Franco Lori
I nuovi farmaci antivirali, l'arma fondamentale per battere il Covid
La solitudine dei farmaci primi. O dei primi farmaci. Agognati, Auspicati, Attesi: AAA cercasi. E quando li troviamo passano un po' sotto silenzio. O meglio, non riescono ad emergere dal frastuono mediatico attorno al Covid-19 con la stessa limpidezza che meriterebbero. È di qualche giorno l’annuncio che la nostra regione Emilia-Romagna ha iniziato a distribuire il Paxlovid, il farmaco forse più promettente per inibire il Sars-CoV-2. Si somministra alle persone che sono state infettate dal virus per evitare che queste progrediscano fino alla malattia e debbano finire in ospedale. Ed è efficace al 90%, una percentuale che ci ricorda quella dei migliori vaccini.
Non è il primo farmaco nell’arsenale anti-Sars-CoV-2. Va ad aggiungersi agli antivirali Remdesivir e Molnupiravir, agli anticorpi monoclonali Sotrovimab, nonché Bamlanivimab e Casirivimab, questi ultimi non più utilizzabili nei casi di variante Omicron. Gli anticorpi monoclonali somigliano a quegli anticorpi che noi stessi produciamo dopo una vaccinazione, ma sono concentrati, ad alto dosaggio, specifici e pronti all’uso. Il Remdesivir e Molnupiravir sono piccole molecole e funzionano entrambi inibendo la proteina del Sars-CoV-2 che è necessaria al virus per riprodursi. Entrambi erano stati sviluppati contro altri virus ed intelligentemente «ridiretti» contro il Sars-CoV-2.
Paxlovid è invece il primo farmaco appositamente studiato contro il virus Sars-CoV-2. In realtà è il risultato della combinazione di due farmaci. Il primo farmaco inibisce la proteasi, una proteina che serve al virus per modellarsi, a prendere forma e ad essere pronto ad uscire dalla cellula ospite per infettare altre cellule. Il secondo farmaco aumenta l’ attività del primo, rallentandone la distruzione e la eliminazione dal nostro organismo, prolungando così il tempo in cui il primo farmaco rimane a disposizione, e dunque aumentandone l’efficacia.
Sto parlando di antivirali, cioè di farmaci specificamente diretti contro il virus Sars-CoV-2. Esistono altri farmaci (antiinfiammatori, cortisone, anticoagulanti ecc.) che non servono ad inibire il virus ma a curare le conseguenze della infezione del virus, cioè la malattia che chiamiamo Covid-19. Questi farmaci sono altrettanto importanti e si sono dimostrati fondamentali, soprattutto quando la situazione peggiora e la prognosi diventa infausta. Non sono due mondi contrapposti, anzi ad un certo punto si incontrano e si intersecano, ma per ora gli antivirali vengono somministrati soprattutto nelle prime fasi della infezione, per eliminare il virus e prevenire la insorgenza di sintomi più gravi e la progressione della malattia. Quando la malattia progredisce e magari si ha bisogno di terapia intensiva ci si concentra sugli altri farmaci, a quel punto non siamo neanche sicuri che attaccare direttamente il virus sia ancora di qualche utilità.
Fin dai primi giorni della pandemia, nella primavera del 2020, avevo sostenuto che il primo presidio terapeutico che avremmo avuto sarebbe stato un farmaco antivirale. Una previsione che si è avverata. L’antivirale Remdesivir è stato approvato nella stessa primavera, ed è rimasto a lungo l’unica arma a disposizione per inibire il Sars-CoV-2. Avevo anche sostenuto che la vera chiave di volta per migliorare drasticamente la situazione sarebbe stato usare i farmaci in combinazione tra loro. Anche questo in parte si è avverato. Paxlovid è il farmaco più potente fino ad ora ed è anche la prima combinazione farmacologica. Mi auspico e mi aspetto che ne arriveranno altre. Il nostro laboratorio sta per esempio analizzando combinazioni («cocktails») di farmaci «ridiretti», cioè già in commercio per altre indicazioni mediche. I risultati sono promettenti, le migliori combinazioni andranno ora sperimentate su pazienti con Covid-19. Ci stiamo attivando affinché questo avvenga il prima possibile, perciò per ora non ha senso parlarne in dettaglio, sono ancora ottime «promesse» di laboratorio e solo la pratica clinica ci dirà se le nostre speranze saranno fondate. Per ora ringrazio Parma e la sua generosità, perché è stato anche grazie a tanti parmigiani che siamo arrivati a questo primo, incoraggiante risultato.
