Generazione bit
Il principe e il pirata, il campione e il poliziotto, la volpe e l’inventore, Lovecraft e Sabatini
BLUE PRINCE (Raw Fury, per Pc, Ps5 e Xbox)
Una villa-labirinto che ogni giorno si risveglia e rinasce diversa da com’era, mantenendo quasi intatto il suo mistero. Frutto di otto anni di lavoro di Tondo Ros, fondatore dello studio Dogubomb nel cuore di Hollywood, Blue Prince è un videogame di forte atmosfera, che unisce in sé gli aspetti strategici di un gioco da tavolo e i rompicapo di un’avventura in prima persona, tinta di giallo. Alla base, però, nell’incastro di stanze, che si aprono a una a una risolvendo gli enigmi, con l’obiettivo di arrivare finalmente alla sfuggente stanza numero 46, c’è il libro illustrato che tanto aveva affascinato Ros da bambino, Maze di Christopher Manson, costruito come una sequenza di puzzle tramite i quali si esplorava un’abitazione cercando di approdare dalla stanza numero 1 alla stanza numero 45 - ciascuna rappresentata da una pagina - impiegando al massimo sedici passaggi. Analogamente ogni passo conta in Blue Prince dove il quattordicenne Simon P. Jones, dopo aver ereditato dal prozio la magione di Mt. Holly, circondata da un paesaggio montuoso, si imbarca nell’impresa di entrare nell’edificio per conoscere il segreto racchiuso nella stanza 46, a patto di riuscire a raggiungerla, messi di volta in volta di fronte alla necessità di scegliere una delle tre porte da cui partire. La capacità di decidere, e le opportunità che dischiude, sono un leitmotiv di Blue Prince, che come Myst e Riven si nutre anche del senso di scoperta continua, immersi in una realtà difficile da decifrare, tanto appare surreale, onirica, attraente nel susseguirsi di spazi armoniosamente ricreati e al contempo fonte di inquietudine nell’alternarsi di situazioni stranianti, senza appigli. L’abilità nell’indagare spazi che non si ripresentano mai uguali a sé stessi e la cui disposizione all’interno dell’architettura cambia di continuo, permette comunque di fissare qualche punto fermo, ritrovandolo a una visita successiva per consentire di orientarsi meglio quando si ricomincia daccapo il giorno dopo, pieni di energia, in un contesto rinnovato, che cela gli ostacoli di vicoli ciechi e di percorsi che allontanano dalla meta. Sono molteplici le verità sepolte che affiorano tra quelle mura silenziose e hanno a che vedere con Simon, i suoi antenati e la sparizione senza un perché di una scrittrice di libri per l’infanzia. Un crogiolo composito, che richiede di procedere con calma, senza fretta, per scandagliare efficacemente l’intorno a caccia di indizi. Artista visivo, con alle spalle esperienze nel mondo del cinema e dell’animazione, Ros debutta nell’arena videoludica con Blue Prince, che si candida subito a miglior gioco dell’anno nel plauso generale verso ogni elemento di un’opera esteticamente raffinata e narrativamente coinvolgente, dalle dinamiche sperimentali ben congegnate in un insieme coerente, dove tutto ha la propria collocazione, in un sovrapporsi di riferimenti e di collegamenti, con la libertà, apparente o concreta che sia, di intraprendere un nostro percorso personale, modellando un’idea di casa in cui si rispecchiano le ansie di un adolescente costretto a fare i conti con un passato che comunque lo riguarda.
