Sabato al Regio

Nino D'Angelo: «Amato anche dai ragazzi»

Vanni Buttasi

Il «poeta» Nino D’Angelo, 65 anni il prossimo 21 giugno, colpisce al cuore con le sue canzoni che profumano di Napoli, di riscatto sociale e di tanto amore. E, se ce n’era bisogno, sconfigge i tanti pregiudizi su di lui. Il cantante napoletano sarà a Parma sabato, alle 21, al teatro Regio per il recital «Il poeta che non sa parlare»; lo spettacolo fa parte della rassegna «Tutti a Teatro» realizzata da Caos Organizzazione Spettacoli con il contributo organizzativo di Arci Parma. Abbiamo raggiunto telefonicamente Nino D’Angelo, che ci ha raccontato il progetto “Il poeta che non sa parlare”, diviso tra album, libro (edito da Baldini+Castoldi) e tour.

Ci racconta questo progetto

«Tutto è nato durante la pandemia: è stato un periodo difficile per me, l’ho presa molto male. Ho cominciato a scrivere le canzoni nel settembre del 2020. Poi mi sono fermato, poi ho ripreso. Era un disco che non volevo fare, la paura prevaleva su tutto. La svolta? Certamente il murale di Jorit che la gente del mio quartiere, San Pietro a Patierno, dove ho trascorso l’infanzia, ha voluto dedicarmi. Questo murale, realizzato con una colletta degli stessi abitanti, mi ha dato la forza per andare avanti, mi ha stimolato nella scrittura delle canzoni. E, nel contempo, prendeva forma anche il libro, che racchiude oltre ai miei successi anche le canzoni del nuovo disco e tanti episodi della mia vita, artistica e non. Le canzoni dell’ultimo disco parlano dell’oggi, delle disuguaglianze: adesso mi ritrovo a cantarle in tutti i teatri insieme ai miei vecchi successi. Anche il Regio, e ne sono molto felice, ha aperto le porte a Nino D’Angelo».

Come è nato il titolo «Il poeta che non sa parlare?»

«A scuola, una professoressa delle medie mi disse: tu sei un poeta che non sa parlare, arrivi al cuore anche quando ti esprimi male. Quella frase mi è rimasta impressa e ho deciso di utilizzarla come titolo del disco, del libro e, naturalmente, anche del tour musicale. L’italiano era la mia lingua straniera, in casa con i miei meravigliosi genitori parlavo il dialetto».

Cosa rappresenta Nino D’Angelo nel panorama musicale italiano?

«Un cantante che ha fatto la rivoluzione negli anni ‘80 nella canzone napoletana. Venivo considerato l’erede di Mario Merola, della sceneggiata: lui stesso aveva fatto il mio nome. Era troppo grande per me. È stato difficile uscire da questo cliché ma ci sono riuscito. Ricordo che ci fu una colletta in famiglia per realizzare il primo disco e io stesso andavo a venderlo e così arrivò il successo grazie alla gente che mi ha sempre amato. Certo ognuno ha i propri gusti ma ci fu, all’epoca, un razzismo musicale nei miei confronti. Grazie a quel caschetto biondo, a quel look la gente si accorse di me. Il successo con “Nu jeans e ‘na maglietta” fece conoscere a tutti il pop napoletano. E arrivarono anche i musicarelli. Poi, con la morte dei miei genitori e la depressione, mi sono “tolto” il caschetto; con Goffredo Fofi giunse lo sdoganamento da parte di una certa critica. Oggi sto vivendo un momento molto bello della mia carriera artistica; c’è stata un’evoluzione: i ragazzi mi seguono con passione, dietro ai miei dischi c’è il lavoro di mesi».

Come si sviluppa lo spettacolo?

«Due ore piene di musica. Ma c’è spazio anche al racconto di aneddoti contenuti nel libro. Nella scaletta ci sarà il Nino D’Angelo di oggi e quello degli anni ‘80».

C’è una canzone a cui lei è particolarmente legato?

«La risposta è facile: “Nu jeans e ‘na maglietta”. Ha risolto tanti problemi della mia famiglia. Sono molto legato a “Senza giacca e cravatta” (presentato al Festival di Sanremo nel 1999, ndr), un pezzo autobiografico. In questa canzone c’è tutta la mia vita, ci sono io».

Ha ricordi di Parma?

«Ci sono venuto perché ho dei parenti. E poi a vedere il Napoli. Una bella città. Ho sempre sognato di cantare al Teatro Regio. In passato forse non mi avrebbero neppure fatto entrare».

Progetti per il futuro?

«Il tour è andato molto bene. È stato un grande successo, per certi versi inaspettato. Valuteremo se riprenderlo nel prossimo autunno. Con orgoglio, posso dire che il Nino d’oggi, dal vivo, piace molto al pubblico».

Vanni Buttasi