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Generazione bit. La F1 made in Italy, lo scimmione di Nintendo e gli Space Marine: da Venezia a Camelot sul filobus più pazzo del mondo
FORMULA LEGENDS (3DClouds, per Pc e console)
Un omaggio duplice: alla F1 e ai cari, vecchi racing game di una volta. Con Formula Legends i ragazzi di 3DClouds fanno il salto nella major league del digital entertainment firmando da Milano, dove lo studio è nato circa dieci anni fa, una delle uscite più interessanti di un filone che si potrebbe definire neorétro, in cui rivive l’amore per il passato, ma rielaborato in modo assolutamente contemporaneo. I titoli di corse sono d’altronde un po’ il pane quotidiano del team, che si era già fatto notare per il futuristico Xenon Racer e che ha alle spalle All-Star Fruit Racing, rivisitazione del party alla Mario Kart al quale sono seguiti diversi tie-in basati su famosi cartoon. Formula Legends costituisce una produzione totalmente originale di più ampio respiro, con tanto di tabella di marcia che prevede l’iniezione di contenuti e aggiornamenti anche in risposta ai feedback dei giocatori, esprimendo subito l’idea di un supporto esteso confidando che attorno al videogame possa crescere una community di fan. Gli ingredienti per il successo non mancano. 3DClouds ha riversato in Formula Legends tutta la sua passione per le gare automobilistiche, un glorioso tributo al mondo dei motori che passa in rassegna oltre mezzo secolo di F1, dagli anni ‘60 ai giorni nostri. Nessuna licenza ufficiale e uno stile volutamente caricaturale, super deformed, ma dove tutto e tutti restano riconoscibilissimi, al di là delle storpiature che strappano un sorriso, proprio come accadeva agli albori del medium. Lo spirito è esattamente old school, quando non c’era ancora una vera differenza tra arcade e simulazioni, lo stesso tipo di sfida immediata, ma da padroneggiare che Formula Legends cerca di rievocare mettendo in campo via via pure le traduzioni ad hoc di sistemi come kers e drs, inseriti anch’essi nelle dinamiche di guida a seconda delle ere, mentre il pit stop si trasforma in un quick time event. Un romantico viaggio lungo sessant’anni di F1 che rappresenta il piatto forte del titolo, pieno di dettagli gustosi che testimoniano la cura verso un progetto dei sogni coltivato col cuore. Da un decennio all’altro cambiano la foggia iconica delle monoposto, il feeling al volante insieme ai filtri d’epoca della regia televisiva e al layout dei circuiti, ispirati alle piste più leggendarie e che rispecchiano altrettante evoluzioni, legate anche alla sicurezza, con le balle di fieno che lasciano il posto a moderne chicane, raccontando alla maniera scanzonata di Formula Legends la storia del motorsport.
DONKEY KONG BANANZA ISOLA DK + CACCIA AGLI SMERALDI (Nintendo, per Switch 2)
La famigerata Void Company ha aperto un nuovo business, ma Donkey Kong è in agguato a mettere ancora una volta il bastone tra le ruote alla malvagia società mineraria. Dopo il suo fastoso, dirompente esordio su Switch 2, per Donkey Kong Bananza, sviluppato da Nintendo EPD (Entertainment Planning & Development), è già tempo di dlc, arrivato con Isola DK + Caccia agli smeraldi, annunciato all’ultimo Nintendo Direct e reso subito disponibile. Il contenuto scaricabile necessita del titolo principale, ma senza che ci sia l’obbligo di averlo completato: si può infatti approdare nella paradisiaca isola parlando con il pappagallo Pagal nel livello del circuito, dove il gorilla forzuto in compagnia della talentuosa cantante Pauline giunge nella sua discesa verso il centro della terra con gli obiettivi di accaparrarsi gustosi caschi di banane (sognate da lui) e di tornare a casa (la speranza nutrita da lei). In mezzo ci sono le preziose gemme di Banandium, oggetto di una vera corsa all’oro cui lo stesso Donkey Kong vorrebbe partecipare, ma la Void Company è decisa a stabilire un monopolio e per attuare i suoi piani provoca lo sprofondarsi di Lingottisola nelle viscere della terra, rapendo pure Pauline per cercare di ottenere un rarissimo manufatto capace di esaudire ogni desiderio. Il prode gorilla si lancia sulle tracce degli avidi avversari, in un rutilante, irresistibile platform d’azione 3D dove tutto, dal disegno alla musica, concorre al divertimento dell’ennesimo riuscitissimo capitolo della saga, pieno di inventiva e di sorprese. L’adolescente Pauline, in passato archetipo della damigella in pericolo, non solo recupera la voce, ma acquisisce sicurezza e un’ulteriore dote, tramite le Bananza rinvenute