Generazione bit

Vacanze sulle neve, il ritorno di un giovane mago, la Scandinavia e il ruggito del Made in Japan

Riccardo Anselmi

DRAGON QUEST I & II HD-2D REMAKE (Square Enix, per Pc e console)

Cronologicamente l’arco narrativo della trilogia di Erdrick di Dragon Quest prende avvio dal terzo capitolo, Dragon Quest III (1988), e da lì è partita nel novembre 2024 l’operazione per riportare in vita la sottoserie del celebrato classico, adottando lo stile grafico HD-2D già sperimentato nel 2018 in Octopath Traveler, altro cult di Square Enix che il 4 dicembre si arricchirà del prequel Octopath Traveler 0. Intanto è arrivato il pacchetto che contiene il remake in HD-2D dei primi due Dragon Quest, per la gioia dei fan vecchi e nuovi. Era il 1986 quando con Dragon Quest I debuttava l’Eroe dell’epica fantasy creata da Yuji Horii, nei giorni scorsi insignito dell’onorificenza dell’Ordine del Sol Levante, primo game designer a ottenere il prestigioso riconoscimento, andato in passato ad altre figure dell’ambito dei videogiochi, come l’imprenditore Masayo Nakamura, fondatore di Namco, la casa di Pac-Man, e il compositore Koichi Sugiyama, famoso specialmente per le musiche di Dragon Quest. Un titolo dunque che ha segnato l’immaginario nipponico, a cominciare dalla generazione di chi quarant’anni fa era un bambino. L’ultimo gioco principale, Dragon Quest XI, risale al 2017. Nel 2021 era stato annunciato Dragon Quest XII: The Flames of Fate, del quale non è ancora nota una data ufficiale di uscita, mentre il 5 febbraio 2026 è atteso Dragon Quest VII Reimagined, rifacimento del classico realizzato sulla scia dell’estetica moderna di Dragon Quest XI. Con Dragon Quest I & II HD-2D Remake la scelta resta invece nel solco di un revival della pixel art. Un modo per riandare rispettosamente alle origini di una blasonata storia che è poi quella dei cosiddetti jrpg, di cui Dragon Quest e Final Fantasy sono riconosciuti alfieri, capaci di traghettare il genere dal Giappone all’orbita internazionale. Al solito, di fronte a pietre miliari così, allestire un remake per renderle compatibili con le piattaforme attuali comporta soppesare bene quanto mantenere e quanto innovare, per non stravolgere da un lato e dall’altro per non deludere con qualcosa di già visto e troppo lontano dagli standard odierni. Equilibrio in questo caso raggiunto dagli sforzi congiunti di Artdink e del Team Asano di Square Enix, con una sostanziale fedeltà, ma anche notevoli aggiornamenti che non si limitano all’aspetto ridisegnato in alta definizione percepibile a prima vista. In un titolo che assomiglia a un monumentale romanzo di formazione, grande attenzione è stata riservata al comparto narrativo, con molti più dialoghi, sequenze filmate e interazioni con i personaggi, chiamati a dispiegare un potenziale fin qui inespresso, resi più vividi, sfaccettati, pronti a rivelare qualcosa di sé, consapevoli dei pericoli da affrontare, ma spinti a sacrificarsi in nome dei valori nei quali credono. Numerosissimi i mostri mai apparsi in precedenza, ma i buoni possono contrattaccare contando su ulteriori attitudini e competenze. In Dragon Quest I tocca a un discendente di Erdrick, il guerriero vincitore contro il Signore degli Inferi, lottare per liberare la principessa Gwaelin rapita e ristabilire la pace nel regno di Alefgard minacciato dalle mire del malvagio Dragonlord. Circa un secolo dopo, in Dragon Quest II non più un eroe solitario, ma giovani principi e principesse, tutti appartenenti alla stirpe di Erdrick, si mettono in viaggio per sconfiggere il male intenzionato a distruggere il loro mondo, dove prosperano i regni di Midenhall, Cannock e Moonbrooke. Si può ora impersonare anche la principessa di Cannock, non più considerata troppo piccola per partecipare all’impresa, e c’è un inedito ambiente sottomarino da esplorare, con il suo corollario di mostri acquatici. Oltreché sulla profondità del racconto, il remake si è concentrato sull’altro focus della serie, ossia le battaglie. Per i combattimenti si può adesso attivare la funzione auto-battle, introdotta per la prima volta in Dragon Quest IV: gli scontri più semplici e ripetitivi si possono superare utilizzando automatismi che riducono al minimo l’intervento del giocatore, consentendo di alleggerire il peso delle fasi di crescita del personaggio. Alcuni incantesimi e abilità si possono apprendere unicamente dalle pergamene disseminate nel paesaggio, dove recuperare pure le mini-medaglie da scambiare con armi e armature. Guardarsi attorno diventa addirittura appagante, tra scenari da favola e città magicamente ricostruite, volgendo il pensiero all’Europa medievale.


ATELIER RYZA SECRET TRILOGY DELUXE PACK (Koei Tecmo, per Pc, Playstation e Switch)

Giovani alchimiste crescono, in estati indimenticabili, piene di avventure, da rivivere adesso ancora più intensamente, nell’edizione definitiva della trilogia con protagonista Reisalin “Ryza” Stout, in uno dei cicli più amati dell’iconica serie Atelier, creata in Giappone da Gust nel 1997 e lanciata dal 2004 in tutto il mondo. Atelier Ryza Series Trilogy Deluxe Pack racchiude in versione ampliata e rimasterizzata i tre titoli della saga Secret (o Ryza): Atelier Ryza: Ever Darkness & the Secret Hideout DX, Atelier Ryza 2: Lost Legends & the Secret Fairy DX e Atelier Ryza 3: Alchemist of the End & the Secret Key DX, dove DX sta per Deluxe, a connotare un’edizione speciale per i suoi contenuti aggiuntivi relativi alla storia, ai personaggi giocabili, alle funzionalità, oltre a comprendere tutti i dlc precedentemente pubblicati. Una formula già adottata per i cicli narrativi di Arland, Dusk e Mysterious. Nel caso della serie Ryza, forte di più di 2 milioni e mezzo di copie vendute e la prima di Atelier a mantenere la stessa protagonista per l’intera trilogia, l’esperienza risulta ancora più appagante, perché non c’erano stati aggiornamenti intermedi dall’uscita di Atelier Ryza: Ever Darkness & the Secret Hideout (2019), Atelier Ryza 2: Lost Legends & the Secret Fairy (2020) e Atelier Ryza 3: Alchemist of the End & the Secret Key (2023). Un’adolescente come tante, le cui giornate trascorrono nella semplicità di un contesto rurale, Ryza si incammina verso il passaggio all’età adulta grazie all’amicizia con i coetanei, naturalmente - come sempre negli Atelier - imparando a destreggiarsi con l’alchimia, oltre a esplorare i segreti ben custoditi nella sua isola, teatro di questo romanzo di formazione sui generis, dalla vena nostalgica nel rievocare una stagione gravida di attese e di promesse. Per il variegato cast sarà anche il momento delle scelte, per capire cosa per loro conti veramente, stabilendo una scala di valori e di priorità. I tre capitoli riuniti, che si possono affrontare in una full immersion in modo consecutivo, permettono di apprezzare le sfumature e le connessioni tra i personaggi, Cronologicamente Atelier Ryza 2 si colloca tre anni dopo Atelier Riza e un anno prima di Atelier Ryza 3, il capitolo conclusivo dove la ragazza con la sua compagnia - Klaudia Valentz, Lent Marslink, Tao Mongarten, Patricia Abelheim e Bos Brunnen - si imbarca nella missione di scongiurare una ecatombe globale, ma per riuscirci dovrà accedere niente meno che al Codice dell’Universo. L’enfasi è sull’aspetto del viaggio, quale fonte di conoscenza, che è un po’ il leitmotiv della trilogia, dove c’è sempre un confine da superare, un altrove in cui inoltrarsi, sotto lo stimolo della curiosità e della voglia di evadere dalla situazione contingente. Considerata un buon punto di partenza per accostarsi a una monumentale serie che conta una trentina di titoli principali suddivisi in dieci sotto-saghe, Atelier Ryza nella sua versione Deluxe diventa anche un’occasione imperdibile per i veterani che potranno trovare più di una risposta e tante rivelazioni inaspettate, veicolate dagli inediti episodi aggiuntivi, scritti dallo sceneggiatore della serie Secret, Yashichiro Takahashi. I due capitoli associati ad Atelier Ryza 1, che incrementa la compagnia con le forze di Agatha Harmon, Kilo Shiness e Romy Vogel, permettono di cogliere meglio da una parte come è nato il solido legame di reciproca solidarietà tra Kilo e Bos, dall’altra quanto accaduto tra la fine di Ryza 1 e l’inizio di Ryza 2, videogame che approfondisce invece le vicende dei due nuovi, affascinanti personaggi giocabili, Empel Vollmer e Lila Decyrus, che, mappa alla mano, possono accedere alla cupa e labirintica Zelepsto Cavern, estesa nella regione dell’oscuro e misterioso Underworld. Atelier Ryza 3 aggiunge tre protagonisti: Clifford Diswell, Serri Glaus e ancora Kilo. Nell’episodio bonus salgono alla ribalta Clifford e Serri, alla ricerca di preziosi tesori e di semi vegetali su un’isola circondata dall’oceano. La dinamica fondamentale di questo rpg è data dalle ricette da provare nel laboratorio alchemico, raccogliendo quanto occorre nei diversi biomi (in Ryza 3 il compito è facilitato del soccorso fornito dalle Wind Beasts), eventualmente anche sbaragliando mostri, e sperimentando sempre più ingredienti, resi maggiormente disponibili dalle aumentate opzioni per lo stoccaggio. L’esito del lavoro con gli alambicchi si concretizza nella dotazione da fornire ai membri del gruppo con cui cimentarsi nei combattimenti, dove ciascuno sfoggia le proprie abilità e il proprio stile.


