Delitto di Vicofertile
La mamma di Daniele: «Mai il perdono a Patrick»
Daniele era felice con Maria Teresa, e loro con lui. Accanto a lei Daniele è stato ucciso, e con lui parte dei suoi genitori è morta. Per questo si è qui, nell'aula Mossini del tribunale, davanti alla giuria popolare presieduta dal giudice Alessandro Conti con a latere il giudice Giuseppe Saponiero. Il grande crocifisso alle loro spalle sembra ribadire il peso della sofferenza e della fragilità umana che grava sull'aula: peso che, accompagnato dall'assurdità, sembra farsi insostenibile. «Maria Teresa, l'avevamo accolta come una figlia - prosegue Antonietta Recchia, la madre di Daniele Tanzi -. Sapevamo che nostro figlio a Parma avrebbe dormito con lei a casa sua...». Invece, al suo ritorno si è sostituito il peggiore degli choc per un genitore. A rate. Prima la notizia di un incidente e poi dell'omicidio. Il figlio appena diciottenne era stato massacrato nella struttura abbandonata a Vicofertile chiamata «fabbrica» dai ragazzi che vi si intrufolano.
È la prima volta che Antonietta parla in pubblico. La sua oltre che una richiesta di giustizia è uno sfogo. Risponde alle domande dell'avvocato Francesco Mattioli, che assiste lei e il marito Antonio parti civili nel processo a carico di Patrick Mallardo. I legali della difesa le esprimono manifestazioni di vicinanza. «Provo rabbia e dolore» sibila la donna, apostrofando il 19enne seduto al banco degli imputati tra i difensori Raffaella Santoro e Francesco Savastano. Frenata la commozione, Antonietta alza il tono, per poi usare un linguaggio sempre più acceso. Augura la morte a chi è a pochi metri da lei accusato dell'uccisione del figlio. Impossibile non capire il suo stato d'animo. Conti la frena con voce calma, come se da lontano le mettesse una mano sulla spalla. «Mio figlio ora è diventato un angelo - prosegue la donna - e lui ora è lì tra quattro mura». Mattioli le chiede se abbia mai ricevuto segnali di pentimento dall'imputato. «No, e non le voglio nemmeno, le sue scuse» taglia corto lei.
I Tanzi sono immigrati dalla Puglia vent'anni fa. Operaio lui e casalinga lei, impegnata a crescere i figli. A Casalmaggiore, dopo Daniele sono nati un ragazzino ora undicenne, da mesi chiuso nel proprio dolore, e un bambino di 8 anni, a sua volta alle prese con la sofferenza. Anche i genitori stanno affrontando in modo diverso la tragedia. «Lei sembra più energica - dice la psicologa Enrica Mantovani, responsabile del consultorio di Casalmaggiore - lui ha più difficoltà a esternare la sofferenza». Anche per questo Mattioli eviterà di chiamarlo a testimoniare («Non so se ci sarei riuscito» mormorerà Antonio, uscendo dall'aula). Ma entrambi assumono ansiolitici, antidepressivi e sonniferi. Per i medici, il loro trauma potrebbe trasformarsi in «disturbo da lutto persistente e complicato».
Difficile, per loro, uscire dal buio di quella notte rievocata ieri dai testimoni dell'accusa. A interrogarli è soprattutto il pm Fabrizio Pensa titolare dell'indagine condotta dalla Squadra mobile. «La porta al secondo piano era socchiusa - ricorda l'agente scelto delle volanti Vito Alfieri, il primo intervenuto sul posto con un infermiere -. Dentro, c'era un ragazzo steso su un materasso a terra». Il corpo immobile e insanguinato fu illuminato dalle torce: la fabbrica è priva di corrente. Patrick e Maria Teresa Dromì erano fuori. Lei scossa, ferita in modo lieve, incapace di dire nulla; lui tranquillo, che riferiva di aver visto allontanarsi un tizio incappucciato. Il medico del 118, gli chiese se avesse freddo e gli diede una mantellina, dopo non aver potuto fare altro che constatare il decesso di Tanzi. «Notai che era stato raggiunto da numerose coltellate, soprattutto all'emitorace sinistro» aggiunge Matteo Mattacchini. Simone Calamai, medico del Pronto soccorso, racconta invece la visita a Maria Teresa quella notte: «Piangeva, era ferita. Raccontava di essere stata aggredita da una persona a lei nota».
Del cadavere di Daniele parla anche Cinzia Voce. «C'erano tracce di sgocciolamento ematico fino al piano sottostante, all'altezza della porta affacciata sul canale che scorre accanto all'edificio - ricorda la sovrintendente della Scientifica -. Fotografammo le scarpe del Mallardo: una macchia portava un'impronta corrispondente a parte della suola». Nel canale, 11 ore dopo, sarebbe stata ripescata la felpa che si ritiene sia stata usata dall'assassino e, 14 ore dopo, un coltellaccio. Troppo il tempo trascorso in acqua, perché dall'esame del Dna emergessero profili netti. Ma sulla lampada frontale trovata nello zainetto di Mallardo sono state trovate tracce di sangue. «Dalle quali si è ottenuto il Dna di Daniele e Maria Teresa» sottolinea la biologa Maristella Santoro, del Servizio centrale di Polizia scientifica.
Trentatré le ferite sul corpo di Daniele. «Quattro mortali - spiega Maria Laura Schirripa, il medico legale che effettuò l'autopsia -. Due fendenti, penetrati dal retro, recisero l'aorta; altri due nel cuore e nella sacca pericardica. Ognuno di essi era letale». Nessuna ferita da difesa. «Lesioni di quel tipo sono agli avambracci e alle mani». Come quelle (agli avambracci), in effetti riscontrate su Maria Teresa, visitata dal medico legale il 10 maggio. «Notai anche nel suo occhio destro alcune petecchie, da capillari scoppiati: possibili conseguenze di del tentativo di strangolamento denunciato dalla ragazza». Nessun dubbio, poi, che il coltello ripescato dal canale sia compatibile con le ferite sul corpo di Daniele.
A testimoniare viene chiamata anche una 17enne amica sia di Maria Teresa che del presunto omicida. Era con loro al parco Ducale il pomeriggio prima del delitto. «Di andare alla fabbrica non sentii parlare quel giorno - ricorda -. Non ho mai visto litigare Patrick e Daniele. Certo, non erano superamici...». E Maria Teresa aveva paura del suo ex? «No, ma diceva che a volte diventava aggressivo». Come ha saputo dell'omicidio? le viene chiesto da Pensa. «Da internet» risponde lei, scoppiando a piangere. Poi ricorda di aver ricevuto all'una di notte da Maria Teresa «una faccina triste». Un emoticon per troppe lacrime.