LIKE A DRAGON: PIRATE YAKUZA IN HAWAII (Sega, per Pc, Playstation e Xbox)
A volte ritornano. Dopo l’allineamento dei nuovi titoli a una traduzione più fedele e letterale degli originali giapponesi, diventati da noi appunto Like a Dragon a partire dal nuovo decennio, rispunta ancora il termine Yakuza, come è stata a lungo conosciuta in occidente la serie che, nel terzo millennio, ha coinciso con la rinascita di Sega, all’epoca nel pieno di una profonda ristrutturazione, seguita all’abbandono della produzione in proprio di console, dal Master System al Mega Drive, dal Saturn al Dreamcast, per trasformarsi in un editore puro. Oggi la saga ultraventennale di Yakuza/Like a Dragon rappresenta un unicum nel panorama, composta com’è da decine di capitoli tra episodi principali, remake e spin-off tutti a loro modo interessanti, nonché uno dei più fulgidi esponenti dell’eccellenza del made in Japan. Quando si pensa a esperienze cinematografiche da console, se non viene in mente Kojima si salta direttamente a questa eccentrica serie firmata dal Ryu Ga Gotoku Studio, caratterizzata da iperboliche sequenze d’azione che non hanno nulla da invidiare alle pellicole di genere, con l’ampio coinvolgimento di popolari attori della scena nipponica, digitalizzati in maniera realistica. Le stesse ambientazioni, ricalcate su quartieri celebri di famose città, da Tokyo a Yokohama e al pari quasi di un tour virtuale, sono l’ennesimo esempio della cura riposta da Sega in un’opera che ne costituisce per molti aspetti il manifesto, la massima espressione della sua arte come fu in passato Shenmue. Così ha già pronto il debutto di una serie simbolo anche su Switch 2, la prossima console di Nintendo che al lancio, in giugno, riceverà la desideratissima director’s cut del prequel Yakuza 0, immerso negli anni ‘80 e l’episodio forse più amato dai fan per diverse ragioni. Un elemento chiave risiede nello spazio guadagnato dal comprimario Goro Majima, amico-nemico che ha trovato una sua strada con l’evolversi della saga, fino al ruolo di assoluto protagonista in Like a Dragon: Pirate Yakuza in Hawaii, il capitolo più recente uscito quest’anno. Si tratta di una vicenda a sé, un’avventura più leggera e della spirito vacanziero che fa da collante tra i vari Yakuza e Like a Dragon, rimescolando un po’ le carte e recuperando elementi dall’uno o dall’altro titolo, mantenendo comunque uno stile più classico, votato ai combattimenti a suon di arti marziali come alle origini, rispetto alla successiva svolta a turni, sul modello dei giochi di ruolo del Paese del Sol Levante, introdotta nel 2020 con Yakuza: Like a Dragon. Anche se restringere gli Yakuza/Like a Dragon a un singolo ambito non rende giustizia a una saga che, compreso Like a Dragon: Pirate Yakuza in Hawaii, si fonda proprio sulla capacità di mischiare le influenze - dalla storia dei videogame e in particolare di Sega all’estetica del cinema e della tv - e di reinventarsi continuamente, reinterpretando adesso con un gusto tutto suo il tema piratesco, altro pilastro del digital entertainment, con tanto di battaglie navali. Divertimento alle stesse per un blockbuster destinato a affermarsi come un vero cult estivo.
CAPCOM FIGHTING COLLECTION 2 (Capcom, per Pc e console)
Quando hai un catalogo talmente vasto di successi e una storia così lunga e importante come quella di Capcom, per imbastire un revival non resta che l’imbarazzo della scelta. Negli ultimi tempi la casa giapponese sta però realizzando una sequenza di raccolte davvero imperdibili per gli appassionati, in particolare la striscia iniziata nel 2018 con Street Fighter 30th Anniversary Collection, ampliata nel 2022 con Capcom Fighting Collection, continuata nel 2024 con Marvel vs. Capcom Fighting Collection: Arcade Classics e cui si aggiunge ora Capcom Fighting Collection 2. L’antologia più recente si concentra su un periodo di forti cambiamenti, a cavallo tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila, l’epoca che vedeva spopolare in sala giochi schede celebri quali la mitica Sega Naomi. Capcom Fighting Collection 2 contiene otto cult a base di combattimenti - Plasma Sword: Nightmare of Bilstein (1998), Power Stone (1999), Power Stone 2 (2000), Capcom vs. SNK: Millennium Fight 2000 Pro (2000), Project Justice (2000), Street Fighter Alpha 3 Upper (2001), Capcom vs. SNK 2: Mark of the Millennium 2001 (2001), Capcom Fighting Evolution (2004) - che esprimono grosso modo due grandi correnti: da un lato il canto del cigno dello stile disegnato, caratterizzato dagli sprite in 2D, assoluto protagonista del decennio precedente; dall’altro l’alba della grafica poligonale, con i primi esperimenti in 3D che caratterizzeranno invece l’evoluzione del genere nel terzo millennio. Alcune delle chicche più interessanti si ritrovano proprio su questo fronte. Per esempio la coppia dei Power Stone, caciaroni e sempre amatissimi party game all’interno di arene tridimensionali che riportano i fan ai giorni gloriosi del Dreamcast, la più arcade tra le console. Ciascun titolo della selezione vanta comunque un peso non indifferente, da Project Justice, elettrizzante sequel degli incontri a sfondo scolastico di Rival Schools, alla saga di Capcom vs. SNK, pietra miliare per ciò che riguarda tanto i crossover, quanto i tag-team, in cui si confrontano i campioni di quelli che allora erano i dojo digitali più leggendari delle arti marziali made in Japan. Street Fighter Alpha 3 Upper costituisce l’ennesima perla: si tratta del terzo e conclusivo capitolo della serie parallela al praticamente coevo Street Fighter III: 3rd Strike, con il quale ancora oggi si litiga il ruolo di apice del picchiaduro classico per antonomasia. La versione inserita nella Capcom Fighting Collection 2 riprende quella aggiornata in ottica competitiva nel 2001 e lanciata originariamente solo in Giappone, come accadeva spesso una volta. Ogni videogame della raccolta è stato poi ulteriormente riadattato per l’occasione. Oltre ai musei virtuali e ai filtri, ci sono aggiustamenti alle mosse, l’allenamento, il rollback netcode per le sfide online e in certi casi, come Capcom vs. SNK 2, persino i brani riarrangiati (opzionali).
THE PRECINCT (Kwalee, per Pc, Ps5 e Xbox)
Se oggi volessimo indicare un videogame che li batte tutti, forse quello è Gta, o Grand Theft Auto, diventato a essere la più grossa produzione del settore, sia per investimenti che per record di incassi. Ancora una volta, in questi giorni, il mondo si è fermato perché è stato pubblicato online il nuovo trailer del prossimo episodio della serie firmata Rockstar, Grand Theft Auto VI, atteso nel 2026, oltre un decennio dopo l’ultimo capitolo, bestseller che dal 2013 praticamente non ha mai abbandonato la top ten dei titoli più giocati e più venduti. Anche fenomeno culturale, Gta è stato in grado di raccontare la società indagandone a suo modo i lati oscuri, attraverso una grottesca lente deformante che ha lasciato il segno. The Precinct rappresenta per molti aspetti il figlio al prodigo di Grand Theft Auto. Non tanto quello attuale, ma i due capitoli originali dell’allora Dma Design, con vista dall’alto, prima della rivoluzione full 3D di Gta III. Un ritorno al passato - pur se in una formula anche tecnologica più moderna - che introduce un ulteriore cambio di prospettiva. Dove i Gta si concentrano sul dark side, invitando a vivere la parabola dei gangster, The Precinct la ribalta riportando il classico guardie e ladri dalla parte della legge. Ambientato in una città corrotta in cui infiammano le guerre tra bande e ogni tipologia di crimine, il videogame mette nei panni di un giovane agente che, turno dopo turno, ronda dopo ronda, intervento dopo intervento, dovrà venire a capo della situazione. Gli incarichi variano, dalle multe per divieto di sosta agli atti di vandalismo, dallo spaccio alle rapine con conflitto a fuoco, fino al piatto forte, cioè gli inseguimenti più rocamboleschi, in stile The Blues Brothers, con la possibilità di richiedere supporto. Ogni situazione ha le proprie regole e procedure da seguire in base al manuale di polizia: controllo dei documenti, perquisizioni, raccolta di prove, eventuali sanzioni o arresto, compresa la lettura dei diritti, i cosiddetti Miranda rights, come accade nei polizieschi americani. Anche l’uso della forza, in extrema ratio letale, necessità di autorizzazione e di un contesto appropriato. Con The Precinct si respirano un po’ l’atmosfera e le soluzioni di un altro cult che ha fatto epoca, Police Quest, ma il riferimento principale restano le dinamiche sandbox top-down dei vecchi Gta, vera passione degli sviluppatori dello studio Fallen Tree, rievocate già nel precedente progetto, American Fugitive, e ora perfezionate, continuando parallelamente l’omaggio alle pellicole di genere degli anni ‘80 e ‘90.