HYRULE WARRIORS: L’ERA DELL’ESILIO (Nintendo, per Switch 2)

È dal 2014 che, grazie alla collaborazione avviata tra Nintendo e Koei Tecmo, i mondi e i personaggi di The Legend of Zelda hanno cominciato a ritrovarsi pienamente a loro agio nei musou, gli hack and slash in stile wuxia. Dai caratteristici combattimenti coreografati, sono videoludicamente nati con la serie Dynasty Warriors firmata dalla casa di Yokohama, ora in pieno revival in concomitanza con la coda dei festeggiamenti per il venticinquennale della saga che proseguiranno anche nel 2026. In programma la versione rimasterizzata di uno degli episodi più amati, Dynasty Warriors 3, oltre a un’espansione per Dynasty Warriors: Origins, il capitolo reboot che quest’anno ha impresso una svolta al celebrato alfiere del genere, libera reinterpretazione del Romanzo dei Tre Regni, il grande classico della letteratura cinese. Nei decenni si sono susseguiti però anche spin-off, incrociando i passi con l’immaginario del gioco di ruolo Fire Emblem come del popolarissimo manga One Piece di Eiichiro Oda. Particolarmente riusciti gli Hyrule Warriors, dal nome del regno fantasy creato da Shigeru Miyamoto, il papà della principessa Zelda, di Link e di tanti personaggi Nintendo. Un viaggio action che nel 2020 ha aggiunto un secondo capitolo, Hyrule Warriors: L’era della calamità, ambientato cento anni prima degli eventi di The Legend of Zelda: Breath of the Wild, e adesso è giunta alla terza tappa, Hyrule Warriors: L’era dell’esilio, che sviluppa ulteriormente aspetti appena accennati nel sequel The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom, quando tutto precipitava nel caos, nel firmamento apparivano strane isole fluttuanti, villaggi si materializzavano all’improvviso nel reame, profonde voragini si spalancavano nel suolo. Siamo alle origini del regno di Hyrule, all’epoca dell’invasione del re dei demoni Ganondorf, elemento scatenante delle Guerre dell’esilio, dove Zelda approda viaggiando indietro nel tempo. Al suo fianco trova i primi sovrani di Hyrule, Raul, il fondatore del casato, e la moglie Soniah. Ci sono poi Mineru, la sorella maggiore di re Raul, quindi i Saggi legati agli elementi dell’acqua, del fuoco e del vento, gli inediti Calamo, un piccolo Korok che conosce il potere insito nei frutti, e il Golem Misterioso, più altri personaggi di un cast eccezionalmente ricco come si conviene a un Warriors, magari chiamati a decidere da che parte stare, contravvenendo alle leggi dei loro clan, in un periodo drammaticamente frammentato, dove il divide et impera diventa una strategia adottata anche dai buoni nel tentativo di riconquistare i territori sui quali si sono imposte le orde di Ganondorf. Bisognerà inoltrandosi in lande sconfinate, addentrandosi nella mitologia di una delle saghe più adorate del digital entertainment. Si capisce così come sia avvenuta l’ascesa del re dei demoni e le conseguenze di certi fatti di cui si era stati testimoni in Tears of the Kingdom, in un approfondimento gratificante sul piano narrativo, che accompagna, tra segreti e clamorose rivelazioni, al cliffhanger finale. Fondamentali per coronare con successo l’impresa ingaggiare trattative per guadagnare alleanze e discutere sui passi da intraprendere per affrontare da una posizione vantaggiosa il nemico. Come in ogni musou, si è impegnati spesso in battaglia, uno contro mille, dove ogni personaggio brilla per la propria modalità di combattere e per lo specifico arsenale, con il supporto dei più portentosi congegni forgiati dagli Zonai, i leggendari discendenti degli dei e custodi di arcani saperi, esponenti di un’antica civiltà dalla quale discendono Raul e Mineru. Il Golem Misterioso riesce a trasformarsi per librarsi in volo e salire in cielo tra le isole sospese, in un’esplorazione che cerca di non porsi limiti. Due eroi possono inoltre combinare gli attacchi, con una spettacolarità esaltata dall’effetto rallenty, per apprezzare le mosse di entrambi i guerrieri in sincrono. Se si vuol fare squadra con un amico in co-op, sfruttando lo schermo condiviso o due console, in locale oppure online, si può decidere all’occorrenza di separarsi, prendendo ciascuno la propria strada, in modo da allargare il raggio d’azione e abbracciare più aree. Il progetto, cucito attorno a Switch 2, ha permesso a Koei Tecmo di concentrarsi ulteriormente sulla fluidità dei movimenti all’insegna di battaglie campali che assomigliano a danze, in un prequel avvincente, sviluppato con un occhio alla rigiocabilità, tanto è articolata e vasta la gamma degli obiettivi sul piatto. Le ambientazioni sono in generale note ai fan della saga, però presentate in Hyrule Warriors, con un disegno ricercato, all’alba della loro esistenza, quando tutto doveva ancora accadere. L’era dell’esilio si inserisce anche in un nuovo canone di Nintendo che fa sua, in un certo senso, l’emancipazione femminile, con la principessa Zelda che, dopo quanto fatto già in Echoes of Wisdom, torna a strappare il ruolo di protagonista al classico eroe Link, ritagliando per sé le luci della ribalta.


