REFERENDUM
Giustizia, i quesiti e le ragioni del sì e del no
Non solo elezioni amministrative. Gli elettori domenica saranno chiamati anche ad esprimersi su cinque referendum in materia di giustizia. Una consultazione passata molto sotto silenzio. Un silenzio che rischia molto seriamente di mettere in forse il raggiungimento del quorum del 50% più uno degli elettori necessario in questi come in tutti i referendum abrogativi. Obiettivo, dicono i promotori, molto difficile dopo che la consulta aveva eliminato alcuni dei quesiti più «attraenti», quelli che riguardavano la liberalizzazione delle droghe leggere, l'eutanasia e la responsabilità dei magistrati. Tre quesiti che - è opinione diffusa - avrebbero raggiunto agevolmente il quorum. E invece domenica i cittadini saranno chiamati a esprimersi sugli altri cinque quesiti presentati un anno fa un’inedita coalizione composta dalla Lega e dai Radicali,
Gli italiani sono chiamati ad esprimersi sulla legge Severino, le misure cautelari, la separazione delle carriere e le valutazioni dei magistrati, e le candidature per il Csm. Questi ultimi tre quesiti si sovrappongono al pacchetto Cartabia. Non per questo secondo i promotori la consultazione è priva di significato. E il risultato cui si guarda è soprattutto l’affluenza: il referendum abrogativo per essere valido richiede la partecipazione della metà più uno degli aventi diritto al voto.
La Lega si gioca molto in questa consultazione e negli ultimi giorni ha iniziato un battage contro quella che il segretario Matteo Salvini ha definito una «censura» mediatica. «Per rompere il muro di silenzio» il senatore leghista Roberto Calderoli ha annunciato che digiunerà «finchè resterò in piedi“: una protesta non violenta sull’esempio di Marco Pannella. Nella tornata referendaria meno polarizzata degli ultimi anni, il centrodestra va alle urne diviso, con Forza Italia favorevole a tutti a cinque i quesiti, e Fratelli D’Italia decisa sul No ai quesiti sulla legge Severino e la custodia cautelare. Il Movimento Cinque Stelle si è chiamato fuori, ritenendo «il Parlamento la sede per la riforma della Giustizia». «I cinque quesiti - secondo il presidente M5s Giuseppe Conte - sembrano una vendetta della politica nei confronti della magistratura». Più variegata la posizione del Pd, che ha lasciato libertà di coscienza. Il segretario Enrico Letta ha annunciato che andrà a votare ed esprimerà 5 no: «Penso che questo referendum sia uno strumento sbagliato» e «su alcuni degli argomenti si sta facendo la riforma nel Parlamento». Qualche veterano invece ha annunciato pubblicamente due o tre sì. Mentre Matteo Renzi, che si asterrà in Senato sulla riforma ritenendola troppo tiepida, ha sposato la battaglia della Lega e voterà sì a tutti i quesiti. Così come Azione, di Carlo Calenda.
Pur contraria in toto, l’Anm - che ha protestato con forza contro la riforma proclamando lo sciopero - ha scelto un mezzo silenzio. La convinzione è che «non sono referendum che porteranno ad un miglioramento del servizio giustizia». La principale criticità viene individuata nella separazione delle carriere, i due binari distinti tra pm e giudice - secondo l’Associazione, da sempre contraria - lederebbe il principio di autonomia e indipendenza: «Va in senso contrario a quello che vorremmo, un pm più giudice e meno poliziotto», ha detto il presidente Giuseppe Santalucia.
Quesito 1 Scheda rossa
Incandidabilità e decadenza
Il quesito riguarda l’abrogazione del Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi. In sostanza, chiede agli elettori se intendono eliminare le disposizioni introdotte nel 2012, con la legge promossa dall’allora ministra Severino, che prevedono l’incandidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza automatica per chi è stato condannato in via definitiva per alcuni tipi di reato, dalla mafia al terrorismo a quelli contro la pubblica amministrazione. Tali norme si applicano alle competizioni elettorali di ogni tipo, dal parlamento alle amministrazioni locali. Con il sì si cancella l'automatismo: dovrà essere il giudice, di volta in volta, a decidere se, in caso di condanna, occorra infliggere anche la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. Con il no le regole restano quelle attuali.
