IL CASO
Deportato nel '43 in un campo tedesco: la Germania dovrà risarcire 100mila euro
Due anni ai lavori forzati tra il '43 e il '45. E toccherà alla Germania pagare per quella schiavitù. Il carbone sul volto e sulle mani. La fatica che spezzava le gambe. E la fame che indeboliva ma affilava ancora di più il pensiero. Il pensiero della dignità, in quel campo in Sassonia. Gianni Quarantelli rimase rinchiuso a Oechlitz-Merseburg dal settembre 1943 fino al 26 giugno 1945, giorno in cui tutte quelle anime stremate furono liberate. Era un milite dei pontieri della sezione di Roncole e fu travolto dall'8 settembre mentre si trovava sul fronte greco.
Gianni è morto nel gennaio 2017, a 94 anni, ma ha sempre lottato perché l'atrocità di quei giorni interminabili nel campo fosse riconosciuta. E ora il tribunale civile di Parma ha condannato la Repubblica federale di Germania al risarcimento di 100mila euro (oltre agli interessi maturati dal 30 gennaio 2013) a favore dei figli Atos e Giorgio, che avevano presentato ricorso assistiti dall'avvocato Federico Silvestrini. Il giudice Marco Vittoria ha riconosciuto che Quarantelli «fu vittima di un crimine di guerra (la riduzione in schiavitù) che lede il diritto inviolabile alla conservazione della dignità personale e dell'integrità fisica, senza che sussista alcuna (comprovata) causa di giustificazione nota al diritto internazionale (di guerra e di pace)».
Era un soldato, Gianni, seppure con l'obbligo di leva, non un deportato civile. E per anni ha dovuto scontare questa sua «diversità», perché anche nelle mostruosità ci sono scale di valori. Così, il 2 giugno 2013, durante la Festa della Repubblica, quando fu insignito della medaglia d'onore, era raggiante. «Ho aspettato 68 anni per averlo, ma adesso sono finalmente soddisfatto, perché è un riconoscimento a cui tenevo tantissimo», aveva detto dopo la cerimonia al Ridotto del Regio.
Il riconoscimento. L'approvazione per non aver mai chinato la testa davanti a «quelli là». Gli innominabili soldati tedeschi, per Quarantelli. Che poco dopo l'8 settembre, in Grecia, era stato catturato, tenuto per qualche settimana in prigione e poi spedito in Germania. Fino al campo di Oechlitz-Merseburg. Non ha mai dimenticato la matricola: 211013. Numeri non incisi sulla pelle ma rimasti scolpiti nella memoria. Come quel lavoro da schiavo: per tutta la giornata bisognava portare sacchi di carbone sulle spalle per l'acciaieria. I pasti? Tre etti di pane con sangue di bue. «Ho visto tanti ragazzi diventare gialli per l'itterizia e poi morirmi di fianco», aveva raccontato.
Ma Gianni aveva retto, riuscendo a superare anche l'interminabile viaggio di rientro. E aveva cominciato subito a lavorare duro: quarant'anni nella fornace di Roncole. Eppure quel passato non l'ha mai lasciato. Fin dalla metà degli anni '80 aveva cercato documenti che certificassero quegli anni di prigionia. Nel 2003, però, la richiesta di indennizzo all'Organizzazione internazionale per la migrazione, fu bocciata, perché lui era sì un prigioniero, ma un militare non un civile. Eppure, sottolinea l'avvocato Silvestrini, in quegli anni i militari «non godettero mai dello status di “prigionieri di guerra” e quindi delle relative “tutele”».
Ma il ricorso al tribunale ha spazzato via ogni dubbio: non solo il giudice ha riconosciuto che Quarantelli «è stato vittima di trattamento disumano», ma ha anche stabilito, facendo riferimento in particolare alla sentenza della Corte Costituzionale del 2014 e a quella della Cassazione del 2020 sulla giurisdizione degli stati esteri, che dei danni dovuti ai crimini di guerra subiti debba farsi carico un'autorità sovrana: la Germania, in questo caso.
«Siamo fiduciosi che, nonostante le difficoltà, il risarcimento possa arrivare - sottolinea l'avvocato Silvestrini -. Ma speriamo soprattutto che lo Stato italiano voglia aiutarci, che possa assumere provvedimenti affinché si arrivi a una definizione di questi casi, ancora prima di valutare delle procedure di esecuzione nei confronti della Germania».
Un riscatto alla memoria per Gianni. Prigioniero ai lavori forzati, anche se soldato.