ERIKSHOLM: THE STOLEN DREAM (Nordcurrent Labs, per Pc, Ps5 e Xbox Series)

Per l’enigmatica, emozionante avventura all’insegna dell’azione furtiava Eriksholm: The Stolen Dream, tra i titoli più celebrati del 2025, è arrivata ora anche l’edizione fisica per Ps5, pubblicata da Nordcurrent Labs in collaborazione con Perp, ennesima testimonianza del successo di critica e di pubblico di un titolo sorprendente. Eriksholm è un’opera che impressiona subito per le scelte estetiche e la qualità della grafica, oltretutto se si pensa che è frutto del lavoro di uno studio indipendente, formato da neppure venti persone: River End Games, con sede a Göteborg e al suo clamoroso debutto, caratterizzato da un ricercato fotorealismo che dipinge le vibranti atmosfere di una città svedese immersa nel Novecento dei totalitarismi degli anni Trenta e Quaranta in cui gli autori hanno riprodotto accuratamente, reinventandola, l’architettura dell’inizio del secolo scorso ammirata durante i viaggi lungo la penisola scandinava. I personaggi giocabili sono tre, ma si comincia con la protagonista Hanna, precipitata in un incubo e braccata dalla polizia dopo la misteriosa sparizione del fratello Herman, accusato del furto di un portentoso manufatto. Sola e confusa, può soltanto scappare e cercare di nascondersi, sfruttando l’abilità che ha di intrufolarsi nei più angusti cunicoli. Quando potrà unire le forze con Alva e Sebastian, la coesa squadra otterrà altre competenze molto utili, come la capacità di arrampicarsi aggrappandosi ai pluviali o di nuotare. Hanno anche armi specifiche: la cerbottana per Hanna, la fionda per Alva, la forza fisica per Sebastian, con cui colpire e distrarre, creando diversivi. Insieme in sincrono o separatamente, alternandosi, mentre uno sta fermo nell’ombra e l’altra agisce, riescono a risolvere certi rompicapo e a superare gli ostacoli, muovendosi in una città pulsante di vita che serpeggia sotto la cappa oppressiva di una società distopica, orientata al controllo. Sottotraccia hanno cominciato a prendere forma i traffici dei contrabbandieri lungo una rete di precarie vie di collegamento tra i tetti degli edifici che possono favorire la fuga e di cui Hanna si serve agevolmente, armata di coraggio per provare a salvare sé stessa e scoprire cosa sia accaduto a Herman. Quando si viene individuati, è la fine, non si può riprendere a scappare, ma l’abbondanza di punti di salvataggio rende meno traumatico ricominciare la corsa verso il disvelamento di intrighi sempre più sinistri e pervasivi. Quasi una coprotagonista, la città di Eriksholm appare segnata dalle testimonianze di una fervida operosità, condividendo con Goteborg la natura di polo industriale e centro di commerci incentrati sul porto. La percorriamo nei diversi quartieri, quello poverissimo col suo dedalo di vicoli dove abitano Hanna e il fratello, orfani dei genitori, fino alle zone residenziali più ricche, tutti però con problemi da affrontare, in una vicenda dove il bene e il male non stanno mai completamente da un’unica parte. Già dominata da un capitalismo sfrenato, devoto alla legge del massimo profitto, costi quel che costi, Eriksholm ha dovuto fare i conti con un’epidemia letale, causata da un virus che blocca il funzionamento del cuore, sorta di metafora delle derive di un potere che non contempla spazi di libertà, impedisce di respirare e coltivare relazioni interpersonali, preferendo invece schiacciare e isolare i suoi cittadini. Anche le chiacchiere scambiate con i residenti e documenti sparsi qua e là consentono di immergersi in un’avventura tutta da giocare dove la narrazione è altrettanto potente.


YAKUZA KIWAMI & YAKUZA KIWAMI 2 BUNDLE (Sega, per Switch 2)

Le console Nintendo hanno sempre avuto il plus dei giochi Nintendo. Mario, Zelda, Metroid... Grandi classici ed esperienze esclusive, che non si possono giocare altrove, rendendo in pratica i suoi dispositivi insostituibili agli occhi degli appassionati. Così per un paio di generazioni molti irriducibili si sono trovati spesso ad affiancare le macchine Nintendo alle tuttofare Playstation e Xbox. Ma il lancio di Switch 2 mira a rompere almeno in parte la tradizione, accogliendo grazie all’hardware rinnovato un numero crescente anche delle maggiori produzioni degli altri editori, al punto da lasciare immaginare che oggi potrebbe persino fare le veci dell’unica console di casa, specie se si è fan del Made in Japan. Sono infatti in primis le compagnie giapponesi che si stanno impegnando su questo fronte, a cominciare da Koei Tecmo, Bandai Namco e Sega, che tra i vari progetti ha messo in cantiere il revival di Yakuza. Costituisce la saga più ambiziosa e che meglio ha saputo raccogliere il patrimonio storico-culturale della Sega di una volta, quella che all’epoca di Shenmue, manifesto e canto del cigno del Dreamcast, la sua ultima console, ha portato avanti l’idea rivoluzionaria di una sorta di gioco totale che li unisse tutti, in Occidente ruotata invece attorno, con toni diversi, ai Gta. Vent’anni dopo e altrettanti episodi, tra uscite principali, remake e spin-off, la si può riprendere in mano volendo proprio su Switch 2, dove al prequel Yakuza 0 Director’s Cut si aggiungono adesso le versioni aggiornate di Yakuza Kiwami e Yakuza Kiwami 2, che arriveranno in dicembre pure su Ps5 e Xbox Series, in attesa l’anno prossimo dell’inedito Yakuza Kiwami 3. Con il termine Kiwami nella serie Yakuza vengono indicati profondi rifacimenti che interessano ogni aspetto del singolo capitolo, dall’adozione di un nuovo motore grafico in linea con gli standard attuali alla presenza di contenuti estesi. I primi due Yakuza appartengono del resto ormai a un’era lontana, quella Ps2. Quindi i Kiwami offrono l’occasione perfetta per (ri)scoprire le origini della saga, che ha compiuto il salto nella next-gen a partire da Yakuza 0 e Yakuza 6, nonostante siano disponibili per le piattaforme attuali anche le riedizioni dei capitoli precedenti, in modo da godersi per intero il complesso intreccio di una delle epopee più affascinanti del digital entertainment. Yakuza Kiwami e Yakuza Kiwami 2 rimangono comunque tappe fondamentali. Con talmente tanti titoli e una serie che si è incamminata a esplorare più generi affrontando percorsi differenti, ciascuno si tene stretti i propri episodi preferiti. Non si può però trascendere dai primi due Yakuza, ovviamente centrali nella costruzione del mito del protagonista, l’ex gangster dal cuore d’oro Kazuma Kiryu, e della spalla Goro Majima, giunto per acclamazione popolare a ritagliarsi quest’anno uno spin-off tutto per sé, Like a Dragon: Pirate Yakuza in Hawaii, dopo l’ampio spazio riservatogli già in Yakuza 0, ma che guadagna le luci della ribalta anche in Yakuza Kiwami 2 con la Majima Saga, un ulteriore arco narrativo inserito nel remake. Rispetto alle iterazioni recenti, anche senza scomodare il taglio jrpg con combattimenti a turni di Yakuza: Like a Dragon, i Kiwami ripropongono la ricetta più pura dell’action adventure su cui è stata a lungo plasmata la saga, dall’atmosfera a metà tra il moderno sandbox e l’open world. In realtà vi confluisce specialmente l’eredità di Sega e più in generale della scuola, non solo videoludica, del Paese del Sol Levante. Una celebrazione delle arti marziali, del Giappone e del Made in Japan. Sembra di viaggiare davvero per le strade di Tokyo e di Osaka, le città che con i loro luccicanti quartieri notturni, trattati alla stregua di personaggi in costante evoluzione, fanno da sfondo alle trame di Yakuza Kiwami e Yakuza Kiwami 2, entrambi thriller dal respiro cinematografico pieni di sequenze mozzafiato in cui si indaga il sottobosco criminale e insieme lo spettro dei sentimenti dell’animo umano. I buoni, i cattivi, il sacrificio, la redenzione, l’amore e le vendetta. Nel secondo capitolo entra in guerra con la yakuza la mafia coreana e si assiste a uno scontro tra titani: da un lato Kazuma Kiryu, il Drago di Dojima, dall’altro Ryuji Goda, il Drago del Kansai, i più forti e valenti campioni dei rispettivi clan riconoscibili per l’enorme tatuaggio di un drago che hanno sulla schiena. Quando non ci si incanta di fronte allo spettacolo dei filmati, l’azione ricorda i brawler, cioè la tradizione tutta nipponica dei picchiaduro a scorrimento alla Streets of Rage, un’indimenticabile età dell’oro dei coin-op rievocata nella serie anche dalla possibilità di visitare riproduzioni delle leggendarie sale arcade di Sega dove vengono emulati vecchi cult, come in Yakuza Kiwami 2 il cabinato di Virtua Fighter 2. Un continuo gioco nel gioco che definisce l’essenza stessa di una saga incredibilmente stratificata e anche in questo meravigliosamente giapponese.


