LA STORIA
Enzo Mari: «La mia prigionia». Il suo diario diventa un libro
Andrea Violi
«Vedo la mia situazione nera, terribile. Dover lavorare con buoi sfiniti per mancanza delle debite cure. E l’inverno si avvicina a grandi passi! Ogni giorno vedo sempre più sfumare la speranza e la possibilità di ritornare dai miei cari». Sono parole di sconforto quelle che Enzo Mari confida al suo diario il 7 novembre 1944. Il diario di un Internato militare italiano che fa riemergere dalla Storia l'esperienza di due anni vissuti in Germania - dal settembre 1943 al settembre 1945 - tra lavori forzati, umiliazioni, soprusi.
Enzo Mari di Ugozzolo, classe 1921, riesce a tornare. E le pagine su cui ha fissato nomi, date e circostanze sono ora un libro edito da Kriss: «Diario di prigionia di un Militare italiano». Nel 1946 Mari sposa Giovannina Volpi, dalla quale ha due figli, Massimo e Pietro. Impiegato in Comune fino alla pensione nel 1978, morirà a Parma nel 1984. Ha conservato il suo diario, ne ha parlato con i suoi figli. E ora quelle oltre 150 pagine parlano al pubblico. La «scintilla» risale al 2016. «Lessi un articolo sulla Gazzetta dedicato all’8 Settembre. Nella foto di un gruppo di militari ho riconosciuto mio padre - spiega Massimo Mari -. Ho poi avuto l’occasione di incontrare Alessandro Freschi e in seguito Leonardo Farinelli della Deputazione di Storia patria, grazie ai quali è nato il libro, con la loro prefazione. Il diario è un’agenda che in quegli anni mio padre teneva nascosta. In seguito lo ha dattiloscritto. Diceva che gli sarebbe piaciuto pubblicarlo, perché non fosse dimenticato ciò che aveva visto: la barbarie, la fame, le bastonate».
Così come la stessa condizione degli Imi, Internati militari italiani (circa 710mila, ricorda la prefazione). Soldati italiani fatti prigionieri dai tedeschi dopo l’armistizio, costretti a lavorare nel cuore del Reich, a un certo punto beffardamente dichiarati «lavoratori civili» per non riconoscerli come prigionieri di guerra. Questa è l’esperienza di Enzo Mari a Demmin e di tanti commilitoni. Anche parmigiani, che cita: l’orologiaio Bonati, il vetraio Fontana o «Sani Luigi di Ravadese».
A nemmeno vent’anni, nel gennaio ‘41, Mari inizia la leva; dal 1° ottobre è mobilitato a Parma, marconista per carri armati. «Ferrea mole, ferreo cuore» scrisse Mussolini sul retro di una cartolina indirizzata a quei soldati. Ma ferreo sarà il trattamento riservato loro dai tedeschi. All'indomani dell'armistizio, i militari italiani consegnano gli zaini in Pilotta e sono imprigionati in Cittadella. Da Mantova inizia il viaggio verso nord «in risposta al nostro decisissimo rifiuto di considerare il nostro Re un porcaccione», scrive ricordando le «testuali parole» di un gerarca fascista. Mari ha potuto studiare alle medie: annota emozioni e aneddoti con un linguaggio a tratti ricercato, con diverse citazioni. Traspare profondità d'animo, la sensibilità di quel giovane parmigiano in una terra lontana, le piccole gioie e le soverchianti sofferenze.
In Germania si lavora fra campi e boschi (un giorno arrivano anche dei buoi requisiti a Parma), con vestiario inadeguato, pidocchi e cibo tutt’altro che abbondante. Nelle baracche abitano anche belgi, polacchi, lituani, russi. Uomini e donne. Si fa amicizia, talvolta ci si scambiano doni. Qualcuno troverà una compagna ma non Mari, che spesso ha parole dolci per la fidanzata Giovannina, «Gianna mia», oltre che per il padre e i fratelli lontani. Pochi tedeschi sono gentili; la violenza è molto più frequente. Il medico dista almeno otto chilometri: chi è malato deve andarci a piedi. Mari confessa molti momenti di rabbia legati alla disperazione e incubi. E con le vessazioni cresce l’odio: «Siamo animati dalla speranza, che alfin verrà un giorno in cui potremo vendicarci di questi barbari trattamenti».
Quando quei giorni piombano su di loro, dilaga la follia. L’esercito sovietico libera la sua zona. È un pugno allo stomaco la testimonianza di Mari (mista a un senso di impotenza e di straniamento) sull’ondata di violenze, in primis donne, anche giovanissime: «Il mio cuore subisce a tal vista, fitte atroci». Il Reich cade ma il viaggio di ritorno verso casa resta difficoltoso fra carovane improvvisate, città devastate e disorganizzazione. Il 14 settembre ‘45 rientra da Luckenwalde dopo un lungo itinerario illustrato nelle mappe del volume, arricchito anche da foto d’epoca, pagine del diario e lettere inviate a casa. Una lettura di interesse. Uno strumento in più per la Memoria di ciò che è stato.