sottoterra: il potere di risvegliare, intonando una melodia, la capacità di Donkey Kong di trasformarsi in forme animali dalle quali ottenere abilità utili nella missione. Un potenziamento da applicare strategicamente nel momento più opportuno. Sconfitti con successo i nemici, ecco con Isola DK + Caccia agli smeraldi spalancarsi per Donkey Kong una nuova avventura, teatro stavolta l’isola tropicale dove la Void Company ha rinserrato i ranghi e impiantato il quarter generale, ingaggiando tra i suoi dipendenti il generoso gorilla con l’amica Pauline e i Pagal, forniti di speciali walkie-talkie trattenuti con le zampe con i quali mantenere i canali di comunicazione tra il presidente Void Kong e il resto della compagnia. Se si è terminato il capitolo principale, dopo uno scambio verbale sulla prova Bananza con uno dei Venerabili si può sfruttare un cosiddetto gong di viaggio ed è un attimo ritrovarsi nel dlc, sperimentando una sorta di déjà-vu, frutto della ricreazione di elementi visti in precedenti capitoli della longeva, blasonata serie, con un effetto nostalgia che significa anche amore per la propria storia. Del resto, tra le prerogative del gioco c’è la possibilità di allestire una galleria di statuine dei personaggi della saga, compresi quelli visti in fugaci cammei. Esplorando i dintorni, capita anche di incontrarli, come Diddy, Dixie e Cranky. Per il resto Donkey Kong è pronto a raccogliere tutto ciò che di buono è seminato nel paesaggio e a spaccare con i suoi colpi devastanti tutto ciò che si para sul suo cammino, stavolta alla luce del sole, in un convincente viaggio dove continua a splendere la grafica della nuova console di Nintendo, che permette di apprezzare persino la diversità tattile delle superfici di materiali differenti.
TOWA AND THE GUARDIANS OF THE SACRED TREE (Bandai Namco, per Pc e console)
Il folclore nipponico reinventato in disegni a mano nello stile dell’ukiyo-e, quello del “mondo fluttuante” delle città, teatro di un dinamismo sociale sconosciuto invece nel Giappone rurale feudale: ma se l’ispirazione per i mostri arriva anche e soprattutto dalla variegata galleria di yokai e kappa della tradizione, è comunque originale il contesto così come frutto della fantasia degli sviluppatori - lo studio Brownies Inc. dietro la realizzazione di titoli come Doraemon The Story of Seasons con Marvelous - è il cast della compagnia di otto alleati arruolati dalla sacerdotessa Towa per salvare il villaggio di Shinju dai piani del crudele Magatsu e dell’esercito di Magaori ai suoi ordini. Il titolo segna il debutto di Brownies nell’arena piuttosto affollata dei roguelite, che hanno il loro alfiere assoluto in Hades e dove Towa and the Guardians of the Sacred Tree si propone con alcune caratteristiche distintive, puntando molto anche sul lato narrativo e sui legami tra i personaggi, in particolare tra i Guardiani del sacro albero. Questi ultimi sono costretti ad allontanarsi dalla loro comunità per esplorare terre molto diverse e comunque splendide, minacciate dal dilagare del male. Un’altra peculiarità è che sono due gli eroi da scegliere per mandarli in missione, uno dotato del potere della spada sacra (Tsurugi), l’altro del bastone magico (Kaguri), associando strategicamente le abilità di ciascuno, tutti ugualmente importanti e tutti interessanti. Chi combatte all’arma bianca ha a disposizione due spade, Honzashi e Wakizashi, nel ricordo dell’iconica immagine del samurai, il cui status era simbolizzato dal daisho, con l’abbinamento di una spada lunga (Katana) e di una spada corta (Wakizashi). Chi utilizza la magia, lancia in supporto incantesimi. Le combinazioni possibili sono tantissime, a favore della rigiocabilità, anche perché i personaggi si imparano a conoscere durante i loro viaggi, mentre scambiano confidenze, magari seduti davanti al fuoco. Racconti che mutano a seconda dell’interlocutore e che gettano luce anche sulla vita nel villaggio prima degli sconvolgimenti provocati da Magatsu. Il filo con il paesino non si interrompe con la partenza degli eroi. Towa, pur con l’opportunità di uscire, rimane nella piccola comunità, che si evolve con il trascorrere del tempo e, conversando con gli abitanti, si ricostruisce la storia di Shinju con le sue usanze e i suoi costumi. Lì ci sono anche il dojo, dove allenarsi per potenziare i personaggi, e la fucina per forgiare nuove spade, insomma il cuore pulsante dell’impresa. Menzione speciale per la colonna sonora, scritta da Hitoshi Sakimoto, autore delle evocative musiche di Final Fantasy Tactics e Final Fantasy XII.
