Intervista

Il rapper parmigiano Malakooda: «Il mio regalo per i 22 anni è l'album “Gifted”»

Pierangelo Pettenati

Online su tutte le piattaforme proprio da ieri, giorno del suo 22° compleanno, «Gifted» di Malakooda, pseudonimo del rapper parmigiano Pietro Bonati.

«Gifted», “dotato di talento”, è un titolo che non esprime presunzione ma consapevolezza. Una consapevolezza giustificata perché «Gifted» è un album ricco di contenuti e per questo quasi sorprendente, se pensiamo all’età dell’autore.

A 22 anni, Malakooda è un autore maturo e con due lavori alle spalle, anche se non ufficiamente: «”Gifted” non è il primo disco – spiega – ma il terzo capitolo di una sorta di trilogia non ufficializzata ma coerente nel messaggio. Il primo è stato “Blood Notes”, seguito nell’ottobre dell’anno scorso dal mixtape “Provviste per l’inferno”, in cui mi figuravo in prima persona di fronte alle porte dell’inferno alla ricerca della redenzione, che sarebbe arrivata con quest’ultimo disco, che rappresenta il consolidamento della mia esperienza in quello per cui sono nato».

Da dove nasce questa consapevolezza dei tuoi mezzi?

«Ho una penna fortunatamente molto felice sin da quando sono bambino. Ricordo che la maestra faceva leggere i miei temi ai miei compagni della classe. Successivamente ho mischiato tutto quello che mi era affine, musica, scrittura, cinema e il disco ha preso forma».

Nelle tue canzoni, nelle tue parole si nota ambizione, ma non presunzione; dov’è il confine?

«C’è una linea sottilissima tra autocelebrazione e consapevolezza. L’autocelebrazione è spocchiosa, la consapevolezza è semplicemente riconoscere che stai facendo qualcosa di bello. Il rap è un genere molto autocelebrativo, però il mio approccio è basato sulla consapevolezza di avere in mano un progetto fatto bene».

Nel disco c’è molto di te, di quello che hai vissuto, di quello che provi, della tua città; quanto è vissuto e quanto è narrazione?

«Trovo che ci sia un equilibrio, una sorta di compromesso tra le due cose. C’è molta narrazione riguardo il mio percorso contestualizzato ai vari ambiti e alle esperienze di vita ma mi racconto anche personalmente».

E questo può portare a riflettere, a immedesimarsi anche tanti ragazzi della stessa età (e non solo)…

«È quello che voglio creare. La cosa più bella che possa succedere, ed è capitato, è trovare una persona che si immedesima o ha vissuto le stesse cose perché viene a crearsi un senso di solidarietà, una sorta di empatia molto diretta e non astratta».

Parma è sempre ben presente nelle canzoni; quali aspetti della città hai voluto descrivere?

«Ho raccontato più che altro l’essenza. Abito in centro e ho modo di respirare quotidianamente il cuore della città, i monumenti più importanti, i borghi che tutti ci invidiano. Ogni volta capto qualcosa in più o di diverso dalle stesse strade e dagli stessi borghi. Non l’ho raccontata in termini sociali, anche se ha le sue problematiche. Io sono grato alla mia città perché mi ha dato tanto a livello di anima».