DROP DUCHY (The Arcade Crew, per Pc)
Gli oratores, dediti alla preghiera; i bellatores, che combattevano, e i laboratores, impegnati nel lavoro quotidiano: la società medievale tripartita si rispecchia nelle tre fazioni di Drop Duchy, un po’ puzzle game, ma anche city builder, roguelite e deckbuilder. Impossibile da racchiudere in un unico genere, il videogame del francese Sleepy Mill Studio prova a rinnovare due dei filoni che oggi vanno per la maggiore: quelli che richiedono di costruire e modificare il proprio mazzo di carte per affrontare sfide strategiche e quelli caratterizzati dai livelli generati proceduralmente con possibilità di sbloccare miglioramenti permanenti tra una partita e l’altra. L’aspetto che subito balza all’occhio richiama però il rompicapo più iconico, Tetris. Anche in Drop Duchy le tessere scendono dall’alto verso il basso, incastrandosi reciprocamente sulla base del disegno geometrico dell’elemento che in questo caso svolge una ben determinata funzione, come porzione di un prato, di un fiume, di una foresta o di un edificio. Quando una fila viene completata, non scompare, bensì moltiplica le risorse che piazzando opportunamente i pezzi si riescono ad accumulare, meglio ancora se l’azione coinvolge più file insieme. Nel frattempo prende posto anche il nemico, con il quale, una volta riempito il tabellone, ci si scontra fino alla battaglia con il boss a suggellare ogni atto del gioco. La vittoria consente di ottenere nuove carte, associate ai blocchi con cui si costruisce il contesto, e risorse da impiegare anche per rendere più prestazionale il mazzo, che si colleziona cammin facendo. Dietro Drop Duchy c’è la passione di Jean-Baptise Oger, fondatore di Sleepy Mill Studio, per i giochi da tavolo, come il classico Carcassone, che prende il nome dalla cittadella fortificata nel sud della Francia, traduzione canonica dell’idea di restauro professata da Eugène Viollet-le-Duc. Dichiaratamente gli sviluppatori si sono invece ispirati per una delle fazioni di Drop Duchy, la Repubblica, alla Repubblica marinara di Venezia e alle architetture del centro storico di Troyes, nella regione settentrionale della Champagne. Un’età di mezzo resa con un’elegante tavolozza a tinte pastello, dispiegando un mondo ricco di combinazioni e di variabili. La prima fazione che si incontra, il Ducato, specializzata nell’agricoltura, ideale per la produzione di cibo, permette di impratichirsi con le modalità di un titolo che può apparire - e in effetti è - complesso, ma sfrutta in realtà un approccio intuitivo i cui fondamenti si apprendono velocemente. La Repubblica è una fazione urbana, dove far nascere quartieri per poi ingrandirli e collegarli. L’Ordine aggiunge l’aspetto della religiosità così sentita all’epoca dei pellegrinaggi e delle Cattedrali. La fazione guarda più specificamente alle Crociate, con l’edificio iniziale modellato sul Krak dei Cavalieri che, prima della guerra civile siriana, era uno degli esempi meglio conservati dei castelli del Sovrano Militare Ordine di Malta.