Ci vorranno ancora mesi. Sembrano una eternità. Perché ci mettete tanto? Si, a guardare avanti sembra un tempo lunghissimo, ma se ci voltiamo indietro? Vaccini, farmaci antivirali, anticorpi monoclonali, antiinfiammatori, cortisone, anticoagulanti. Dal nulla di due anni fa ad una batteria di presidi medici che si arricchisce ogni giorno. Decenni di ricerca che si sono concentrati in due anni su un unico obiettivo. Mai visto prima. E con che risultati. Se oggi non avessimo tutto questo ma ci rimanesse soltanto la variante omicron, molto più infettiva della variante delta e a sua volta molto più infettiva del virus originale venuto da Wuhan, forse non basterebbero i camion dell’esercito per trasportare i corpi dei morti da Covid-19, non ci sarebbero quasi più medici negli ospedali, da qualche parte non ci sarebbero forse nemmeno più gli ospedali. Vivremmo totalmente confinati come in un film di fantascienza dell’orrore. Certamente la pandemia un giorno finirebbe, ma finirebbe come tutte le altre pestilenze del passato, avendo ucciso tutti gli uomini e le donne che poteva uccidere. La peste nera del 1347 si è portata via quasi la metà della popolazione. Oggi significherebbe qualche miliardo di morti. Chi sopravvive è immunizzato, ma la metà delle persone che conosceva non ci sarebbero più. Senza contare la devastazione delle cose, le città in rovina, le fabbriche chiuse, l’energia che non arriva, l’acqua che non è depurata. Potrei continuare con questo quadro fino a far impallidire quello di Bruegel con il suo «trionfo della morte», ma qui mi fermo dopo aver ribadito che non si tratta affatto di fantasia malata.
Sarebbe potuto succedere. Si tratta di una possibilità che quasi certamente si sarebbe avverata nel 1347, anzi oggi ancora più velocemente di allora, quando la pestilenza viaggiava a piedi o al massimo a cavallo. Oggi si viaggia con auto veloci, treni, aerei, in pochi mesi il Sars-CoV-2 dalla Cina ha fatto il giro del mondo. Ma tutta questa devastazione non è avvenuta nel 2020 grazie alla prevenzione e all’attenzione, ad un tessuto sociale reattivo, ad una comunicazione capillare, all’aggiornamento costante, alla conoscenza e ai mezzi tecnici di allerta veloce.
Ma grazie soprattutto alla scienza e alla ricerca. C’è chi ha investito subito e pesantemente, cioè ancora una volta gli Stati Uniti. Tutti gli antivirali (Remdesivir, Molnupiravir, Paxlovid) e tutti i vaccini in uso in Italia (Pfizer, Moderna, Novovax) vengono da oltreoceano. Dall’Europa? Nulla. Con l’eccezione del Regno Unito dal quale è arrivato il vaccino AstraZeneca. Neanche il migliore, ma pur sempre un vaccino. Scusate, qualcuno mi fa sapere che il Regno Unito non è più nell’Unione Europea, pare che sia stata la Brexit. E qualcun altro potrebbe dirmi che il vaccino Pfizer proviene dalla tedesca Biontech, ma io obietto che quella «nuova» tecnologia ad mRNA era stata proposta già decenni orsono e che sarebbe rimasta a languire in questa piccola realtà biotecnologica se il gigante Pfizer non avesse dato la spallata decisiva. E i giganti farmaceutici europei? E la Comunità europea? Una partenza davvero «bruciante»: un bando da 100 milioni di Euro, con la lentezza tipica della nostra burocrazia europea. Quando il bando è stato assegnato Sars-CoV-2 era già dappertutto, le economie europee perdevano già diversi miliardi al giorno (cioè si bruciava ogni giorno decine di volte la quantità di denaro che era stata assegnata all’inizio per contrastare il virus), il Remdesivir era già stato approvato dalla FDA americana e le prime sperimentazioni cliniche dei vaccini negli Stati Uniti erano già state completate.
«E se domani (e sottolineo se…)» riuscissimo a trovare le risorse finanziarie per completare i nostri studi clinici e se questi si dimostrassero efficaci, i nostri cocktails ecc... potrebbero essere tra le prime risposte Europee alla infezione. Spero che i risultati arrivino quando il virus non ci sarà più, sarebbe una beffa come ricercatore ma ne sarei contento come cittadino del mondo. Purtroppo temo che non sarà così, temo che il virus non scomparirà con «il vento caldo dell’estate» . Sta già diminuendo, diminuirà ulteriormente, ma potrebbe tornare. E potrebbe tornare sotto forma di una variante resistente ai vaccini, giunti a quel punto i farmaci potrebbero rappresentare l’unica vera muraglia di difesa. Cosa fare nel frattempo? La risposta è semplice. Ci sono due strade, a mio avviso. Una è scommettere che il virus è ormai all’angolo, basteranno un paio di Cuba Libre e un Gin Tonic sotto l’ombrellone ed è fatta. Se si ripresenta a Settembre ce ne preoccuperemo per allora. Nel frattempo… «Baila Morena» . L’altra è investire in ricerca e sperimentazione. Pesantemente. E subito. Chi sta da questa parte si faccia sentire, rimaniamo in ascolto.
Ringrazio Mina, Alice e Zucchero per la gentile collaborazione. Ringrazio ancora di più chi vorrà sostenere la ricerca e la sperimentazione delle nostre combinazioni di farmaci.