WARHAMMER 40,000: SPACE MARINE II – 2-Year ANNIVERSARY EDITION (Focus, per Pc, Ps5 e Xbox Series)
Alla fine l’allievo ha superato il maestro, anche se è difficile affermare con certezza chi sia cosa in un contesto del genere, dove le influenze reciproche abbondano e Warhammer 40K rappresenta da decenni un riferimento, non solo iconografico, assoluto. Ben prima che Gears of War portasse nel digital entertainment il proprio immaginario marziale, ma soprattutto rivoluzionasse la scena degli shooter, definendo un canone per quelli in terza persona che rimane un faro ancora oggi. Però Saber Interactive c’è riuscita a dare uno scossone, facendo del suo Warhammer 40,000: Space Marine 2, oltreché una delle più riuscite traduzioni videoludiche del famoso universo fantascientifico di Games Workshop, il nuovo avversario da battere nel campo degli sparatutto. Un successo che non accenna ad affievolirsi, sostenuto da una fitta tabella di marcia, di aggiornamento in aggiornamento, il più recente dei quali coincide con il ricco Anniversary Update 10.0, a un anno esatto dal lancio del titolo avvenuto nel settembre del 2024. Parecchie e sostanziose le novità pensate per tenere incollati i fan, iniziando a esplorare i tanti contenuti in programma con la seconda stagione, che si svilupperà appunto in parallelo alle patch dall’attuale 10 alle 15, prevista nell’estate del 2026. Ad accompagnare gli aggiornamenti gratuiti il relativo Season Pass II, che permette di sbloccare elementi estetici, cioè aspetti alternativi per armi e armature, realizzate con la cura che ci si confà a un videogame ispirato al forse più celebre gioco di miniature, di cui i Season Pass recuperano set iconici. I primi due dlc aggiungono skin e componenti ripresi dai Black Templars e dai 7 Capitoli Successori degli Imperial Fists. Successivamente toccherà a Blood Angels, Salamanders, Raven Guard, Carcharodons, Iron Hands, Raptors e Redacted. I contenuti principali dell’aggiornamento sono invece disponibili per i possessori di qualsiasi versione di Space Marine 2 e vanno a inspessire l’offerta ludica, introducendo all’interno del titolo ulteriori modalità, missioni, mappe, nemici, armi e un generale raffinamento dell’esperienza. Ce n’è per tutti i gusti, anche se ovviamente lo sguardo è rivolto in primis al multiplayer, dove si concentrano le grosse novità. Nel PvE debutta Stratagems, una rivisitazione delle Operations – missioni ad alto tasso di sfida da completare in solo o co-op, in un crescendo fino al boss come nell’inedita Vortex allestita per l’occasione e ambientata su Avarax, lo stesso pianeta dell’arena Bridge che sbarca nell’Eternal War - basata sulla presenza di modificatori che cambiano il tipo di situazioni a cadenze quotidiane e settimanali. Sul fronte PvP si fa largo Helbrute Onslaught, una modalità in cui nel corso di una battaglia per il controllo di aree strategiche si impersonano anche gli omonimi bestioni.