SPIRIT OF THE NORTH 2 (Silver Lining, per Pc, Ps5 e Xbox)
I miti nordici risplendono in un modo ancora più emozionante in Spirit of the North 2, sequel del titolo con il quale la software house indipendente Infuse Studio di Raleigh nella Carolina del Nord aveva debuttato nel 2019. Protagonista una volpe, animale particolarmente caro al folclore finlandese che celebra il tulikettu, dalla coda fiammeggiante, ritenuto l’artefice del fenomeno suggestivo dell’aurora boreale. La nostra volpe procede solitaria, in compagnia di un corvo avveduto consigliere, un po’ come Hugin e Munin, simboli della memoria e del pensiero messi al servizio del dio Odino. Attorno si aprono spazi sconfinati, rigogliosi o innevati. Il cofondatore di Infuse, Tayler Christensen, ha spiegato come siano stati ispirati dagli incredibili scenari naturali islandesi, con le loro distese di sabbia nera, i pilastri di basalto, le sorgenti termali, le lagune glaciali, nonché dalle pietre runiche che tuttora si ergono nel territorio scandinavo. Riferimenti trasfigurati in Spirit of the North 2, dove i geyser si rivelano ostacoli formidabili, i ghiacciai nascondono camere risalenti a età remote, le pietre si stagliano come sentinelle a sorvegliare passaggi segreti. Le rune dispensano incantesimi portentosi per dotare l’animale (personalizzabile sotto ogni suo aspetto, dallo spessore della coda alla lunghezza del muso, alla taglia) delle capacità per affrontare un compito arduo. È un paesaggio intriso di magia e vivido, ma in rovina quello attraversato dalla volpe, devastato da guerre, disastri ambientali, spiritualità negata, decisioni sbagliate. Lo sguardo contempla ciò che è e immagina ciò che potrebbe essere, mantenendo accesa la speranza di invertire la china drammatica. Sarà però necessario liberare i saggi Guardiani svaniti nel nulla, affinché la volpe possa finalmente tornare a casa, sventando i foschi piani dello sciamano Grimnir, un altro nome evocativo dell’epica norrena, i cui echi avvolgono l’impresa della volpe. In Spirit of the North 2 appare sempre più eroica e votata alla sua missione. Se non è necessario aver giocato il primo videogame, Spirit of the North, per appassionarsi alle vicende dello straordinario animale, per conoscere meglio il mondo creato da Infuse lo si può recuperare così da immergersi nell’incanto dei primi passi di un’epopea avvincente, quando una comune volpe rossa incontra il Guardiano dell’Aurora Boreale, luminoso spirito femminile dalle sembianze di una volpe, e niente sarà più come prima.
THE HORROR AT HIGHROOK (Nullpointer, per Pc e Mac)
Un po’ Cluedo, ma diverso dal celebre gioco da tavolo, e soprattutto un omaggio al topos della casa stregata intrecciato con il tema caro al Gotico inglese della magione ricca di segreti immersa nella campagna - o, come in questo caso, affacciata su scogliere battute dalle onde - dove le oscure presenze annidate in edifici labirintici si riflettono sulle inquietanti verità celate dal vissuto delle famiglie che vi abitano. The Horror at Highrook è sviluppato da Nullpointer, studio di Brighton and Hove fondato dall’artista e programmatore Tom Betts, appassionato di film horror, che si è dichiaratamente ispirato a HP Lovecraft, Edgar Allan Poe e Bram Stoker per creare l’atmosfera cupa di un giallo complicato. In apparenza vuota, Highrook, dall’aspetto vagamente vittoriano, accoglie quattro investigatori dell’occulto ingaggiati dal sindaco di Blacksand per capire dove e perché siano scomparsi nel nulla i discendenti del ricco e nobile casato degli Ackeron legati alle fortune e alle disgrazie della dimora. Inizialmente ci si trova di fronte a gran parte delle stanze chiuse. Per procedere si dovrà dunque imparare a mischiare e a combinare le carte del mazzo di un rpg dall’impronta narrativa e dal carattere esoterico, con un’ampia varietà di abbinamenti dalle conseguenze ulteriormente ramificate, per svelare l’arcano e combattere le forze oscure, attraverso rituali e procurandosi manufatti adatti allo scopo. Ogni investigatore ha abilità specifiche, dal saper armeggiare i più complicati meccanismi al decifrare il contenuto antichi libri e documenti; dalla forma fisica adatta per scalare muri e rocce alla perizia nel confezionare pozioni in laboratorio. Inoltre, di stanza in stanza, possono rivelare altre utili attitudini, per esempio in cucina. Tutti hanno comunque bisogni vitali di cui tener conto, come mangiare e dormire, per non finire preda della fame, della stanchezza, della malattia o inghiottiti nel baratro della follia, come accaduto al patriarca degli Akeron, la cui sete di conoscenza non si era arrestata davanti a nulla, squarciando un varco con un mondo di terribili creature. Le carte sono disegnate come eleganti illustrazioni d’antan, suoni e musica contribuiscono a mantenere alta la tensione di una lotta contro l’ignoto, dove presto alla missione di accertare i fatti si unisce l’altrettanto importante compito di cercare di non soccombere di fronte a fantasmi alimentati anche dal passato dei quattro personaggi, in cerca di sé stessi e di una possibile redenzione.
