EDITORIALE

La centralità del ruolo del capo dello stato

Nicola Occhiocupo

Nel vivace e spesso confuso dibattito in corso da mesi sulla elezione del Presidente della Repubblica, il tema dominante è stato e continua ad essere, a pochi giorni dalle votazioni, la opportunità, anzi la necessità, per alcuni, che l’attuale presidente del Consiglio dei ministri, Mario Draghi, continui a restare nell’ufficio che, da un anno, ormai ricopre e non sia eletto, quindi, a quello di capo dello Stato.

Mario Draghi, scelto e nominato dal presidente della Repubblica Mattarella per costituire un Governo “di alto profilo che non si riconoscesse in alcuna formula politica”, è ritenuto l’artefice degli importanti, complessi, ambiziosi progetti di riforme di trasformazione del nostro Paese, adottati con il decreto legge 31 maggio 2021, numero 77, coordinato con la Legge di conversione 29 luglio 2021, numero 108, recante “Governance del Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative di accelerazione e svolgimento delle procedure”.
Il Piano è un atto di pianificazione, per l’appunto, a portata generale, a proiezione pluriennale (fino al 2026), finalizzato a semplificare e agevolare la realizzazione dei traguardi strategici da indicare e degli obiettivi concreti da raggiungere, stabiliti, secondo un calendario preciso, dal Piano di ripresa e di resilienza, di cui al regolamento comunitario del 2021 numero 241 del Parlamento e del Consiglio europei, che prevede per il nostro Paese fondi per 222 miliardi, da erogare, previo controllo di organi dell’Unione europea, in tempi e procedure prestabiliti.
Il governo Draghi è riuscito ad acquisire una legittimazione interna e internazionale di notevole rilievo, nonostante il persistere delle emergenze sanitaria, economica, sociale, ambientale.
Il processo riformatore avviato subirebbe un arresto se Mario Draghi fosse eletto Presidente della Repubblica, dal momento che questo organo, nell’ordinamento italiano, sarebbe un organo di mera rappresentanza, privo, cioè, di poteri effettivi. È la tesi sostenuta, ad esempio, da diversi giornali stranieri, come ad esempio il periodico britannico Economist, espressione e interprete di ambienti finanziari internazionali, che ha attribuito all’Italia il titolo, per il 2021, di “Paese dell’anno”, non per meriti diciamo calcistici, ma soprattutto per il programma di riforme citato.


Tuttavia, la esplosione di «governance» a sostegno del governo Draghi potrebbe addirittura non solo arrestarsi, ma subire una «inversione» per la elezione di Draghi alla presidenza della Repubblica proprio perché – scrive espressamente l’Economist – questa istituzione sarebbe nulla di più di un ufficio di rappresentanza, di “cerimoniale”.
Opinione apparsa anche sull’autorevole quotidiano economico britannico «Financial Times», che, però, dopo una settimana, ha cambiato orientamento, scrivendo che «Draghi può servire meglio l’Italia da presidente della Repubblica».
L’opinione riferita non risponde ad esattezza. Nasce da una conoscenza, più orecchiata che approfondita, della forma di stato e di governo delineata nella Costituzione italiana, quindi delle funzioni e del ruolo del capo dello Stato. Sembra utile, o anzi necessario, sgomberare il campo da equivoci, spesso voluti. È appena il caso di ricordare, ancora una volta, sia pure brevemente, che il legislatore costituente, pur non inserendo il Presidente in alcuno dei tre poteri storici tradizionali (legislativo, esecutivo-amministrativo, giudiziario), lo fa partecipare, in un modo o in un altro, allo svolgimento di tutte le attività statuali, vecchie e nuove, per il nostro ordinamento, come quelle relative alla Corte costituzionale e alle Regioni, con attribuirgli molteplici competenze di notevole rilevanza giuridica e politica, da esercitare autonomamente, nei limiti e secondo procedure stabilite.


