Truffa
Il lavoro «subappaltato». E i guadagni messi in tasca
Ci scappò pure il morto, a un certo punto. Ma scappò così bene da far perdere le proprie tracce. Nel senso che non c'era. Non c'era quel giovane strappato alla vita «da una malattia fulminante». Se l'era inventato il «padre», per prendere tempo con la vittima di un raggiro a più zeri messa a segno a metà 2018. Solo una delle tante bugie: la madre delle quali quella di essere, lui e il proprio socio in affari, titolari di due alberghi nel Parmense.
I due chiamarono un'impresa piemontese per affidarle l'appalto delle pulizie delle stanze, quando invece al gestore degli stessi hotel si erano presentati proprio loro come titolari di un'impresa di pulizie. L'obiettivo? Far lavorare il prossimo ed essere loro a intascare. Questo è quanto stabilito dal giudice Giuseppe Monaco al termine del processo in primo grado di fronte al pm Rino Massari. Entrambi gli imputati sono stati condannati a un anno e due mesi e al pagamento di 500 euro di multa. «Aspettiamo le motivazioni, ma ricorreremo» dice Matteo Bolsi, difensore del primo dei due, un parmigiano 38enne, mentre l'altro, di tre anni più vecchio, era difeso da Tommaso Lombardini del foro di Reggio Emilia.
Cosa ribattere a un debitore che al telefono ti spiega di essere dovuto partire per il ricovero del figlio a Bologna? «Aspetterò, si figuri. Ora ci sono cose più importanti» mormorò sentendosi anche in colpa il titolare dell'impresa di pulizie, venuto da Torino per incassare i soldi attesi da mesi. Pochi giorni dopo, il 55enne inviò al debitore un telegramma di condoglianze: l'altro gli aveva appena annunciato che il figlio non ce l'aveva fatta.
Timidamente, un paio di settimane dopo, i solleciti ripresero. A quel punto, per quei tre mesi di pulizie negli alberghi, il conto aveva superato i 48mila euro.
In uno degli hotel venne lasciato un assegno per la cifra in sospeso. Sembrava che la questione si stesse risolvendo, dopo che all'impresa di pulizie (quella che davvero lavorava) era stato versato solo un acconto di 5mila euro, prima che cominciasse la litania di scuse. Tra queste quelle del finanziamento che non arrivava e del grande esborso per la costruzione di un altro albergo ancora, sempre in zona. Un impegno che lasciava intravvedere la possibilità di allargare il giro d'affari dell'impresa di pulizie. O perlomeno le fatiche, visto che i compensi continuavano a latitare.
Peccato però che l'assegno che doveva azzerare i debiti fosse solo carta straccia. A riferirlo fu la banca, spiegando che sullo cheque c'era una firma contraffatta. «Ma no, mancano solo i soldi» ribatté chi lo aveva compilato, aggiungendo che di lì a poco sarebbe partito almeno un bonifico da 8mila euro. Per provarlo, inviò la copia della distinta. E subito dopo revocò il bonifico. Alle rimostranze del torinese, fu risposto in modo piccato: non poteva che essere un problema bancario. Una cifra venne versata, per non far sospendere le attività dell'impresa di pulizie. Ma alla fine, 40mila euro mancavano (mentre almeno la metà, secondo gli inquirenti, sembra sia stata intascata dagli autori del raggiro). Alla fine, partirono le raccomandate del legale dell'impresa di pulizie. E si scoprì che il titolare degli alberghi era un altro, convinto di aver pagato chi gli aveva sistemato le stanze ogni giorno. E un altro, secondo l'avvocato Bolsi, sarebbe il truffatore: non il suo assistito, ma qualcuno che gli avrebbe rubato l'identità. Qualcuno a cui potrebbe essere davvero morto un figlio?