SPONGEBOB SQUAREPANTS: TITANI DELLA MAREA (Thq Nordic, per Pc e console)

Un po’ come accadeva ai vecchi tempi, il film di prossima uscita SpongeBob: Un’avventura da pirati, il quarto ispirato al popolare cartoon creato dall’animatore e divulgatore scientifico Stephen Hillenburg, viene anticipato ora da un tie-in videoludico, SpongeBob SquarePants: Titani della marea, dove vedere già in azione l’Olandese Volante, al suo debutto nelle sale cinematografiche, ma antagonista ricorrente nei giochi. Anche in SpongeBob SquarePants: Titani della marea ci si spinge fin nelle profondità dell’oceano. L’avventura si svolge poi autonomamente, nello spirito di un piacevolissimo platform 3D, con i due amici inseparabili - l’allegra spugna gialla SpongeBob e l’ingenua stella marina rosa Patrick - decisi a salvare la pace di Bikini Bottom, la città sommersa teatro del serie animata e in cui creature antropomorfe vivono le loro tranquille esistenze. A provocare il caos è stavolta la contesa tra gli ego smisurati dell’Olandese Volante, un leggendario pirata fantasma, e di Re Nettuno, il maestoso e irritabile sovrano del mare. Nell’ironico affacciarsi di situazioni reali specchio della nostra società che caratterizza anche il cartoon, accade l’irreparabile nel Krusty Krab, il ristorante più affermato di Bikini Bottom, dove l’avido e astuto proprietario Mr. Krabs, datore di lavoro dell’ingenuo e gentile cuoco SpongeBob, ha lanciato un’appetibile promozione del suo piatto forte, il Krabby Patty, in sconto al 50%. L’Olandese Volante si presenta e risulta subito seccato per non essere accolto con il dovuto rispetto. Quando Re Nettuno subisce un trattamento ben più cerimonioso lasciandogli addirittura saltare la coda, per l’Olandese Volante la misura appare decisamente colma. Da lì si scatenano le ostilità con l’effetto inquietante per gli abitanti di venire trasformarti in spettri. Un fenomeno che i volonterosi (e pasticcioni) SpongeBob e Patrick desiderano arrestare rapidamente. A complicare la faccenda c’è il fatto che pure SpongeBob ha subito la metamorfosi in fantasma, condizione che può trasferire all’amico, con il quale si alterna sullo schermo, in modo da sfruttare le rispettive abilità per riuscire condurre a più miti consigli gli agguerriti Re Nettuno, l’Olandese Volante e la scoiattola texana Sandy Ibernata, in un susseguirsi di gag, comicità dell’assurdo, il calore della solidarietà, il senso di appartenenza a una comunità in cui ciascuno è chiamato a fare la propria parte, con il peso prevalente però sulle spalle della spugna e della stella marina, del resto avvezzi a tirar fuori Bikini Bottom dai guai con la loro inguaribile innocenza. Il coordinamento tra i due improbabili eroi diventa essenziale, in quella che, nella tradizione del genere, può rivelarsi una sfida a scoprire ogni secreto nascosto, senza perdersi nessun dettaglio, tuffandosi in un’incantevole ricostruzione digitale dei mitici cartoni animati che guarda al lungometraggio cinematografico, un’alta fedeltà ripresa sul fronte della colonna sonora, con la partecipazione speciale dell’attore e cantante David Hasselhoff già incontrato nel film del 2004. SpongeBob SquarePants: Titani della marea segna il coloratissimo ritorno pop dei platform per tutta la famiglia, a misura di genitori e figli, con intorno un alone di nostalgia per gli anni Novanta e i primi Duemila, quando anche i grandi di oggi magari non si perdevano una puntata in tv di quegli stessi cartoon e si divertivano con le prime trasposizioni per console. Per gli austriaci Purple Lamp e Thq Nordic, sviluppatori ed editore dei nuovi SpongeBob, il revival è iniziato nel 2020 con il remake SpongeBob SquarePants: Battle for Bikini Bottom – Rehydrated, basato sull’omonimo titolo del 2003, aprendo presto le porte al rilancio dell’intero franchise, proseguito nel 2023 con l’originale SpongeBob: The Cosmic Shake, mentre il team si occupava anche del rifacimento di un altro cult legato all’universo dei cartoni animati, Epic Mickey Rebrushed, omaggio all’epopea classica della Disney.


TALES OF XILLIA REMASTERED (Bandai Namco, per Pc e console)

Prosegue l’operazione lanciata da Bandai Namco per festeggiare il trentennale della serie Tales che cadrà il 15 dicembre: tra le iniziative, quella di rimasterizzare i capitoli classici in modo da renderli disponibili sulle console attuali, nella direzione dunque di preservare e mantenere viva una blasonata eredità. Il Remastered Project, avviato in gennaio con Tales of Grace f Remastered, si è arricchito adesso con Tales of Xillia Remastered. Le uscite originali sono invece ferme a Tales of Arise, del 2021, arricchito nel 2023 dall’espansione Beyond the Dawn. Il ritorno di Tales of Xillia appare comunque di per sé memorabile, perché si tratta dell’episodio che, lanciato in Giappone nel 2011, in concomitanza con il il quindicesimo anniversario della saga, e arrivato in occidente due anni dopo in piena era Playstation 3, aveva contribuito a rilanciare la serie, proiettandola su scala internazionale e introducendo un look più maturo insieme ad apprezzate novità, a cominciare dalla possibilità di impersonare una coppia di protagonisti così da avere l’opportunità di esplorare la vicenda da due punti di vista differenti. Da un lato ecco la fiducia nel progresso scientifico professata dal razionale Jude Mathis, studente di medicina tirocinante nell’ospedale della capitale Fennmont, dall’altro la forza del potere spirituale coltivato dalla misteriosa Milla Maxwell, la Signora degli Spiriti, dedita ad arcani saperi. Per vie diverse si accorgono che qualcosa di strano sta accadendo e si incontrano, decidendo di aiutarsi reciprocamente contro le pericolose intenzioni del Regno di Rashugal, in possesso di un’arma formidabile che potrebbe definitivamente mettere in crisi l’equilibrio del fantastico mondo di Rieze Maxia, dove spiriti e umani hanno imparato a convivere armoniosamente. Lungo il cammino, troveranno compagni di avventura, ciascuno con una propria vicenda che va a inserirsi coerentemente nel quadro più ampio. Realizzato per Bandai Namco da Dokidoki Grooveworks, Tales of Xillia Remastered, pur nella sostanziale fedeltà al passato, racchiude vari aggiornamenti che, per esempio, consentono a chi preferisse immergersi nella storia di non interrompere il flusso narrativo per affrontare gli scontri, saltando a piè pari i nemici con i quali si viene a contatto nei dungeon o sul campo. Quando si combatte (in tempo reale), i duelli appaiono ancora più spettacolari grazie alla modalità che permette di unire le forze dei personaggi, ottenendo effetti speciali e l’uso di peculiari abilità, a seconda dell’alleato prescelto. Si può poi accedere da subito al negozio dei Gradi, dove sbloccare potenziamenti che modificano aspetti dell’action rpg come la progressione. Sempre nell’ottica di rendere l’esperienza più fruibile per il grande pubblico, è possibile attivare un’opzione che segnala sulla mappa di volta in volta le destinazioni da raggiungere. Che si sia esordienti assoluti o appassionati navigati, tutto è (ri)pensato per godersi al meglio una monumentale ed emozionante incarnazione dei giochi di ruolo e più in generale del made in Japan, considerata la stretta assonanza tra le serie videoludica e il mondo degli anime e dei manga. La versione Remastered di Tales of Xillia viene inoltre corredata da più di 40 dei dlc pubblicati all’epoca per l’originale, compresi oggetti e costumi per il guardaroba degli eroi. Per la riedizione erano state chieste nuove illustrazioni agli storici disegnatori Kosuke Fujishima e Mutsumi Inomata, mancata improvvisamente nel 2024. I suoi ritratti di Milla Maxwell hanno assunto il significato di un tributo alla memoria di colei che è stata la principale artefice dell’immagine di molti personaggi della saga, essendosi occupata del cast di Tales of Destiny, Tales of Destiny 2, Tales of Eternia, Tales of Rebirth, Tales of the Tempest, Tales of Innocence, Tales of Hearts e Tales of Graces, oltre a collaborare con vari colleghi in ulteriori capitoli, compresi Tales of Xillia e Tales of Xillia 2, sequel diretto dell’episodio sulla cui rimasterizzazione gli sviluppatori sono già al lavoro accanto ad altri impegni, perché il Remastered Project continuerà: il 2026 di Bandai Namco si aprirà infatti con Tales of Berseria Remastered.