GLOOMY EYES (ARTE France e Untold Tales, per Pc e console)
Una fiaba malinconica e toccante sul valore dei legami anche con il prossimo più improbabile per riuscire a raggiungere insieme traguardi importanti. Il mondo è precipitato nel buio perché il sole si è stancato della stupidità umana e due piccoli decidono, ciascuno autonomamente, di fare qualcosa per far tornare la luce. Quando si incontrano, si scoprono amici e capiscono di dover unire le forze Il problema è che lui, Gloomy, è uno zombi che riesce a sopportare a mala pena il chiaro di luna; lei, Nena, è una bambina umana che proprio non riesce a vivere senza il corroborante calore dei raggi. Lo sfondo della loro emozionante avventura è una terra in decadenza, dove più che la minaccia di mostri da combattere come in tanti incubi post-apocalittici sembra di essere di fronte all’autodistruzione di un’umanità egoista, diffidente e cieca. Eppure i non morti si risvegliano cominciando a dilagare e gli uomini iniziano a temere organizzando una crociata, capeggiata dallo zio di Nena, sacerdote di un culto spietato, la cui figura incombe tetra sulla nipote, che però non si dà per vinta e scommette sulla buona volontà di Gloomy. In effetti i due bambini sono complementari l’uno all’altra e avranno bisogno reciprocamente delle rispettive abilità per poter continuare la loro difficile missione: arrivare fino al sole e dimostrargli che c’è ancora speranza per cui non deve essere troppo spazientito con gli uomini, ma può tornare a brillare. È un horror, ma che i piccoli possono affrontare con coraggio, alternandosi per risolvere gli enigmi ambientali in un gioco dallo stile coop in solitaria, dove si controllano a turno sia Gloomy, sia Nena. Sviluppato dallo studio belga Fishing Cactus, Gloomy Eyes ha all’origine un cortometraggio animato in VR, applaudito al Tribeca festival, al Sundance, e al SXSW (South by Southwest), con la voce narrante di Colin Farrell. Anche nel videogame il racconto è affidato al personaggio del guardiano del vecchio cimitero, doppiato però da Eric Nolan, stesso accento irlandese e livido tono spettrale. Quest’ultima cifra permea il clima che si respira in Gloomy Eyes, tra edifici abbandonati, un luna park fantasma e un faro dimenticato. La passione riversata nella costruzione di ogni diorama, ciascuno a contenere uno dei quattordici livelli che consentono differenti gradi di esplorazione, è applicata fino al minimo dettaglio, evocando atmosfere burtoniane, trasferite in un avvincente apologo sulla dannosa inutilità dei pregiudizi contro chi è diverso da noi.
SWORN (Team17, per Pc)
Conto alla rovescia per l’uscita dall’accesso anticipato di Sworn dello studio californiano Windwalk Games, annunciato in versione 1.0 il 23 settembre, anticipando di due giorni l’attesissimo arrivo degli dei dell’Olimpo greco di Hades II di Supergiant Games per evitare la sovrapposizione delle date di lancio con il sequel di un capolavoro per il quale i ragazzi di Windwalk hanno esplicitamente dichiarato la loro ammirazione riconoscendolo tra le fonti fondamentali di ispirazione per il gioco d’azione roguelike cooperativo ambientato nella Camelot del ciclo arturiano. La modalità co-op è un po’ la cifra distintiva della casa indie di San Francisco che in Sworn coinvolge da uno a quattro giocatori chiamati - nei panni del Vigilante (o Vendicatore), della Torre (Rook), dello Spettro o del Monaco, anime resuscitate per compiere la missione cementata da un giuramento di fedeltà ai Signori delle Fate - a restituire lustro alla corte di re Artù, dopo che il leggendario sovrano e i Cavalieri della Tavola Rotonda sono finiti preda della decadenza e della corruzione. È una rivisitazione a tinte dark dell’epica saga, della quale si incontrano i vari personaggi, dal mago Merlino alla Dama del Lago, da Oberon, il re delle fate, alla sua sposa Titania, la regina delle fate, da Ginevra, la consorte di Artù innamorata di Lancillotto, attingendo anche al folclore britannico, dalla strega Beira, regina dell’inverno, alle banshee dei miti celtici. Abbondantissimo il materiale sbloccabile, man mano che si procede verso la battaglia definitiva, potenziando abilità e arsenale, tra armi e incantesimi, dei protagonisti, che possono ottenere anche miriadi di benedizioni per modificare intensità ed effetti degli attacchi, eventualmente combinandole insieme per una maggiore efficacia, in questo mondo fantasy intriso di magia. Discesi nei dungeon e sconfitti i nemici, si passa alla stanza successiva e si ricevono ricompense, da gestire in maniera oculata in un videogame in cui la morte è costantemente in agguato, nonostante si tratti di una fine abbastanza indolore, perché mantieni diversi progressi, rinascendo meglio preparati per affrontare le sfide, attraverso foreste irte di trappole e le paludi della Cornovaglia, spingendosi in un porto affacciato su acque scure popolate da mostri tentacolari per poi addentrarsi nell’architettura labirintica del castello di Camelot, tra scenari da incubo ricreati guardato all’arte di Mike Mignola, il papà di Hellboy.
