigogliosa di un mondo post-apocalittico, per rappresentare il quale lo studio Exogenesis, formato da veterani del settore, al loro debutto come software house indipendente, ha profuso tutta la sua maestria. Inayah - Life after Gods si nota subito infatti per uno stile anime dalla forte impronta estetica, frutto di un minuzioso disegno a mano per far rivivere gli sfondi, in una continua varietà di biomi, dalla foresta lussureggiante alle aride distese desertiche, nonché gli oltre venti agguerritissimi boss, da affrontare e sconfiggere elaborando opportune strategie. Gli stessi Exogenesis hanno confidato come la scelta di riversare tante cure e attenzioni sulla grafica sia stata il frutto della passione nutrita per i capolavori dello Studio Ghibli e per la serie di animazione L’attacco dei giganti, che tra l’altro racconta di un futuro in cui si scatena senza apparente motivo la violenza di misteriose creature sugli uomini. Inayah - Life after Gods svolge il nastro della narrazione attraverso l’anima più propriamente action platformer 2D del videogame, con elementi metroidvania, nel solco di titoli come Hollow Knight. Incontri con numerosi personaggi e l’esplorazione di ambienti pronti a nascondere tanti segreti sono gli strumenti per il progressivo disvelamento dell’identità degli uni e degli altri, tenendo conto che le interazioni comportano comunque decisioni che influiscono sulla storia. Il genitore ha lasciato alla figlia una preziosa eredità, un guanto portentoso che progressivamente riesce a trasformarsi nelle tre armi di cui dispone Inayah: le doppie lame, un flagello e i pugni, ciascuno con modalità differente di provocare danni nell’avversario, ma soprattutto si tratta di strumenti indispensabili pure per superare gli ostacoli lungo il cammino. Per esempio il flagello può adattarsi a mo’ di frusta per agganciare sporgenze e consentire a Inayah di librarsi nel vuoto.