SYBERIA REMASTERED (Microids, per Pc, Ps5 e Xbox Series)

Quando irruppe, in punta di piedi ma conquistando subito per la sua fascinosa personalità, portava con sé una profondità narrativa pienamente rispecchiata nell’estetica, cifre distintive dell’intera produzione multimediale del fumettista belga Benoit Sokal, che in Syberia (2002) trovano però la loro espressione forse più iconica. Un autentico capolavoro, che come tutti i classici ha resistito alla prova del tempo e che adesso ritorna in una veste rinnovata, pensata per i dispositivi di ultima generazione, accanto ai computer le console. La scorsa primavera era stato oggetto di un vero e proprio remake Amerzone - The Explorer’s Legacy, l’avventura grafica che nel 1999 aveva gettato le fondamenta per la saga di Syberia, sulle orme di una spedizione in una fittizia foresta dell’Amazzonia, tra senso di meraviglia, colpa, espiazione e redenzione. Sokal si è spento prematuramente nel 2021, lasciando chissà quanti progetti incompiuti (The World Before, il quarto capitolo di Syberia, è uscito postumo nel 2022), chissà quante idee sulla carta, convinto come era che il medium videoludico fosse un linguaggio straordinariamente capace di parlare alla nostra epoca. In Syberia si rivela lo strumento per compiere un viaggio esteriore e interiore, alla ricerca di qualcuno e di qualcosa di sfuggente e inafferrabile: quando finalmente lo si raggiungerà, niente sarà più come prima. Dietro si avverte la maestria di raccontare per immagini coltivata da Sokal, formatosi alla Scuola Superiore delle Belle Arti San Luca di Bruxelles, frequentata anche dal quasi coetaneo e amico François Schuiten, insieme al quale aveva elaborato l’ambizioso progetto crossmediale Aquarica, che avrebbe dovuto comprendere libri, un film e un videogame, ma concretizzatosi solo parzialmente, nei volumi di una graphic novel pubblicati anche in Italia, suggestiva rievocazione del mito delle balene giganti, talmente enormi da ospitare sul dorso, coperto di zolle, una lussureggiante vegetazione e dirette una sola volta nella vita, dai mari del Sud, verso Nord, per riprodursi. L’inizio è nel malinconico porto di una città in passato florido centro di generazioni di balenieri, condannato ora alla desolazione e all’oblio. Temi che riecheggiano forti, in tutt’altro contesto, in Syberia, dove però la direzione reale e simbolica è verso est, in una favolosa reimmaginazione delle lande artiche siberiane, dove potrebbero essere sopravvissuti i mammut. La protagonista Kate Walker è una giovane avvocatessa di New York incaricata da un cliente di perfezionare il suo acquisto di una fabbrica di giocattoli dopo la morte dell’ultima proprietaria, Anna Voralberg. Arriva così nella sperduta cittadina di Valadilène, per scoprire che in verità esiste un erede, l’elusivo e geniale Hans Voralberg, che va rintracciato per ottenere la firma necessaria al contratto. In un posto isolato, nel quale ogni aspetto viene ingegnosamente declinato in funzione degli automi inventati dai Voralberg, Kate comincia ad avvertire una sempre maggiore distanza dalla frenetica carriera avviata a Manhattan in favore del richiamo a inseguire piuttosto i propri sogni, per quanto possano apparire incomprensibili agli occhi degli altri. È ciò che insegna l’esempio di Hans, ma per Kate si tratta di un percorso graduale, di un distacco progressivo dai legami con la madre e con il fidanzato, ridotti ormai a telefonate inconcludenti e superficiali, nonché con lo studio legale dove esercita una professione che non le dà le gratificazioni di cui capisce di avere bisogno. La maturazione di Kate avviene attraversando luoghi ammalianti, anche quando ridotti all’ombra delle località rinomate ed esclusive che erano, e dialogando con personaggi spesso strambi, con i quali però riesce a stabilire una comunicazione empatica. Al suo fianco ha l’automa Oscar, impagabile spalla su cui poggiare. Pur nella sostanziale fedeltà all’originale, per Syberia Remastered gli sviluppatori di Virtuallyz Gaming e Microids Studio Paris hanno rimodellato scenari e personaggi cambiando anche la regia di molte scene per restituire un maggiore senso di tridimensionalità e uno stile di esperienza più contemporaneo, ricreando ex novo la cornice 3D per una storia carica di atmosfere d’antan. Syberia è piena di nostalgia per una società dove la maestria artigianale sapeva stupire forgiando pezzi unici di incredibile qualità, condannata all’oblio dalla massificazione del gusto imposta dal consumismo, che dismette, spazza via, giudica anacronistico quanto si discosta dai dogmi spietati del mercato. Ci saranno davvero le creature preistoriche vagheggiate da Hans? Varrà la pena abbracciare la sua missione? Kate fornisce una risposta, non prima di aver coraggiosamente affrontato timori, mettendo a repentaglio tante sicurezze, in un indimenticabile punta e clicca che richiede di risolvere enigmi logici (sui quali l’edizione rimasterizzata concede qualche aiuto), chiarendo però come il vero mistero rimanga intatto, nel cuore dell’uomo.


LONELY MOUNTAINS: SNOW RIDERS - HIGHLANDS (Megagon Industries, per Pc e Xbox)

