L'intervista
Nevio Scala: «I nostri trionfi possono ispirare il Parma del futuro»
Dici Nevio Scala e la mente viene subito invasa da un profluvio di ricordi, che si susseguono l’uno dopo l’altro tra le pagine di una favola capace ancora oggi, che pure è trascorso qualche decennio, di incantare. Una di quelle storie che è sempre piacevole raccontare, nella misura in cui riesce a riconciliare gli animi di tifosi e appassionati con il calcio, oggi profondamente cambiato al punto da apparire irrimediabilmente distante dalla gente.
È il Parma di inizio anni Novanta: quello di Melli e del «sindaco» Osio, di Grun e Brolin, delle capriole di Asprilla, di Dino Baggio e delle magie di Zola, senza che tale elenco faccia torto agli altri indiscussi protagonisti. Ma è soprattutto il Parma di Nevio Scala: cuore e gioco spumeggiante condensati in un collettivo meraviglioso che dopo aver raggiunto la serie A (per la prima volta nella storia gialloblu), saprà andare addirittura oltre l’inimmaginabile, scalando una montagna in un’epoca dove quello italiano era un campionato di primissimo livello, il più ambito in assoluto dai migliori giocatori al mondo. Una Coppa Italia vinta in finale contro la Juve, poi la notte di Wembley, una Supercoppa europea strappata al Milan, quindi una Coppa Uefa, ancora a San Siro e ancora al cospetto dei bianconeri. Mancò solo la ciliegina sulla torta – leggasi scudetto -, a quel Parma.
Ma Nevio Scala è stato anche l’uomo della rinascita. Quando nel 2015 i crociati ripartirono dalla serie D, a lui vennero consegnate le chiavi del progetto di rilancio. Nelle vesti di presidente, il buon Nevio riportò subito la squadra in Lega Pro dando via alla...scalata (il gioco di parole ispirato al suo cognome è inevitabile) che portò a coniare l'ormai celebre «Come noi nessuno mai».
Perugia-Parma, se vogliamo, è un po’ anche la partita di Nevio Scala. Doppio ex di turno. E di lusso. Nella sua carriera c’è infatti anche un’esperienza sulla panchina umbra, nella stagione 1996-97, quando a gennaio fu chiamato dai Gaucci al capezzale di una squadra che in quella serie A navigava in acque non proprio tranquille. «Sei mesi intensi» ricorda il tecnico. «Positivi da una parte, per il rapporto instaurato con la piazza e con i giocatori. Ma negativi dall’altra».
Si riferisce alla retrocessione in B?
«Il risultato sportivo non fu dei più felici, è vero. Ma a pesare come un macigno fu il rapporto travagliato con un presidente vulcanico come Luciano Gaucci e con i suoi figli. Della città e dei tifosi perugini, conservo invece uno splendido ricordo. Ho ancora tanti amici e conoscenti, da quelle parti. Qualcuno è venuto a trovarmi proprio di recente, nell’azienda vinicola che sto portando avanti insieme ai miei figli, a Lozzo Atestino».
Di questo Perugia-Parma, in programma domani, cosa può dirci?
«Ben poco, in realtà. Non sto seguendo molto da vicino il campionato di B. Il Perugia non l’ho praticamente mai visto giocare».
E il Parma?
«Beh, il Parma è una cosa diversa. È sempre nel mio cuore e continuo a seguirlo in tv».
Che idea si è fatto, rispetto ad una stagione che ha visto il club mancare l'obiettivo prefissato?
«La sconfitta di Brescia credo abbia rappresentato lo specchio di questa annata poco fortunata: un peccato, perché il Parma veniva da una lunga serie positiva. Fare risultato avrebbe consentito agli uomini di Iachini di rilanciarsi pienamente nella corsa promozione, pur nella consapevolezza di dover affrontare i play-off. Ora è normale che l’ambiente sia un tantino depresso. Ma io rimango fiducioso: il Parma è una società ambiziosa, ci sarà tempo per tornare dove merita di stare».
Iachini è l’allenatore giusto, per tentare la risalita?
«Lo stimo moltissimo, come uomo e come allenatore. Ha una grandissima esperienza e questo campionato lo ha vinto più volte in passato. A Parma non ha avuto molta fortuna, ma in una situazione del genere, e considerate tutte le difficoltà incontrate, non era nemmeno facile ottenere risultati».
Mister, sono passati più di trent’anni ma il ricordo di quella promozione in A, del suo Parma, è ancora scolpito nella mente di tutti. Come si fa a vincere il torneo cadetto?
«Non esistono ricette. E non ho neppure consigli da dare. Per centrare la promozione servono molti ingredienti, a cominciare dalla programmazione e al di là delle specifiche qualità tecniche dei giocatori. Però la nostra cavalcata del 1990, può diventare una fonte di ispirazione per il Parma che verrà. Allora ci furono fasi complicatissime da gestire, anche sul piano emotivo: la scomparsa del nostro presidente, Ernesto Ceresini, gettò la squadra nello sconforto. Ma reagimmo prontamente, trovando energie e motivazioni incredibili».
Di questo Parma, chi l’ha impressionata maggiormente?
«Gigi Buffon. A lui sono legato da un affetto profondo».
Si sarebbe mai aspettato un suo rinnovo del contratto per altri due anni?
«No. Ma se per questo non mi sarei aspettato nemmeno il suo ritorno a Parma. Gigi non smette mai di sorprendere: ha ancora la stessa voglia, la vitalità e l’entusiasmo di quel ragazzino di 17 anni che feci debuttare in serie A. Con questa città, poi, ha un legame molto forte. È un esempio per tutti: gli auguro di giocare ancora a lungo, ben oltre i due anni prospettati».
È storia più recente il ritorno del Parma nel calcio che conta. Merito anche di Nevio Scala.
«Guardi, quello è un periodo della mia vita che ricordo con grande orgoglio. Ripartimmo da zero, con un profilo basso e investimenti oculati: eravamo senza un parco giocatori e con un settore giovanile da ricostruire. Al primo anno, abbiamo fatto benissimo. I meriti li condivido con Lorenzo Minotti, Andrea Galassi, Gigi Apolloni e Fausto Pizzi: un gruppo di persone fantastiche. Purtroppo, poi, le cose non andarono per il verso giusto».
Fu una separazione dolorosa per lei, immagino.
«Pensi che da allora non ho più rimesso piede al Tardini. Ma tornerò presto: è una promessa che ho fatto a Giampaolo Dallara, uno dei “magnifici sette”. Speravo di farlo quest’anno, magari per festeggiare il ritorno in serie A. L’occasione arriverà presto, ne sono sicuro».
Come trascorre le sue giornate?
«Nella mia azienda: insieme ai miei figli, sto procedendo con gli ultimi ritocchi alla cantina. Poi, da maggio, apriremo questi spazi al pubblico. Con la pandemia, non è un momento favorevole per questo settore. Ma i nostri prodotti, biologici, stanno riscuotendo apprezzamenti diffusi. Speriamo che il futuro possa riservarci il meglio».
E il calcio? Un po’ le manca?
«Ci penso, ogni tanto. E mi viene in mente anche di andare a vedere qualche partita. Quando succede, però, vengo subito tirato per la giacca dalla mia famiglia: in casa, mi suggeriscono di non lasciarmi troppo coinvolgere da un qualcosa cui ho dato tanto. Ed è giusto così: vivere nel ricordo di una carriera fortunatissima e ricca di soddisfazioni, in fondo, è un privilegio di pochi».