Consulta degli studenti

Assemblea sul disagio giovanile: 30% di accessi in più ai servizi

Mara Varoli

Ma chi sono i ragazzi delle baby gang? «Per il 79% arrivano dalla provincia e soffrono l'abbandono scolastico. I genitori? Capita che a volte sia difficile reperirli: certe forme di disagio affondano in altre situazioni già compromesse». Il questore Massimo Macera parla con preoccupazione di queste bande. Ne parla più da padre che da poliziotto.

Gli ospiti

Macera insieme al prefetto Antonio Garufi, al conduttore radiofonico Mauro Coruzzi, al campione delle Zebre rugby Maxime Mbanda, al consigliere delegato delle politiche giovanili del Comune di Parma Leonardo Spadi, alla psicologa dell'Ausl Maria Teresa Gaggiotti, alla psichiatra dell'Ausl Silvia Codeluppi, al preside del liceo Bertolucci e presidente di Asapa Aluisi Tosolini e alla preside del comprensivo di Sorbolo Beatrice Aimi hanno partecipato all'assemblea della Consulta provinciale degli studenti, organizzata insieme all'Ufficio scolastico provinciale a Palazzo del Governatore e in collegamento con gli istituti superiori del territorio. Il tema? «Chiedimi se sono felice», una riflessione multidisciplinare sul disagio giovanile, condotta egregiamente dal presidente della Consulta Nicolas Mantovani. La docente referente della Consulta Laura Schianchi ha aperto l'assemblea portando i saluti del dirigente Maurizio Bocedi. Al fianco di Mantovani, la vice Isabella Emiliani, rappresentante del liceo Toschi, la segretaria Kira Taurino, l'ex presidente Carmelo Iannello e Karina Blaggan, rappresentante del Berenini.

Il disagio e le soluzioni

«La pandemia ha reso visibile il disagio - sottolinea Gaggiotti - anche se in questi due anni c'è stato un aumento del 30% di accessi al pronto soccorso e ai servizi per chiedere aiuto da parte dei ragazzi in età evolutiva: tentativi di suicidio, autolesionismo e non solo. Ma questo 30% è solo la punta dell'iceberg. La pandemia più la guerra hanno generato paura, che suscita attacco, fuga e immobilismo. Dalla paura alla crisi fino al dolore e all'implosione, come lo stare in disparte, i cosiddetti auto-reclusi. Ma anche esplosione: necessità di proiettare fuori il disagio». Cosa fare? La scuola e lo sport possono guarire le ferite: «Ho iniziato a giocare a rugby a 8 anni - racconta Maxime Mbanda - e durante i momenti difficili dell'adolescenza mia madre nonostante gli impegni si è sempre accorta quando qualcosa non andava e vedeva però che sul campo ero diverso. Nel rugby vince chi più è generoso. Lo sport in generale ti insegna il rispetto verso il compagno ma anche verso l'arbitro. Per cui tutto deve partire sì dalla scuola, ma anche dallo sport e dai genitori: i miei mi hanno donato giusti valori, che spero di trasmettere a mio figlio».

La famiglia

L'esperta Aimi ha posto l'accento sul rapporto tra la circolazione del disagio giovanile e le famiglie: «In Italia un ragazzo su 3 cresce in un contesto di povertà educativa, privato delle opportunità di gioco e sociali. Là dove la famiglia non c'è, il ruolo deve essere assunto dalla scuola. La ricetta vincente è quella di costruire reti di comunità, con centri di aggregazione e con una scuola diversa capace di formare teste ben fatte». La psichiatra Codeluppi ha aggiunto: «La famiglia ha paura di sbagliare: non c'è più una società educante e questo rende ansiosi i genitori, che hanno timore di perdere l'amore dei figli». E l'ascolto è fondamentale. Proprio la Codeluppi ha dato il menu per una mente sana: ci vuole «il tempo dell'interiorità, del sonno (i ragazzi ne sono carenti), della concentrazione, del gioco, del movimento e della relazione».

I luoghi per i giovani

«Io sono felice? - provoca Tosolini - Faccio prima il filosofo del dirigente: si può essere felici da soli o insieme? La scuola è il luogo dove si sta insieme e dove si costruiscono relazioni: io non vedo ragazzi scappare al suono dell'ultima campanella. La scuola non è una macchinetta distributrice di merendine, se fosse così bisognerebbe chiuderla, ma è la casa che ci rende felici». Il prefetto Antonio Garufi ha ripreso le parole del campione: «Mbanda ha insegnato agli studenti ad essere più critici e curiosi. Cerchiamo di andare oltre la crosta: questo è il migliore uso della nostra intelligenza, diversamente andiamo sempre più verso un mondo chiuso in se stesso. Usiamo i social ma non in maniera superficiale: guardiamoli con attenzione per avere giovamento». E sul tema della mancanza dei luoghi per i giovani, suggerito da Mattia Tallone, rappresentante del Paciolo D'Annunzio, Spadi risponde: «Il tema dell'attrattività di una città è importante. Il ruolo delle istituzioni è creare delle opportunità. Ogni volta che le forze dell'ordine fermano un ragazzo significa che noi abbiamo fallito. E noi dobbiamo aiutare questi giovani. Fortunatamente ci sono tanti ragazzi che fanno anche volontariato e si dedicano allo sport: basta pensare a quelli presenti nelle associazioni. Ma quello che leggiamo sui giornali per la cronaca nera non possiamo sottovalutarlo. A Parma i centri per i giovani non mancano e sono tutti ben attrezzati. Per cui bisogna metterci tutti intorno a un tavolo e riflettere sulle possibili soluzioni e sugli strumenti da utilizzare per affrontare il problema del disagio giovanile».

Alla fine, la testimonianza di Mauro Coruzzi, accolto dagli studenti con un grande applauso, accende ancora di più un'assemblea seguita e interattiva: «Non bisogna identificarsi in alcuni modelli che sembrano dominanti - raccomanda Coruzzi -. Io ho scelto di studiare alle magistrali per poi iscrivermi al Dams: ho sempre capito che solo la cultura poteva tirarmi fuori dalla mediocrità. E il mio disagio l'ho trasformato in una rabbia produttiva. A 13 anni chiesi a mia madre se poteva darmi i soldi per andare al concerto di Mina e Gaber e così mi ha accompagnato in autobus. Anch'io uscivo sempre e ne combinavo di tutti i colori, ma rendevo sempre conto a mia madre. E' il dialogo che conta e soprattutto fra età diverse, ma oggi la comunicazione nelle famiglie è sparita». Così Coruzzi ritorna ai tempi della scuola, quando alla maturità ha portato Moravia e una canzone di Vecchioni: «L'uomo che si gioca il cielo a dadi». Questo per dare rilievo «a una parola chiave - chiude Coruzzi -: ci vuole coraggio».