EVOTINCTION (Perpetual, per Pc e Ps5)
Il titolo Evotinction è un portmanteau frutto della fusione dei concetti di evoluzione e di estinzione, a indicare come il progresso scientifico e tecnologico, spinto all’eccesso, possa determinare addirittura la fine dell’umanità. È lo scenario del gioco hack and stealth dello studio cinese Spikewave, giunto su Playstation grazie all’editore Perp e che ha immaginato un futuro prossimo nel quale all’intelligenza artificiale (IA) sono delegati compiti sempre più impegnativi, come la gestione del sofisticato laboratorio in cui lavora lo scienziato Thomas Liu e con lui le migliori menti della Terra. Infettata da un virus sconosciuto, l’IA però si ribella contro gli esseri umani, scatenando il letale esercito di droni al suo servizio. Figlio della fascinazione per le dinamiche furtive e la profondità di temi esplorati da Hideo Kojima in Metal Gear Solid, Evotinction ha per protagonista non un agente speciale o un supereroe capace di destreggiarsi in ogni situazione, ma il dottor Liu, che può al massimo cercare di evitare gli scontri e nascondersi all’occorrenza per passare inosservato. Al contempo ha dalla sua l’abilità nel manipolare i virus informatici per annullare questa o quella minaccia, rendendo inoffensivi i droni. Il suo arsenale comprende inoltre le conoscenze per disturbare le comunicazioni radio e i segnali elettromagnetici, provocare interferenze, impiantare malware, confondere i sistemi Iff, con i quali normalmente si distinguono i nemici dagli amici, adottando la tecnica dello spoofing. Solo, senza la certezza però di essere l’unico sopravvissuto, Liu si mette a setacciare la base, consapevole di quanto l’onda distruttiva dell’IA possa dilagare sempre più. Vuole anche tentare di salvare eventuali altri superstiti. L’orologio è implacabile, costringendo a operare velocemente. Liu è aiutato dalle indicazioni fornite da un drone amico, Oz, per orientarsi nel labirintico edificio, avvicinandosi progressivamente al cuore degli esperimenti più all’avanguardia difeso da robot programmati per uccidere. Un viaggio reale, che diventa anche esistenziale, nella missione di un uomo come tanti che ha qualcosa da dimenticare e da farsi perdonare, tra atmosfere di forte suggestione nelle quali si riverberano ansie, paure, speranze, inquietudini. Di cosa in particolare si occupavano i laboratori della base Here? Cos’è veramente successo e perché? Chi sono i colpevoli e chi gli innocenti? Liu non è un uomo d’azione, ma un uomo di scienza, a 360 gradi, ed è verso le frontiere del sapere che proiettano i piani dell’avveniristico laboratorio, pericolosamente affacciato sul mistero della vita.
THE HOUSE OF DA VINCI 2 (Blue Brain, per Pc, Mac, console e mobile)
Si sarebbe potuto incontrare con il giovane Ludovico Ariosto, ma Giacomo, il protagonista di The House of Da Vinci 2, nella Ferrara del 1495 si trova in realtà senza molti margini d’azione, nella cella di un carcere, dal quale riesce però a ingegnarsi a evadere. Scopre ben presto che non tutto è merito suo. Viene infatti contattato da un personaggio misterioso che gli chiede di infiltrarsi come spia nell’entourage di Leonardo da Vinci. Comincia così il sequel di The House of Da Vinci, ossia il secondo capitolo dell’acclamata trilogia di Blue Brain, software house di Bratislava in Slovacchia (ora con una sede anche a Praga nella Repubblica Ceca), specializzata in puzzle game ambientati in periodi storici ricostruiti con cura. Prossimamente ci si potrà inoltrare, con The House of Tesla, nella Wardenclyffe dei sogni avveniristici del pioniere dell’elettricità che pensava di far nascere qui la città della radio. Intanto con The House of Da Vinci 2 ci si sposta nell’Italia del Rinascimento, perché Giacomo, dopo essere stato messo alla prova, cioè aver superato il test di un labirinto infarcito di rompicapo, viene effettivamente ammesso come aiutante del grande genio