BANDE GIOVANILI

Parma contro i violenti: le strategie degli educatori per fermare le baby gang

«Parma è una città coraggiosa» garantisce una mamma ottimista che non si lascia inquinare dalla paura e dalla rabbia seminate dalle baby gang. Ma soprattutto, Parma non è una città immobile davanti a un disagio giovanile che, purtroppo, si è guadagnato la ribalta nazionale.

«Chi chiede, “cosa offre la città ai giovani?” pone una domanda tendenziosa», taglia corto Benedetto Campione, coordinatore del progetto Educativa di strada e del centro giovani «La scuola del fare».

«Parma, rispetto alle altre città dell'Emilia Romagna, si pone ad un livello più articolato. Ci hanno anche contattato realtà aggregative di Bergamo per confrontarsi sul nostro modello».

«Parma non subisce»

Ma la città ora è sotto i riflettori a causa delle violenze delle baby gang. Eppure, «Parma non sta subendo», assicura Campione, educatore in trincea, come tanti altri suoi colleghi.

«Parma sta affrontando il disagio giovanile a livello politico e di servizi, coinvolgendo scuola, università, centri giovani e reti associative. Se la politica spinge e sostiene, la città può reggere l'urto. Il fenomeno ha numeri ancora contenuti». Insomma, in città non siamo all'anno zero. Parola di educatore.

Ascolto online

Nemmeno la prima ondata della pandemia ha bloccato i progetti per i giovani. «Durante il lockdown ci siamo inventati il portale “Parma ritrovata” per agganciare quei ragazzi che erano bloccati a casa», aggiunge Campione.

«I centri giovani sono rimasti chiusi solo tre mesi. Quando è riscattata la zona rossa siamo rimasti aperti», assicura Elisa Soncini, coordinatrice dei centri giovani «Esprit» e «Baganzola», prima di spiegare cosa si fa in queste case che accolgono i giovani tra i 12 e i 20 anni. «I ragazzi imparano a stare in un contesto. Noi li coinvolgiamo con film, fumetti, mostre, videogiochi, per tenere aperto un dialogo continuo. Solo così possono riuscire a esprimersi».

Presidio in Pilotta

Quando la pandemia lo ha permesso, i ragazzi sono tornati a popolare la città e gli educatori sono subito tornati in strada, nelle zone «calde». «Abbiamo attivato un presidio in Pilotta per osservare i gruppi di giovani e per cercare di attirarli con attività creative. - racconta Campione -. L'obiettivo è agganciare i singoli, meglio ancora se sono i leader della compagnia. Con loro si può lavorare sugli aspetti più antisociali e deviati». Ma per recuperare anche uno solo caso a rischio serve una vera e propria squadra di esperti. «L'educazione di un ragazzo ha bisogno di tempo e ascolto, anche se non basta, perché si deve intervenire sulla famiglia - puntualizza Campione - senza dimenticare la scuola o il datore di lavoro, se il ragazzo ha un impiego. Spesso bisogna parlare anche con il neuropsichiatra e con il tribunale per i minorenni. C'è tanta rabbia, frustrazione, disgusto».

Claudia Giansanti, responsabile del centro giovani «Federale», dello «Spazio giovani» in Civica e dell'«Informagiovani» assicura: «Come educatori ci sentiamo coinvolti». Ma come agire davanti all'emergenza? «Il nostro resta un ruolo educativo».

Divertimento sicuro

Per intercettare quei ragazzi che non frequentano i centri giovani esistono poi le Unità di strada dell'Ausl. Attraverso il progetto «Divertimento sicuro», spiega Soncini che con la cooperativa Eidè è coinvolta anche in questa attività, «andiamo davanti alle discoteche e proponiamo ai ragazzi di fare l'alcoltest prima di mettersi al volante, facciamo informazione sulle droghe o distribuiamo preservativi». Ma il lavoro degli esperti non basta. «Tutta la comunità deve prendersi cura dei ragazzi. Escluderli vuol dire ghettizzarli».

Pierluigi Dallapina