Quando Jan Bubenik e Daniel Helbig nel 2013 avevano fondato a Berlino lo studio indie Megagon Industries, progettare videogame (… and then it rained, nel 2014, e Twisted Lines, nel 2016, su mobile) per loro era poco più che un hobby. Questo fino alla svolta avvenuta nel 2019 con il clamoroso successo di Lonely Mountains: Downhill, dove sfidare sé stessi tra gli orizzonti di paesaggi montuosi incontaminati in sella alla mountain bike. Da allora i videogame sono diventati un lavoro a tempo pieno e il team si è ingrandito, ma ha continuato a scendere dai pendii a rotta di collo, agganciando adesso anche gli sci ai piedi (e ripensando la fisica dei movimenti) nello spettacolare Lonely Mountains: Snow Riders, con il quale puntare sulla massima velocità e su acrobazie spericolate. Da soli o in multiplayer (massimo otto persone, con il più ampio ventaglio di opzioni, sia in ottica competitiva che in un’inedita chiave co-op in cui in cui darsi man forte tra i checkpoint), resta vivo l’incanto realizzato attraverso un’azzeccata estetica minimalista low-poly, tanto essenziale quanto espressiva, animata dalla presenza di alberi, arbusti e fiori circondati dal silenzio. L’esplorazione può avvenire sotto forma di gara o in modalità zen, cioè con calma, spinti dalla curiosità, avvolti in suggestivi spazi innevati, senza necessità di superare determinate sfide per accedere alle diverse aree della montagna, come accade invece nella modalità classica. Superato in estate il traguardo del milione di giocatori, il videogame si è arricchito in tempo per la settimana bianca della prima espansione, Lonely Mountains: Snow Riders - Highlands che, come indica il titolo, trasporta nel cuore della caratteristica regione nell’estremo nord della Gran Bretagna, per una vacanza virtuale profondamente scozzese: nei rilievi, nei laghi, nei fiumi, negli acquitrini, negli antichi castelli, fino all’immancabile kilt offerto come ricompensa speciale, accanto a meno scontate armature medievali, evidentemente in tema con gli austeri manieri. Nonostante il look estremamente stilizzato, rimane intatta la sensazione di trovarsi davvero sul posto, tra suoni ovattati, lo stormire delle fronde, il gorgoglio dei ruscelli, il fischio del vento nelle orecchie, il crepitio della neve. Tutto appare curatissimo. E dallo spirito decisamente arcade. Si prova e si riprova, cimentandosi con passaggi impegnativi, dove qualsiasi disattenzione può essere causa di rovinose cadute, ma ci si rialza subito, nel flusso costante del trial & error, una discesa tira l’altra. Si impara a calibrare la velocità, ad assumere posizioni aerodinamiche, a frenare, a testare la consistenza del manto nevoso e delle superfici di ghiaccio, conservando i riflessi pronti per lanciarsi lungo il pendio senza esitazioni. Essere rapidi e non incorrere in infortuni offre l’opportunità di sbloccare ulteriori piste, livelli di difficoltà, montagne, modelli di sci e costumi. La quantità di variabili e di dettagli sui quali ci si può concentrare per migliorare le performance è notevole da far sembrare Snow Riders quasi una piccola simulazione, alla quale riesce il miracolo di unire momenti ricchi di adrenalina all’atmosfera di un’oasi di pace, dove tornare volentieri per concedersi una pausa corroborante, magari proprio tra i percorsi serpeggianti dell’inedita area selvaggia del Ben Fiadhein introdotta con il dlc Highlands.


SIMON THE SORCERER ORIGINS (Inin, per computer e console)

Sono passati più di trent’anni, durante i quali Simon the Sorcerer, fin dal debutto all’alba del 1993 su Pc e Amiga, ha avuto modo di ritagliarsi un posto nel cuore degli appassionati di punti e clicca, che hanno potuto seguire il maghetto in una strampalata serie di imprese continuate anche negli anni Duemila e che adesso si arricchiscono di un prequel, Simon The Sorcerer Origins, pronto a svelare gli antefatti della sua antieroica e irresistibile epopea, affine ad altri cult del periodo, come The Secret of Monkey Island, King’s Quest e Discworld. A realizzarlo lo studio italiano Smallthing, che si autodefinisce una bottega di artigiani dei videogame e in effetti il gioco, dalle illustrazioni alle animazioni, rinsalda anche un profondo legame con la tradizione non solo del medium, essendo stato interamente disegnato a mano. Fondata da Massimiliano Calamai, la software house di Chiavari, nella città metropolitana di Genova (ma con sedi pure a Gorizia e a Cupertino), si è così trovata di fronte all’impegnativo compito di infondere nuova linfa a una saga tanto amata, misurandosi, a decenni di distanza, con una delle icone storiche dell’età d’oro delle avventure grafiche. Rinnovare, venendo incontro alle aspettative degli attuali standard della quality of life, e rispettare la memoria, per non deludere i fan: un dilemma risolto da Smallthing concentrandosi in primis sulla narrazione e snellendo le dinamiche old school degli ostacoli più farraginosi, impreziosendo il tutto con uno sfolgorante disegno animato contemporaneo. La tipica modalità punta e clicca viene quindi affiancato da sistema di controllo moderno in cui muove direttamente il protagonista. Riflesso dei tempi anche l’adattamento del caustico umorismo British dell’indomabile Simon, all’epoca irriverente al limite del provocatorio, oggi sceso a patti con una più garbata ironia, pur mantenendo intatto lo spirito di ribellione di un adolescente in lotta con il mondo, deciso a dimostrare di sapersela cavare in ogni situazione, sentendosi più adulto e responsabile di quanto non lo considerino gli altri. Naturalmente in Simon The Sorcerer Origins osserviamo il giovane alle prime armi, in un arco di appena poche settimane dagli eventi al centro dello storico videogame di esordio. A far da ponte tra il passato e il presente, al di là di alcuni scenari, il ritorno degli attori Chris Barrie ed Erik Borner, le voci originali del doppiaggio rispettivamente in inglese e in tedesco. La stessa colonna sonora firmata da Mason Fischer rievoca la stagione della nostalgia a cui contribuisce un eccezionale cammeo di Rick Astley, il cantante delle hit Never Gonna Give You Up e Together Forever, che fa compiere all’avventura un altro salto nel mood degli anni ‘80 e ‘90 dal quale è scaturita la saga. L’operazione, sostenuta dall’etichetta Inin, ha ottenuto la benedizione di Mike Woodroffe, tuttora a capo della britannica Adventure Soft, la casa che ha sviluppato e pubblicato i vecchi Simon the Sorcerer, dando vita, con l’apporto anche del figlio Simon, sceneggiatore, a un fantasy che cerca di non prendersi troppo sul serio, memore della comicità infusa al genere da autori come Terry Pratchett. Quest’ultimo non è l’unico riferimento che la serie si è divertita a stravolgere in chiave di parodia, pescando dalle fiabe, come la norvegese I tre capretti furbetti, Raperonzolo dei fratelli Grimm o Jack e il fagiolo magico, popolarissima Oltremanica e negli States, ma anche dal Signore degli Anelli e dalle Cronache di Narnia, a far da cornice all’inaspettato incontro di Simon con la magia, grazie allo spalancarsi di un portale che getta il giovane in una dimensione parallela. Gli viene così offerta l’occasione per evadere da una quotidianità che non accetta, tra i pessimi risultati a scuola e il doversi adattare all’abitazione dove è recentemente traslocato insieme alla madre. Pestifero e dispettoso, incaricato di un importante missione dovrà infiltrarsi in un’università per aspiranti maghi, dove insegna Sordid, il suo futuro antagonista, che nutre mire non proprio limpide nei confronti di due potenti tomi arcani. Se ne accorge il saggio Calypso che individua in Simon il salvatore della situazione, aiutandolo a intraprendere la corsa contro il tempo per rintracciare i libri. Come da copione in un’avventura punta e clicca, a Simon toccherà spremere le meningi per risolvere bizzarri enigmi dopo aver raccolto oggetti da combinare ed esplorato i dintorni, dimostrandosi un apprendista volonteroso, catapultato in un intreccio che si diverte a rompere la quarta parete, mentre lascia emergere dal fantasy scampoli di normalità e ovviamente la commedia di affidare le sorti dell’universo all’eroe più improbabile. Non è finita qua, perché Smallthing è già al lavoro su ulteriori progetti, tra cui il remake del primo Simon the Sorcerer e il sequel di un altro classico, Sword of Sodan (1988), oltre agli originali When the River Dies e 14:18, un horror ambientato in Italia nel 1418.