TROLEU (Critical Reflex, per Pc)
Se viaggiare sui mezzi pubblici vi è sembrato a volte un’odissea, provate con Troleu di andrground, studio moldavo composto da una sola persona (più l’apporto della sorella per il character design e di un amico per le musiche), a consolarvi salendo sul filobus più pazzo del mondo, dove qualsiasi tragitto si trasforma in un’impresa sopra le righe e completamente fuori di testa, nei panni di un autista deciso a ogni costo a far rispettare le regole, provando a convincere fin la clientela più riottosa. L’incarico chiede che ogni passeggero paghi il biglietto, che ci sia ordine e sicurezza sulla vettura e che vanga fronteggiato qualsiasi imprevisto. Come riuscirci è un altro paio di maniche in questo gestionale folle e vivacemente autoironico, dove il protagonista può addirittura ricorrere alle maniere forti, rendendo pan per focaccia ai violenti che vorrebbero approfittare delle circostanze. Ci sono diversi momenti nei quali è richiesta l’azione. Innanzitutto all’accesso, dove si deve far pagare il biglietto, in contanti o con il Pos, oppure capire se il titolo di viaggio mostrato è valido oppure falso. Una prima scrematura cui prestare la dovuta cautela perché sarebbero dolori se i controllori dovessero trovare un biglietto contraffatto. Una volta partiti, ecco che comincia l’avventura su un filobus che non si pone limiti nelle sue corse, con tutto ciò che ne consegue per il prode nocchiero, costretto a destreggiarsi tra dinosauri a spasso in piena età della pietra, terreni sassosi nelle strade di campagna dove può capitare vengano trasportati anche prodotti che sporcano il veicolo ovviamente da pulire all’istante, per non parlare dei vacanzieri sulla spiaggia involontari dispensatori di sabbia, ma si può scendere pure nelle profondità dell’oceano o proiettarsi in orbita nello spazio con i problemi di gravità annessi. Attenzione in ogni caso al turno di notte, quando la delinquenza si avvale del favore delle tenebre per rubare i portafogli, compiere atti vandalici rompendo i finestrini, oltre all’imbarcarsi di figuri rissosi e poco raccomandabili. Contesti fantasiosi, alla base dei quali c’è però la piana realtà. Lo sviluppatore ha infatti spiegato di essere sempre rimasto colpito dagli autisti dei mezzi pubblici della sua città natale, Chisinau, la capitale della Moldavia, capaci non solo di affrontare un traffico molto caotico, ma di prendere i soldi e staccare velocemente i biglietti su filobus affollatissimi. Lo sguardo alla varia umanità stipata e alle situazioni paradossali che possono presentarsi ha fatto il resto, trasferendo uno spirito comunque ottimista e gioioso all’eroe chiamato a sopravvivere al turno di un lavoro che comunque gli piace e, nonostante mille grattacapi e tormenti, gli concede più di una soddisfazione.
KARMA: THE DARK WORLD (Wired Production, per Pc, Ps5 e Xbox Series)
Siamo nell’anno 1984 e non è l’unico riferimento al celebre libro di George Orwell presente nella realtà alternativa di Karma: The Dark World, thriller psicologico in prima persona che adesso è disponibile anche per Xbox Series, dopo essere già uscito per Pc e Ps5. Il protagonista è Daniel McGovern, un agente itinerante dell'Ufficio pensieri della Leviathan Corporation, l’azienda che sorveglia tutto e tutti, in una Germania dell’Est di invenzione ispirata al Paese sotto il regime comunista per il clima oppressivo. Il resto è fantascienza e critica a una società che impone i suoi dettami a 360 gradi, seducendo e convincendo. I manifesti della propaganda della Leviathan sono ovunque, ma per tenere alto il morale della popolazione vengono generosamente fornite anche pasticche che alterano la percezione. L’obiettivo della megacorporation è garantire la massima efficenza, sopprimendo qualsiasi dissenso, convinta che solo così si possa ottenere il benessere per l’intera collettività. Rimasto orfano e cresciuto da una misteriosa entità, forse al vertice della piramide del potere, Daniel compie impassibile le indagini che gli vengono affidate entrando nella mente dei sospettati per carpirne i segreti e scoprire la verità. Si tratta di un’operazione dolorosa che viola la sfera più intima dell’individuo. Con il nuovo caso, cominciano ad aprire delle crepe nelle incrollabili certezze dell’agente, a sua volta con il peso di un passato di cui non ricorda nulla, ma che sta tentando di aprirsi un varco per riaffiorare. Lo studio cinese Pollard ha costruito un mondo complesso, dove niente, o quasi, è ciò che appare, sollecitando domande su libertà e libero arbitrio, su cosa distingua l’uomo dalla macchina, sulla capacità di effettuare scelte autonome che magari si rivelano invece essere calate dall’alto. L’incertezza si colora di atmosfere lynchiane attingendo all’immaginario cinematografico del regista di Twin Peaks, mentre i suoni distorti enfatizzano quanto possa essere disturbante discostarsi dal sentiero delle convenzioni stabilite. Per Daniel capire e sapere diventa una necessità, che dischiude un possibile futuro più appagante, rompendo una gabbia di cupa solitudine per scoprire ciò che l’amicizia e, chissà, l’amore riescono a dare.