Quesito 2 Scheda arancione
La custodia cautelare
Il quesito interviene sulla limitazione delle misure cautelari, con l'abrogazione dell’ultimo inciso dell’articolo 274, comma 1, lettera c), codice di procedura penale, in materia di misure cautelari ed esigenze cautelari. La carcerazione preventiva può essere disposta nei casi in cui venga ravvisato un rischio di inquinamento delle prove, di fuga di chi è sottoposto a indagine e il «concreto ed attuale pericolo» di reiterazione del reato. Il quesito referendario interviene su quest’ultimo aspetto, chiedendo di limitare i casi in cui può essere disposta la misura cautelare per rischio di reiterazione. Chi sostiene le ragioni del Sì intende abrogare l’ipotesi di reiterazione per reati che prevedono pene minori e per il reato di finanziamento illecito dei partiti. Chi è per il no sottolinea che il codice già prevede dei limiti: il carcere come misura cautelare è possibile per reati che prevedono la reclusione non inferiore a cinque anni.
Quesito 3 Scheda gialla
Separazione delle carriere
Con la scheda di colore giallo gli elettori sono chiamati ad esprimersi sulla separazione delle funzioni dei magistrati. Il quesito chiede l’abrogazione delle norme in materia di ordinamento giudiziario che consentono a un magistrato di passare dalle funzioni di pubblico ministero a quelle di giudice, e viceversa. Al momento sono possibili quattro passaggi di funzione nell’arco della carriera. Sulla materia interviene anche la riforma Cartabia all’esame del Parlamento, riducendo a uno soltanto, entro 10 anni dalla prima assegnazione. Il referendum punta a rendere la scelta definitiva: se passa il Sì, il magistrato dovrà scegliere all’inizio della carriera la funzione giudicante o requirente, per poi mantenere quel ruolo per tutta la carriera, con l'obiettivo di distinguere chi giudica da chi accusa. Chi è per il No sostiene che così si introdurrebbe la separazione delle carriere per la quale ci vorrebbe un concorso di accesso alla magistratura distinto.
Quesito 4 Scheda grigia
Valutazione dei magistrati
La scheda di colore grigio riguarda il sistema di valutazione dei magistrati, una prerogativa riservata al Csm, che decide anche sulla base di valutazioni espresse dai Consigli giudiziari a livello territoriale. Il quesito riguarda la «partecipazione dei membri laici a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari. Abrogazione di norme in materia di composizione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari e delle competenze dei membri laici che ne fanno parte». In sostanza, il Sì mira a consentire il voto dei laici - avvocati e professori - che siedono nei consigli giudiziari anche su queste deliberazioni, per ottenere giudizi più oggettivi sull'operato dei magistrati. Al contrario chi è per il No sostiene che sia inopportuno il giudizio degli avvocati su chi nel processo rappresenta la loro controparte. Sulla materia interviene anche la riforma Cartabia.
Quesito 5 Scheda verde
Le elezioni del Csm
Il referendum numero 5 (scheda verde) interviene sul meccanismo di selezione dei magistrati candidati alle elezioni del Csm. Il quesito riguarda la «abrogazione di norme in materia di elezioni dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura». Propone di cancellare la norma che stabilisce che ogni candidatura per l’elezione dei membri togati del Consiglio superiore della magistratura sia sostenuta da un minimo di 25 e un massimo di 50 presentatori. Lo stesso meccanismo è previsto anche dalla riforma Csm proposta dalla ministra della Giustizia. L’obiettivo dei referendari è arrivare a candidature individuali dei magistrati, senza il supporto preventivo di altri colleghi, nel tentativo di limitare il peso delle correnti, dopo la bufera sulle nomina al Csm che si è scatenata nella primavera del 2019. Chi si oppone mette in dubbio che questo basti a ottenere cambiamenti rilevanti.