FARTHEST FRONTIER (Crate Entertainment, per Pc)

È il Medioevo, quando si verificò una straordinaria rinascita delle città, il periodo scelto da Crate Entertainment per ambientare il suo accuratissimo city builder, che mette alla guida di coloni impegnati a costruire dal nulla un insediamento, fino a farlo auspicabilmente prosperare, raggiungendo le dimensioni di una metropoli. Farthest Frontier è il secondo titolo sviluppato e pubblicato dalla casa di Boston, nata nel 2008 dalle ceneri della defunta Iron Lore Entertainment, la software house di Titan Quest, la cui eredità è stata raccolta in effetti proprio da Grim Dawn, il primo successo di Crate arrivato nel 2016 nel segno degli action rpg. Oltre sette milioni di copie per una formula che ha saputo reinventare ancora una volta l’archetipo di Diablo, conquistando critica e pubblico così da garantire la fiera carriera indipendente della software house, che prosegue a esplorare liberamente i generi classici per lo zoccolo duro di appassionati che le sono più congeniali, con le radici ben piantate tra i pilastri del medium. Nello strategico-gestionale Farthest Frontier il campo di sperimentazione di Crate Entertainment si spinge verso le simulazioni urbane, in chiave storica, con un’anima survival nella lotta ingaggiata contro l’infuriare di catastrofici eventi atmosferici, il dilagare di epidemie, le razzie di agguerriti nemici bramosi di appropriarsi di risorse e di spazi, gli attacchi predatori della fauna selvatica. Concessione contemporanea la possibile di adottare comunque un approccio pacifista, che permette di non combattere mai. In Farthest Frontier si rivive, in un contesto diverso, anche l’epica della Frontiera che tanta parte ha avuto nel modellare l’immaginario americano, dalla letteratura al cinema e oggi i videogame. Mille anni a ritroso, nell’avventura trasposta nell’età di mezzo risuonano gli echi della gesta dei pionieri, costretti a fare i conti con una molteplicità di fattori determinanti per la vita o la decadenza del villaggio, del quale si organizzano le attività, tentando di bilanciare le esigenze di difesa dalle potenziali minacce esterne con la necessità di espandere il raggio d’azione verso le foreste, dove procacciarsi il legname, o le miniere, per estrarre minerali, o ancor le indispensabili strade di collegamento per gli scambi commerciali. Frutto di un lungo percorso di affinamento triennale in accesso anticipato, Farthest Frontier giunto alla versione 1.0 splende nella notevole varietà delle materie prime disponibili, dei raccolti affidati alle cure degli agricoltori, dei mestieri artigianali utili per forgiare utensili e allestire mezzi di trasporto, delle tipologie di edifici (più di 180) con cui rendere più funzionale, bella e attrattiva la città, il tutto spinto a un livello estremamente dettagliato. Così, quando si coltiva, ci si deve occupare delle condizioni del suolo, non solo rimuovendo sassi ed erbacce, ma promuovendo una rotazione delle semine per non depauperare il campo e renderlo dunque meno fertile e produttivo, in un’applicazione dei principi della tecnica del maggese. Mantenere condizioni igieniche accettabili, con la garanzia, per esempio, di disporre di acqua pulita, previene il diffondersi di malattie come la dissenteria e il colera. L’aspetto della salute degli abitanti coinvolge l’attenzione per la dieta, onde evitare l’insorgere dello scorbuto per la carenza di vitamina C. D’altra parte viene ricordata l’importanza di un abbigliamento adeguato contro i malanni causati dal freddo, mentre le calzature possono proteggere dal contrarre il tetano. Contro la peste bubbonica, occorre innanzitutto tenere sotto controllo i topi, raccogliendo i rifiuti, immagazzinando in modo appropriato le scorte di cibo e ingaggiando squadre di acchiapparatti. Per la quarantena degli infetti è predisposta una struttura apposita, mentre esperti di erbe officinali e di altri medicamenti cercano di aiutare i malati a guarire. Una filosofia rivolta al massimo realismo che approfondisce ogni aspetto della quotidianità e che dona a Farthest Frontier un’impronta unica, studiata a puntino per trascorre sul gioco centinaia di ore affrontando una miriade di situazioni e contesti sempre diversi che modificano continuamente le partite.


POSSESSOR(S) (Devolver Digital, per Pc e Ps5)

La casa Heart Machine, cuore a Culver City, nella contea di Los Angeles, ha fatto della sperimentazione la stella polare della sua creatività, dal Hyper Light Drifter (2016), un action rpg in cui confluiscono suggestioni tratte di The Legend of Zelda, Diablo e gli anime dello Studio Ghibli, al platform Solar Ash (2022), al roguelike Hyper Light Breaker (tuttora in accesso anticipato) fino all’appena uscito Possessor(s), che potrebbe essere assimilato a un frenetico metroidvania o, per chi non ama certe etichette, a un’avventura 2D a scorrimento. In comune resta una ricerca estetica che attira subito l’attenzione, vuoi per la tavolozza dai colori acidi, vuoi per il forte contrasto tra luci e ombre, in un mondo dove va in scena l’eterna lotta del bene contro il male, tra mille sfumature e svolte inaspettate. Incontriamo la studentessa Luca nel mezzo di una catastrofe interdimensionale, che libera demoni assetati di sangue. Colpita dai detriti, la ragazza perde le gambe e rischia di morire, ma le si presenta davanti proprio un demone, Rhem, che le offre di stringere un patto di mutuo aiuto, grazie al quale potrà tornare a camminare. Così avviene e per Luca, munita di protesi, comincia un viaggio nella pericolosa megalopoli di Sanzu City, isolata dopo la quarantena e irriconoscibile per la vastità delle distruzioni. I due devono imparare necessariamente a convivere, pur diversissimi e, a pelle, insopportabili l’uno all’altra, ciascuno con i propri traumi personali da superare, in una società che non fa sconti a nessuno, dominata da una corporation che ha trasformato un’utopia urbanistica in un incubo distopico e oppressivo, dove vige come unica legge il profitto. La forzata relazione ravvicinata tra Luca e Rhem esprime plasticamente la gamma di sensazioni più o meno nocive, più o meno appaganti, insite in un legame, ma soprattutto consente al dolore del passato di affiorare per superarne la carica di negatività e riprendere in mano il proprio destino. Mentre attraversano paesaggi apocalittici, condividono ricordi, rimpianti, si raccontano per come erano prima che la quotidianità deflagrasse e il buio li inghiottisse. Tocca lottare per mantenere accesa la speranza, in un susseguirsi di attacchi coreografici, che richiedono di adattare rapidamente e strategicamente le armi e l’approccio nello scontro, specie contro i nemici più ostici e gli immancabili boss. La mappa si esplora in piena autonomia, sbloccando progressivamente le aree, in una costruzione coerente e coesa che ha un plus nella realizzazione grafica disegnata a mano e ispirata alla tradizione degli anime, con l’emergere di un variegato cast dove anche i comprimari denotano spiccate personalità e le ambientazioni regalano scorci vibranti, mentre lo sguardo va a cult come Jujutsu Kaisen, serie anch’essa popolata di fantasmi e di spiriti vendicativi.


NEWS TOWER (Twin Sails Interactive, per Pc e Mac)