STRANGE ANTIQUITIES (Iceberg Interactive, per Pc)
Dalla Storia infinita ai Gremlins anche nell’immaginario cinematografico si è entrati in luoghi traboccanti di fascino come le librerie e i negozi degli antiquari, che in effetti sul grande schermo si rivelavano magici. Qualcosa del genere accade con Strange Antiquities di Bad Vikings, lo studio formato dai fratelli Rob e John Donkin, che dopo il successo del rompicapo occulto Strange Horticulture, a tema botanico, proseguono nello stesso solco con un sequel stand-alone, ambientato tra gli scaffali di una misteriosa rivendita, immersa in un’atmosfera lovecraftiana, dove si reincontra uno splendido gatto da coccolare, cullati dall’inquietante musica di Ben Young. Per trovare materia per il sequel, i fratelli Donkin non si sono dovuti troppo allontanare da dove la software house ha sede, a Chessington, scoprendo nei musei - l’Ashmolean e il Pitt Rivers a Oxford, il Whitby nello Yorkshire settentrionale con la cosiddetta mano della gloria, ossia l’arto staccato dal braccio di un impiccato cui vengono attribuite strane facoltà - una mecca di idee, a prescindere dalla constatazione di come l’esoterismo sia un filone particolarmente fertile in Inghilterra. Le fonti di ispirazione spaziano comunque dalla mitologia greca a racconti e romanzi di fantascienza, senza dimenticare giochi da tavolo (Eldritch Horror, Sherlock Holmes: Consulente investigativo) e il libro The Alchimist’s Cat della serie prequel al ciclo I topi di Dripford di Robin Jarvis, testo amatissimo dagli allora ragazzi Donkin. Del resto sono un’ottantina i manufatti che l’apprendista commesso protagonista deve scovare, in una sorta di caccia al tesoro da condurre entro le quattro mura, ma che coinvolge l’intera cittadina di Undermere, adagiata sulle rive di un lago e posta lungo il confine tra il mondo terreno e la realtà ultraterrena. Le dinamiche del videogame ricordano quelle di Papers, Please e Coffee Talk, dove ogni singolo visitatore si presentava come un puzzle vivente, tutto da decifrare. Anche in Strange Antiquities si sussegue la più varia clientela con le più bizzarre richieste da soddisfare, mentre il titolare è in tutt’altre faccende affaccendato e il peso di gestire l’attività è sulle spalle del giovane dipendente che ha ancora molto da imparare. Qualcosa di terribile incombe su Undermere e forse gli oggetti venduti nel negozietto hanno a che fare con losche trami e spaventosi riti.
CARNIVAL (Beyond Booleans, per Pc)
Dopo il poliziesco lovecraftiano Abscission, il nuovo titolo di Beyond Booleans, studio di Birmingham formato da un solo sviluppatore, specializzato in giochi punta e clicca dalla forte impronta narrativa realizzati in stile rétro con il motore AGS, a ricordare l’aspetto dei classici di LucasArts e di Sierra, è ancora un gioco nel quale occorre indagare su oscuri misteri, scavando oltre la realtà apparente. Il protagonista, e io narrante, di Carnival, che sotto tanti aspetti è una canonica avventura, dove conversare, osservare gli ambienti, raccogliere oggetti per risolvere gli enigmi e allineare gli indizi, lavora come giornalista d’inchiesta. Cresciuto a Firenze, James Maynard parla sia inglese che italiano, caratteristica che lo rende adatto a essere inviato a Venezia nel febbraio del 1933 per un servizio sul nuovo ponte che dovrebbe collegare la regina della laguna alla terraferma, magniloquente opera voluta da Benito Mussolini tra il malcontento della popolazione, scaturito anche dal divieto di festeggiare il carnevale. Ben presto però l’incarico professionale passa in secondo piano davanti all’incalzare degli eventi, che hanno a che vedere con qualcosa che si muove sotto la superficie di una città che, pur nella semplificazione della grafica low-res, è ben riconoscibile nei suoi monumenti principali, affascinante e discreta. A complicare la faccenda l’aggravarsi del disturbo di cui soffre James, la narcolessia, che rende labili i confini tra la vita vera e la dimensione del sogno. Chi è quell’uomo avvolto in un mantello nero e con il volto coperto da una maschera? Un fantasma della mente o un persecutore che ci insegue? La colonna sonora contribuisce all’atmosfera incalzante e straniante, dove sono soprattutto i dialoghi con i personaggi a fornire a James gli elementi che, annotati e ordinati nel suo taccuino, permettono di comprendere meglio cosa stia accadendo, con il carnevale a insinuarsi come un’ossessione collettiva, sulla cui autentica origine è costretto a interrogarsi il reporter.
