L'INTERVISTA

Vincenzo Pincolini ha lavorato a Mosca e a Kiev: «L'Ucraina non cederà»

Quando si parla della guerra Ucraina e di Russia, paesi dove ha lavorato, Vincenzo Pincolini ha molti ricordi e una certezza: «L'Ucraina non cederà». E parla subito dell'holmodor, una carestia nata da un conflitto con la Russia stalinista: gli ucraini, pur di non arrendersi, morirono di fame in milioni. Un nazionalismo forte forgiato nella povertà. «Sono stato in Ucraina sino a settembre del 2013, pochi mesi prima dell'inizio della guerra del Donbass. Ma nessuno aveva la percezione che sarebbe arrivato pochi mesi dopo questo conflitto». Vincenzo Pincolini ha allenato, come preparatore, la Dinamo Kiev ed anche la Lokomotiv Mosca ed ancora la Dinamo. Dal 2007 alla fine del 2013. Un mondo che conosce bene: «Ho lavorato anche per la Nazionale dell'Ucraina. La guerra iniziò alla fine del 2013: cadde il governo filo russo e si andò ad elezioni democratiche».

Iniziarono così i conflitti tra Ucraina e Russia?

«Sì, ma sembrava tutto comunque nella norma. Gli ucraini andavano tranquillamente in Russia e i russi in Ucraina. Con matrimoni misti, senza problemi».

Com'era la vita a Kiev e a Mosca?

«Vivevo nel piccolo centro storico di Kiev, vicino ai palazzi governativi. La vita era povera ma comunque bella. Una nazione di grande cultura, alle 19 aprivano i teatri, andavo a sentire le opere italiane. Nel bicentario della nascita c'erano le gigantografie di Verdi dappertutto. Erano i divertimenti low coast per tutti, l'arte in genere. Una nazione di grande cultura. Anche il calcio costava poco e venivano in tanti. A Mosca invece si respirava più ricchezza, era una capitale di una grande nazione. Una capitale ricca».

Come vivi questa guerra?

«Mi piange il cuore vedere angoli di Kiev e di altre città distrutti, la gente sofferente. Era gente che aveva già poco e dopo questa guerra avrà ancora meno».

Ma quando hai lasciato l'Ucraina percepivi questo rischio di guerra?

«Assolutamente no. Ho avuto la fortuna di vivere in Ucraina in un buon momento economico. Nel 2013 però la moneta perdeva valore, iniziava un'incertezza economica oltre che politica. Iniziava la crisi».

Le cronache dall'Ucraina trasmettono un grande nazionalismo. È davvero così?

«C'è uno spirito incredibilmente anti-russo nato nel novecento. L'ucraino ha una cultura contadina che noi possiamo capire: festa per la trebbiatura, per la vendemmia e così via. E nelle difficoltà si aiutano sempre: se resti a piedi in macchina, per dire, si fermano ad aiutarti. Una solidarietà che li aiuta anche in momenti tremendi come questi. La povertà, condivisa, ha forgiato questo spirito. Con una dignità estrema».

Che speranze hai?

«Nei giovani. Io avevo ragazzi di 17-18 anni. Che sapevano l'inglese, che rispettavano le tradizioni ma si aprivano al mondo, alle altre culture. La parte giovane del paese non è più disposta ad accettare ordini da altri paesi».

Hai sentito qualcuno?

«Sì, Tibaudi preparatore dello Shakhtar di De Zerbi. Sono bloccati là. E anche loro non mollano».

Sandro Piovani