Il legislatore costituente, inoltre, qualifica il Presidente capo dello Stato e rappresentante dell’unità nazionale. Competenze e qualifiche che, se valutate, nella loro globalità, si comprende come siano finalizzate a fare del Presidente il custode, il garante, l’arbitro, il motore del buon funzionamento della forma di Stato e di Governo a seconda delle situazioni che si possono nel tempo determinare. Queste parole non figurano nel testo costituzionale.
Il legislatore costituente non volle espressamente richiamarle perché, come spiegò all’Assemblea costituente il costituzionalista Egidio Tosato, relatore dei titoli secondo e terzo del progetto di costituzione, «la funzione di supremo custode della Costituzione deriva al capo dello Stato dai poteri che gli sono attribuiti... Egli ha una funzione essenziale, quella di essere il grande regolatore del gioco costituzionale, e di assicurare che tutti gli organi costituzionali dello Stato, in particolare il governo e le camere, funzionino secondo il piano costituzionale... Una funzione essenziale che corrisponde a tutta la struttura vera e propria del Governo parlamentare».
In coerenza con questa impostazione di fondo, esso legislatore volle espressamente affermare anche la responsabilità del Presidente, come si legge nell’articolo 90 della Costituzione, che statuisce il principio che il Presidente, nell’esercizio di qualsivoglia sua attribuzione, deve preoccuparsi non solo di non attentare lui alla Costituzione, ma anche che altri organi o enti non attentino alla integrità di essa.
Il capo dello Stato non è, quindi, il “maestro di cerimonie” o l’attributario, come scriveva uno dei capi di Stato della Terza Repubblica francese, Jean Casimir-Perier, di un solo potere in grado di esercitare liberamente e personalmente, quello «della presidenza delle solennità nazionali», né l’organo inutile di cui teorizzava il noto costituzionalista francese Léon Duguit, né il «fannullone» di cui parlava all’Assemblea costituente Vittorio Emanuele Orlando.
Il Presidente delineato nella nostra Legge fondamentale è un organo costituzionale, attivo, con proprie competenze, proprie responsabilità, propri limiti. Un organo che, per essere svincolato – attraverso le modalità della sua elezione, la durata dell’ufficio, le qualifiche riconosciutegli, le competenze attribuite – dalle forze politiche sia di maggioranza che di minoranze, e istituzionalmente preposto a garantire il buon funzionamento del sistema appunto, nella sua globalità, e ad operare nel contempo per l’attuazione dei diritti e doveri consustanziali alla persona umana, valore basilare della nostra Legge fondamentale, a concorrere con gli altri organi costituzionali, ciascuno secondo le proprie competenze, a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana, fine preminente della Costituzione, e la realizzazione di una coesione sociale e nazionale.
La storia costituzionale repubblicana testimonia come i presidenti succedutisi nell’Ufficio, in presenza di emergenze, tragedie, crisi di varia specie e natura, eventi interni e internazionali talvolta drammatici, sviluppatisi nel corso del settantennio, abbiano incarnato, nel complesso, la figura di Presidente delineata nella legge fondamentale, in considerazione anche della formazione, del carattere, della personalità di ognuno. L’esempio ultimo è fornito in modo esemplare da Sergio Mattarella il quale, come gli altri, del resto, si è mosso sulla scia di Luigi Einaudi.

Essi hanno cercato, tra l’altro, di colmare il vuoto di potere determinato, specie nell’ultimo ventennio, da una crisi senza fine del sistema politico italiano, composto evidentemente da un ceto dirigente inadeguato, come è facile ricavare dal secondo discorso di insediamento tenuto, alla Camera dei deputati, il 20 aprile 2013, da Giorgio Napolitano, che contiene una impietosa «sommaria rassegna di omissioni, guasti, chiusure, irresponsabilità». Il Paese ha bisogno di un cambiamento radicale per riprendere il cammino dello sviluppo economico e sociale, apertosi dopo la tragedia della seconda guerra mondiale, e riprendere così il ruolo, il prestigio che ad esso spetta nell’Unione europea e nella comunità internazionale. Questo è l’obiettivo che il presidente della Repubblica, chiunque esso sia, deve perseguire.
L’occasione è offerta anche dall’attuazione del Pnrr e dalle riforme previste, che sono strumenti per ridurre, se non proprio eliminare, gli ostacoli di ordine economico, sociale, sanitario, ambientale, ovvero delle gravi emergenze che il Paese attraversa e che indubbiamente impediscono o ritardano lo sviluppo della persona umana.
Non certo a caso, nell’articolo 2 del Decreto-legge citato, si stabilisce che «assume preminente valore l’interesse nazionale alla sollecita e puntuale realizzazione» delle riforme previste. E chi meglio dell’artefice del Piano e delle riforme programmate potrebbe operare per la loro attuazione, ricoprendo l’ufficio di presidente della Repubblica?

Nicola Occhiocupo