BEACON PATROL (Assemble Entertainment, per Pc, Mac e Linux)
In principio Beacon Patrol era un gioco da tavolo creato dall’artista e sviluppatore tedesco Torben Ratzlaff per il divertimento da uno a quattro appassionati di mare, dai dieci anni in su. Dal porto di Amburgo, la città dove ha sede lo studio Shapes and Dreams dello stesso Ratzlaff, Beacon Patrol, con l’apporto anche della software house BrutalHack, è stato adattato in un videogame, fedele all’originale, ma ampliato come funzioni e completato dall’espansione Ships & Shores, per offrire una rilassante esperienza co-op in locale oppure online, dove il lavoro di squadra è una delle chiavi del successo, puntando sempre più sulla collaborazione che non sulla competizione. Si salpa dal quartier generale della guardia costiera per attraversare il Mare del Nord e renderne sicura la navigazione grazie alle boe di segnalazione, ai fari e ai canali. Il giocatore, da solo o con gli amici, indossa la divisa di un capitano della guardia costiera e, tessera dopo tessera, costruisce una mappa della costa. Dove piazzare i fari è una delle scelte strategiche da ponderare insieme agli altri, perché con la loro luce le torri illuminano la rotta e permettono di proseguire l’avventura. Si deve comunicare e di volta in volta stimare quali rischi correre per aprire nuove vie verso l’ignoto oppure preferire restare in acque più tranquille, seppure meno remunerative. A disposizione ci sono diversi tipi di navi che sono più o meno adatte alle acque da solcare, ma richiedono di contro gradi differenti di perizia per essere governate, per cui anche in questo caso occorre valutare costi e benefici. Più che il risultato finale a contare è comunque il viaggio, che si compie in compagnia dei gabbiani, simpatiche mascotte che hanno anche loro qualcosa da donare in questo invito ad ammirare la bellezza della natura, il silenzio, la vastità dell’orizzonte.
A WORLD OF KEFLINGS (NinjaBee, per Pc)
Nei panni di un gigante in una città popolata di personaggini alacri e pieni di buona volontà, ma minuscoli e deboli, tanto da aver spesso bisogno di una mano. In un mondo così, inevitabile pensare alle gesta di Lemuel Gulliver che, da persona con l’altezza nella media, si ritrova a essere considerato un colosso quando capita tra i Lillipuziani. Dietro la fortunata creazione dei piccoli Keflings, che vedono il giocatore come un ciclope, c’è però anche e soprattutto la passione dello studio NinjaBee per i city builder, con l’intenzione di valorizzare non solo gli edifici, ma gli abitanti nelle loro individualità. Quando nel 2008 debuttò su Xbox Live Arcade la simulazione A Kingdom of Keflings era uno dei primi giochi a utilizzare il sistema degli Avatar di Microsoft con cui il giocatore poteva ideare e personalizzare il suo alter ego digitale da far agire direttamente nel videogame, come un gigante appunto, stante le ridotte dimensioni dei Keflings. Fu subito amore a prima vista, tutt’altro che scontato poiché, rivoluzione nella rivoluzione, dalle parti dei Keflings non si combatteva, non si stava sotto la spada di Damocle di un timer inesorabile, non c’erano vincitori e sconfitti, in un antesignano dei cosiddetti cozy games, titoli rilassanti, dove si procede assecondando i propri ritmi, coltivando relazioni positive con sé stessi e con gli altri. Il sequel A World of Keflings, arrivato su Xbox 360 nel 2010 e diventato presto un cult, aveva enormemente ampliato l’esperienza, poi traghettata su Pc nel 2013, su Wii U nel 2014, lasciando da allora orfana la vasta platea di fan. Un’attesa decennale adesso finita. A World of Keflings è infatti approdato su Steam, fedele all’originale, ma anche profondamente rinnovato, tenendo conto delle innovazioni apportate nelle diverse precedenti versioni di un classico senza tempo, oltre all’aggiunta di contenuti inediti, per immergersi - da soli o in co-op online fino a un massimo di otto giocatori - nei paesaggi verdeggianti o innevati dove edificare nuove coloratissime città medivaleggianti, da abbellire in ogni aspetto con il contributo dei laboriosi Keflings, che sanno anche apprezzare la musica e il divertimento. In questi regni fantasy tutti da inventare non mancano draghi, streghe e principesse in pericolo, come da tradizione.
