Aiuti ai profughi
«Missione compiuta. Ma torneremo presto»
ZAHONY (Ungheria) Consegnato il carico alla frontiera, aiuti e volontari hanno preso direzioni opposte. I primi si sono addentrati a nordest trasportati dai furgoni ucraini, attraverso il Paese sotto attacco; la squadra di Parma invece ha intrapreso il cammino del rientro verso sudovest, tagliando Ungheria e Slovenia. È qui, prima del confine di Trieste che si viene raggiunti dalla notizia: le barelle, gli zaini di rianimazione e tutto il materiale di pronto soccorso sono arrivati nella provincia di Kiev, a Bucia. Hanno viaggiato per altri ottocento chilometri, dopo la consegna a Zahony, al sindaco di Čop, prima città oltre la frontiera tra Ungheria e Ucraina. Ottocento chilometri da aggiungere ai 1.300 percorsi da Parma, ma su strade di guerra, a rischio degli attacchi aerei e dei bombardamenti delle artiglierie che da giorni martellano la zona. Per parte del materiale non c’è nemmeno stato bisogno di passare da un magazzino: subito è stata inviata dove c’era bisogno. C'è solo il doloroso imbarazzo della scelta.
Così, anche mentre torna indietro, la spedizione organizzata dal Seirs e resa possibile dalla solidarietà di aziende, scuole e cittadini di Parma sa di andare avanti. «Sono orgoglioso che il nostro territorio abbia voluto impegnarsi in modo concreto anche attraverso di noi - dice Luigi Iannaccone -. Siamo solo la parte più visibile: al nostro fianco ci sono le centinaia di parmigiani che hanno contribuito ognuno come ha potuto, ma sempre con grande slancio. Il mio grazie va a ognuno di loro: dal primo all’ultimo». Importante era dare una risposta al più presto possibile: l’emergenza non attende il disbrigo di pratiche o lo scioglimento di dubbi procedurali. Tempo da perdere non ce n’è. Le bombe cadono, la fame stringe d’assedio città e rifugi. «Le principali vittime di questa tragedia sono donne e bambini - prosegue il presidente della Croce gialla -. Poterli aiutare direttamente, il più vicino possibile a dov’era necessario è stata una grande soddisfazione. Così come vedere la sera stessa del nostro arrivo a Zahony che le nostre tute monouso venivano già impiegate. A donarcene 12mila, definite utilissime dagli stessi ucraini, è stata un’azienda produttrice bolognese. Noi cerchiamo di essere al fianco di tutti coloro i quali hanno bisogno, di fare sempre la nostra parte. Importante vedere come quanto portato da Parma sia stato subito usato». Varrebbe da incentivo, se ce ne fosse bisogno. Ma non serve. Nemmeno per i parmigiani che in questi giorni hanno continuato a contribuire alla campagna pro Ucraina. «Lavorando senza sosta, e non dimentichiamo che proseguono gli impegni di sempre e quelli legati alla campagna vaccinale – aggiunge Iannaccone –, i nostri volontari hanno raccolto ormai quasi l’equivalente di un altro carico. Presto andrà dunque organizzata una nuova spedizione».
È un carico di emozioni ad accompagnare il ritorno della squadra del Seirs. Ricordi, immagini e sapori. Sarà difficile trovare un gulash della stessa intensità di quello offerto dai volontari ungheresi e ucraini insieme nella tenda allestita dal Cesvi accanto alla stazione di Zahony, per offrire pasti caldi ai rifugiati. Un simbolo di accoglienza e di resistenza. Incontrare tanta compostezza, tanta dignità, è servito ad attenuare il senso di angoscia con il quale si era partiti da Parma. «Ora che abbiamo visto la situazione con i nostri occhi, ora che abbiamo conosciuto le persone incredibili impegnate sul posto giorno e notte - spiega Ines Seletti, presidente di Fidas alleata di Seirs in questa spedizione – abbiamo avuto la conferma che la strada intrapresa è giusta. Si è creato un filo diretto con loro, con gli insegnanti che hanno trasformato la loro scuola in un dormitorio, con il sindaco di un comune di 4000 anime al quale ora tocca gestire le necessità di una popolazione raddoppiata da chi ha bisogno di tutto. Non ci si può fermare qui». Che cosa resta di questo primo viaggio? «Sarà difficile elaborare il dolore dei tanti bambini strappati alle loro case, alla loro vita quotidiana. Si farà fatica ad affrontare il ricordo degli occhi rossi di pianto delle loro madri». Un motivo in più per impegnarsi per loro. «Ancora una volta abbiamo avuto la riprova di come la forza del volontariato possa smuovere le montagne» chiosa Ines Seletti.
Oltre a smuovere ciò che è dentro di noi. Dal viaggio fino al confine della terra dalla quale proviene, Natalia Kobyliatska dice di rientrare diversa. «Questa tuta - spiega, mostrando la divisa del Seirs - è diventata la mia seconda pelle. Ci ho vissuto dentro tutti questi giorni e ci sono stata bene. Il viaggio è stato anche un’occasione per ripensare la mia vita». Comoda, come quella di tutti noi. Ma che potrebbe cambiare in ogni istante. «Nulla va dato per scontato. Qualcosa di più grande di te può costringerti a scendere dai tacchi e a mettere le scarpe da ginnastica per fuggire dalle bombe». Ma questo viaggio per lei, di madre ucraina e padre russo, è anche una conferma di una convinzione dolorosa elaborata dopo il 24 febbraio. «Niente ha più valore, se non che Russia e Ucraina non potranno più essere davvero sorelle. Almeno per parecchio tempo. Questa ferita sanguinerà per chissà quanto».
E a lungo nella memoria di Franco Zanichelli resterà il segno lasciato dal silenzio dei profughi a Zahony. «Il silenzio delle madri, dei bambini – racconta il volontario di Seirs -. L’espressione più stupida dell’uomo è riuscita a creare questo silenzio. Ho visto anche bambini giocare, in questi giorni, ma sempre li ho sentiti farlo a bassa voce. Quasi capissero che stava accadendo qualcosa di terribilmente grande». Oltre a questo, la riprova dei valori per i quali tanti hanno deciso di indossare una tuta al servizio del prossimo. Non importa quale sia il logo o il colore. «Bello è stato incontrare tutte queste persone pronte a sacrificarsi per gli altri, senza sapere nulla, senza chiedere nulla».
In tempo di guerra, quello della sopravvivenza diventa un mondo al femminile. «Le donne – spiega Paolo Iannaccone, come sempre al volante dell’ambulanza-pulmino di Seirs – ancora una volta stanno dando una grande prova di valore. Forse, se fossero state loro al potere, non si sarebbe arrivati a questo scempio». Anche lui è rimasto colpito dalla compostezza dei rifugiati. «Siamo noi a porgere il nostro aiuto, mentre loro non chiedono niente. Vanno avanti con quel silenzio, per noi così assordante». E mentre Parma si avvicina, si fatica ad allontanarsi con la mente dalla ferita aperta dalle bombe sul confine dell’Unione Europea. Bisognerà tornare... «Io di certo – sorride Iannaccone -. Chi lo guida il pulmino, se no?»