Dimenticate la vorace velocità di internet, nonché le dinamiche virali e interattive dei social, perché con News Tower si torna agli anni ruggenti della carta stampata, che peraltro cominciava ad avvertire la concorrenza della radio, in un decennio aperto dalla crisi innescata dal crollo della Borsa di Wall Street nel 1929 e segnato anche dall’affermarsi dei primi settimanali, come il Time, nato nel 1923, e dall’irrompere del fotogiornalismo, con riviste come Life (1936), che facevano dell’immagine uno strumento principe per veicolare l’informazione. Dietro i due rivoluzionari modelli c’erano sempre le intuizioni di Henry Luce, fondatore di un impero editoriale che rivaleggiava con altri magnati del settore, come William Randolph Hearst, il re del yellow journalism sensazionalistico. Il vibrante contesto degli anni Trenta del secolo scorso è stato scelto come ambientazione della scalata del tycoon protagonista di News Tower, la simulazione sviluppata da Sparo Night basata sulla necessità di conciliare etica giornalistica e strategia imprenditoriale, con i reporter a caccia di notizie nella New York che non dorme mai, ma anche con la spada di Damocle del rispetto delle scadenze per la chiusura degli articoli, imparando l’arte di lavorare sotto pressione senza perdere l’efficienza. Si comincia con una piccola testata, destinata a ingrandirsi fino a dominare, con i suoi titoli a effetto, le locandine, in un rispecchiarsi anche degli avvenimenti storici del periodo, che conducono alla vigilia della seconda guerra mondiale. Dalla spartana sede iniziale, la struttura si ingrandisce specializzandosi nelle funzioni indispensabili per mandare in edicola il foglio, secondo le modalità tipografiche dell’epoca, che prevedevano la composizione manuale dei caratteri per i testi di ciascuna pagina. Creare condizioni ambientali favorevoli aiuta comunque la produttività in ufficio, per cui la progettazione di una sede confortevole è non secondaria nell’economia del discorso. Inviati i giornalisti sul campo a caccia di scoop, nel videogame al proprietario del giornale restano varie questioni da sistemare, tra cui rispondere alle pressioni dei politici, alle minacce della malavita o alle richieste dell’aristocrazia, dei militari o di altri potentati, per cancellare, ridurre o montare notizie ad arte. Va da sé che, appena possibile, occorre dotarsi di un capace ufficio legale per risolvere le vertenze, in una rivisitazione delle frizzanti dinamiche dei gestionali rielaborate nel contesto dei media. Se in News Tower si possono promuovere meritorie campagne a mezzo stampa, non è indispensabile essere né incorruttibili né onesti. Nel gioco si può infatti venire facilmente a patti con la coscienza, guadagnando sostegno da chi a sua volta ottiene vantaggi da una precisa linea editoriale. Bisogna poi organizzare e vendere spazi pubblicitari. Il ruolo chiave l’hanno però i reporter, fondamentali per intercettare l’interesse di un pubblico che vuole leggere argomenti diversi a seconda del quartiere in cui abita. L’obiettivo è aumentare la platea degli abbonati in modo da sostenere passo dopo passo l’espansione del giornale. L’appuntamento domenicale con il pubblico non consente d’altronde di lasciare spazi in bianco, dunque le aspettative vanno calibrate con la realtà dei fatti, destreggiandosi tra una molteplicità di fattori che rendono News Tower un viaggio appagante e divertente nel fantastico mondo della stampa.


SEKTORI (Kimmo Factory Oy, per Pc, Ps5 e Xbox Series)

Coloratissimo, in un susseguirsi frenetico di composizioni astratte, che sono in realtà la resa ad alto impatto visivo degli scontri a fuoco dell’adrenalinico sparatutto a doppia levetta Sektori, creato dallo sviluppatore finlandese Kimmo Lahtinen, alias Gimbill, già in forze nella software house Housemarque di Helsinki (gli shoot ‘em up Resogun e Dead Nation, il platform Outland, titoli con cui traghettare il cuore dei classici arcade sulle moderne console), prima di scegliere la via solitaria dell’assoluta indipendenza. Sektori è un progetto che Kimmo ha portato avanti da one-man band, uomo orchestra videoludico, con l’unico apporto per la colonna sonora fornito dal fratello Tommi, in arte Tommy Baynen, produttore di musica elettronica i cui pezzi sono stati proposti da celebri dj, come gli Above and Beyond, Armin van Buuren o Paul Van Dyk. La stessa estetica del gioco è profondamente ispirata alla scena techno, con ogni partita che assomiglia a una discoteca virtuale e si configura come una sfida unica, frutto di combinazioni casuali di attacchi, nemici e livelli, dentro uno psichedelico trip audiovisivo. Seguito spirituale di Trigonarium (2015), Sektori ha alle spalle un’elaborazione cominciata nella primavera del 2021, diventata via via più complessa, come se la creazione avessero preso il sopravvento sull’autore. Al ritmo martellante dei brani, si viaggia a bordo di una navicella dalla forma triangolare, attraverso cinque mondi in continuo mutamento così come varia di volta in volta il momento in cui si incontrano boss e mini-boss, dal posizionamento randomizzato, a provocare un effetto sorpresa nelle battaglie da gestire non solo istintivamente, con la rapidità di riflessi, ma strategicamente, con l’obiettivo di infliggere danni maggiori e ottenere bonus, sfidando la vertiginosa velocità che contraddistingue il titolo. Intuitivo nelle sue meccaniche basilari, con gradi di difficoltà impostabili a piacere che possono rendere le partite estremamente ardue, Sektori costituisce un omaggio al passato in chiave decisamente contemporanea. La sua formula è una danza fluida di schivate ed esplosioni stilizzate che sembrano disegnare sullo schermo sfavillanti sequenze di cascate cromatiche. Alla prima tipologia di navicella, gioco e rigiocando se ne aggiungono due ulteriormente personalizzabili, per un’esperienza semplice appena all’apparenza, ma che invita a non staccare più le mani dal joypad con la magia del flow.


ANIMA GATE OF MEMORIES I&II REMASTER (Anima Publishing, per Pc, Xbox Series e Ps5)

Un medioevo riletto in chiave epic fantasy, dalle atmosfere gotiche sottolineate dall’emozionante colonna sonora e con un cuore che batte forte per gli anime giapponesi. Lo studio indie spagnolo Anima Project, formato da appena tre persone, Carlos B. Garcia, Sergio Almagro e Miguel Hernandez, già al lavoro sul prossimo titolo, Anima: Song from the Abyss, ha intanto riportato in vita i primi due action rpg in terza persona della serie Anima in una versione rimasterizzata che ha permesso agli stessi autori di tornare sull’opera, rivedendo e correggendo, aggiornando la grafica e il sistema dei combattimenti, tanto da configurarsi quale edizione definitiva o se vogliamo director’s cut della saga per Pc e console (nel 2026 approderà anche su Nintendo Switch 2). Anima Gate of Memories I&II Remaster racchiude in un unico pacchetto Anima: Gate of Memories (2016) e Anima: The Nameless Chronicles (2018), dove si esplora da punti di vista diversi il mondo di Gaia, che condivide l’ambientazione con il gioco di ruolo da tavolo Anima Beyond Fantasy e un ciclo di romanzi, a testimonianza del grande respiro impresso da subito all’universo del videogame. Alla base degli Anima non a caso c’è l’ammirazione di Garcia per Xenogears e Xenosaga, oltre a una passione condivisa con gli amici per Devil May Cry e Kingdom Hearts, ossia i cult del Made in Japan con cui sono cresciuti insieme alla generazione della Playstation. Il team di Valencia ha così costruito i primi due capitoli della saga infondendo le varie suggestioni fino a comporre una sua originale commistione, in cui ampio spazio viene riservato allo sviluppo narrativo, influenzato dalle scelte del giocatore che plasmano il proseguo del viaggio dei protagonisti accompagnando a uno dei possibili finali. In Gate of Memories la forzata convivenza tra una ragazza immemore del suo passato e un’arcana entità mostruosa dà luogo anche a siparietti comici, che nel solco nipponico stemperano la drammaticità di una storia invece cupa, tra i segreti della labirintica Torre di Arcane, teatro di una guerra dai risvolti inizialmente inafferrabili, in un intrecciarsi di dimensioni reali e metaforiche, che mettono in discussione il concetto stesso di identità. Una dualità che si riflette nelle dinamiche degli scontri, dove si alternano La Portatrice di Calamità, esperta in arti magiche, e il possente Ergo Mundus, imprigionato nel libro incantato The Book of Memories, sfruttandone le opposte abilità necessarie a sconfiggere i nemici. Il secondo capitolo, The Nameless Chronicles, racconta una vicenda in parallelo adottando la prospettiva del Senza Nome, letale spadaccino che si incontra anche in Gate of Memories: un immortale condannato a vagare senza requie che ha il ruolo di portare alla ribalta i temi della colpa, del rimorso, dell’espiazione, dello spirito di sacrificio, sviluppando ulteriormente la complessità dell’intreccio.