HELLCARD (Skystone Games, per Pc e console)
Catturare l’aura magica dell’epoca d’oro dei videogame nei favolosi anni Novanta quando ogni genere si presentava tutto da esplorare nelle sue potenzialità e ogni gioco provava a fissare nuovi standard. Con questo progetto ha visto la luce nel 2019 Book of Demons, gioco di ruolo d’azione hack and slash, primo titolo della serie Return 2 Games dello studio indie polacco Thing Trunk che si è messo così a sperimentare di volta in volta un genere, meccaniche, stili visuali profondamente diversi, passando dal grimdark fantasy di Book of Demons all’ambientazione fantascientifica high-tech del non ancora uscito Book of Aliens. Sempre nell’ottica di rinfrescare fin dal primo impatto l’incontro con i loro videogame, gli sviluppatori erano ricorsi all’animazione, fotogramma per fotogramma, di modellini di materiali desueti, ritagliati nella carta o modellati nella creta, fino alla macaroni art, utilizzando spaghetti spezzati e incollati. La scelta era quindi caduta sulla carta, memori dei libri pop-up amati da bambini, con l’aggiunta dell’ispirazione fornita da altre applicazioni basate su questo semplice e antico materiale scovate nel percorso di ricerca, come le sculturine in carta piegata. I personaggi dunque sembrano di carta, così come i dungeon appaiono quali diorami di carta nel Paperverse della saga. In Hellcard, spin-off di Books of Demons ora disponibile pure per console dopo l’edizione per Pc del febbraio 2024, ci sono anche i mazzi di carte a dar vita a un deckbiilder rougelike cooperativo da giocare da soli (con due alleati comandati dal computer) o in multiplayer (con al massimo due amici), indossando i panni del Guerriero, del Mago, del Ladro o, sbloccabile successivamente, dello Stagnino, ciascuno dotato di un proprio mazzo di carte e di abilità in funzione delle quali studiare tattica e strategia dei combattimenti. Niente va preso alla leggera, perché dalle decisioni prese, per esempio in quale direzione muoversi per scendere al livello sottostante dei dodici necessari per arrivare al boss finale, derivano differenti ricompense che imprimono una piega all’impresa. Fondamentale naturalmente anche la selezione della compagnia con la quale comporre il trio lanciato in battaglia contro il male. La versione per console include il dlc Bruja The Blood, che introduce un’ulteriore classe di eroi.
PIGFACE (DreadXP, per Pc)
La scena indie dei videogame resta una delle rivoluzioni più interessanti sbocciate nello scorso decennio, introducendo nel digital entertainment una maggiore vena sperimentale. Proprio come al cinema avviene con le produzioni indipendenti. Più che i diversi studi, a volte costituiti da una sola persona o creati apposta per un singolo progetto, oggi si assiste a un altro fenomeno: l’affermarsi di una nuova generazione di piccoli editori specializzati in un certa tipologia di uscite, apponendo una sorta di sigillo di qualità in maniera simile ai movimenti cresciuti attorno alle etichette musicali, un caso emblematico quello Motown. Per chi ama gli horror, il catalogo DreadXP sta diventando un punto di riferimento, con tanto di ormai tradizionale The Indie Horror Showcase che andrà in onda su Youtube nel periodo di Halloween. Ogni titolo fa storia a sé, ma si possono notare tendenze. Dal revival della pixel art siamo passati a una stagione in cui va alla grande una grafica 3D a bassa definizione e mole poligonale, un po’ anni ‘90, che utilizza anche questo suo essere grezza per trasmettere le atmosfere torbide di videogame dalle tematiche forti, spesso caratterizzati da un’iconografia altrettanto estrema che riflette varie correnti delle pellicole di genere. Appena lanciato in accesso anticipato, Pigface reinterpreta il concetto di sparatutto in una iperviolenta chiave hardcore che ricorda l’estetica degli snuff movie richiamati già in Manhunt, a metà tra grunge e grindhouse, attraverso però altre dinamiche. Pigface imbastisce infatti l’azione viscerale di un first-person shooter aperto che trova espressione in un ricco arsenale, da sbloccare e sfruttare al meglio per eliminare di volta in volta una serie di obiettivi, scegliendo l’approccio che si preferisce per portare a casa il risultato nei panni di Exit, una donna dal passato misterioso costretta a ubbidire ai suoi carcerieri dopo essersi risvegliata con una bomba impiantata nel cranio, ma stranamente a proprio agio nel compiere massacri.