toscano, intraprendendo un viaggio che lo condurrà dalla corte degli Estense a Milano, con Leonardo impegnato nella realizzazione del Cenacolo in Santa Maria delle Grazie, ma si tornerà anche nel cuore di Firenze, dove sorge la Badia Fiorentina, per raggiungere pure altre località, come Torino, la cui Biblioteca Reale custodisce preziosi disegni dell’artista e il Codice sul volo degli uccelli con importanti studi sul tema e il progetto della più evoluta macchina volante chiamata il Grande Nibbio. Tra i luoghi iconici, fonte di ispirazione anche per il giallo del Nome della rosa di Umberto Eco, spicca inoltre la Sacra di San Michele in Valsusa. È un itinerario alla ricerca della verità su un mistero che ha a che vedere con fosche cospirazioni e società segrete. Per procedere è indispensabile risolvere gli enigmi che richiedono attenzione a ogni dettaglio, perché magari abbiamo la soluzione sotto gli occhi, ma siamo troppo distratti per coglierla. Ci sono a disposizione suggerimenti, ma soprattutto c’è l’opportunità, se non la necessità, di andare indietro nel tempo, grazie al marchingegno dell’Oculus Perpetuo. Una volta catapultati nel passato possiamo agire recuperando quanto ci occorre o apportando opportune modifiche all’intorno, così da tornare nel presente sbloccando l’ostacolo e avvicinarsi un po’ di più alla composizione dell’affresco finale.
CAPTAIN BLOOD (Sneg, per Pc e console)
Vent’anni e, bene o male, sentirli tutti. È la scommessa di Captain Blood, annunciato nel videoludicamente lontanissimo 2003, all’epoca della prima Xbox. Più volte recuperato dal cassetto e poi ancora perso di vista. Fino al definitivo completamento solo adesso, in una collaborazione tra l’editore Sneg e gli sviluppatori General Arcade e Seawolf. Captain Blood è un gioco che nonostante tutto ha mantenuto intatta la sua anima e che per molti aspetti costituisce un tuffo nel passato, così che oggi sembra quasi di trovarsi di fronte alla versione rimasterizzata di un vecchio cult dell’era Playstation 2, una sorta di moderno hack and slash quando l’ultima moda erano gli action 3D alla God of War: non gli episodi recenti di Cory Barlog, ma l’originale di David Jaffe. Man mano deve essersi fatta largo una precisa ispirazione e non mancano tutti gli ingredienti caratteristici del periodo, dall’ultraviolenza caricaturale allo stile da fumettone, ai combattimenti inframezzati da quick time event, con il pigiare dei tasti in sovrimpressione a enfatizzare i momenti più spettacolari. Ciliegina sulla torta l’ambientazione piratesca, nata da una costola di Sea Dogs, bestseller della ormai defunta software house russa Akella, ma che, nonostante appaia magari poco frequentata, vanta uno zoccolo duro di fan e una lunga tradizione nel digital entertainment, a cominciare da titoli come Sid Meier's Pirates! per arrivare ai successi odierni di Sea of Thieves. In realtà, però, Captain Blood ha anche un padre nobile: lo scrittore anglo-italiano Rafael Sabatini. Non è un caso che il titolo del videogame riprenda quello di uno dei suoi romanzi più celebri insieme a Scaramouche e al Cigno nero, cioè Capitan Blood. Anche se, al di là di qualche riferimento, lo si può considerare un adattamento molto libero. Il libro di Sabatini, uscito originariamente nel 1922, è un classico della letteratura di cappa e spada che condivide gli esotici paesaggi caraibici del Corsaro nero di Emilio Salgari, pubblicato nel 1898, non però propriamente il contesto storico. Condannato ai lavori forzati alle Barbados per aver prestato le cure ai rivoltosi feriti nella battaglia di Sedgmoor, il dottor Peter Blood si libera fortunosamente e, radunati altri compagni di sventura, si trasforma nel temibile e fascinoso pirata Captain Blood, incubo dei galeoni spagnoli, rimanendo sempre fedele alla corona britannica e trionfando infine sul destino. Sogni di gloria che nel videogame seguono una sequenza di duelli via via più cruenti.