Perché Sì
Bernini: «Un voto per dire basta a ingiustizie e soprusi»
«Troppi cittadini vittime di errori come Enzo Tortora»
I referendum sulla giustizia giusta saranno una spinta straordinaria che potremo dare al Parlamento per fare quello che non ha fatto negli ultimi trent'anni, per paura o per collusione con le lobby del sistema, perfettamente rappresentato nel libro-intervista di Sallusti a Palamara, che hanno delegittimato e fatto perdere autorevolezza all’intera magistratura. Il 12 giugno, gli italiani possono rivoluzionare la giustizia italiana, lasciando alle spalle una stagione di invasione dei partiti nelle nomine apicali della magistratura, di carrierismo sfrenato e di ricerca di visibilità mediatica che nulla hanno a che fare con la ricerca di verità e giustizia.
L’Italia purtroppo spicca nella vetta della graduatoria europea per lentezza dei processi e per l’abuso della carcerazione preventiva, che avrebbe dovuto essere uno strumento straordinario a fronte di gravi reati, di pericolo di fuga, inquinamento di prove o di pericolo di reiterazione dello stesso reato. Invece, dal 1992 ad oggi vi è stato un abuso della carcerazione preventiva sia per estorcere prove o peggio per motivi di lotta politica di cui una parte della magistratura si è resa responsabile tradendo cosi i principi fondamentali della separazione dei poteri e dello Stato di diritto.
Ben si può dire che a distanza di trent’anni, a nulla sia servita la tragica vicenda umana e giudiziaria di Enzo Tortora, se si prendono in esame i dati oggettivi, ad esempio sulla carcerazione preventiva.
Ogni tre ore in Italia viene arrestata una persona innocente. Ogni anno in Italia oltre mille donne e uomini vengono posti agli arresti senza alcuna condanna, tanto meno definitiva, e lo Stato italiano ogni anno versa a titolo di risarcimento per ingiusta detenzione oltre trenta milioni di euro di denaro dei contribuenti. Dal 1992 ad oggi, si calcola che lo stato italiano abbia versato oltre ottocento milioni di euro per ingiuste detenzioni senza calcolare le spese per processi infiniti e senza prove e soprattutto senza calcolare i danni morali, professionali, familiari e sociali di tali gravissimi errori o addirittura di crimini giudiziari.
È arrivato il momento di voltare pagina sull'intera macchina organizzativa della giustizia che, evidentemente cosi come è oggi, non funziona e certamente non per colpa della maggioranza dei magistrati italiani che ogni giorno svolgono il proprio lavoro rispettando la Costituzione e le regole.
È arrivato il momento che anche all’interno della magistratura sia privilegiata la meritocrazia e le competenze, anziché continuare con carriere facili all’ombra della degenerazione delle correnti politiche dentro la magistratura e grazie alle collusioni con partiti politici.
In questa importante esperienza referendaria in cui ho potuto affrontare la questione giustizia dal Nord al Sud del nostro Paese con gli amici della Lega, dei Radicali eredi di Marco Pannella, di Forza Italia, ma anche di Italia Viva e di singoli parlamentari anche del Pd , ho potuto toccare con mano migliaia di storie di nostri concittadini che mi hanno emozionato, perché queste persone hanno raccontato il dolore profondo, lacerante che hanno vissuto sulla propria pelle.
Sono convintamente per cinque sì ai referendum di domenica prossima, non solo perché è la stessa Commissione Europea che impone all’Italia una profonda riforma della magistratura, e non solo per il costo eccessivo che lo Stato paga per gli errori dei singoli magistrati, ma soprattutto perché le storie di ordinaria ingiustizia possono colpire da un giorno all’altro chiunque: il professionista, l’insegnante, il dipendente pubblico o il genitore con la carriera distrutta o la famiglia lacerata, il sindaco o l’amministratore pubblico costretto a dimettersi e a subire la gogna mediatica. Andare a votare significa aver inteso che la giustizia fa parte delle nostre vite e che la giustizia è la base della civiltà di un popolo.
Giovanni Bernini
Perché No
I magistrati: «Il rischio? Non poter più fermare soggetti pericolosi»
«E il pm si trasformerebbe in un “avvocato dell'accusa”»
Quesito 1
Il referendum tende all’abrogazione della cosiddetta legge Severino. Laddove vincesse il «sì» verrebbe meno l’applicazione automatica dell’incandidabilità ed ineleggibilità per tutti gli amministratori che hanno riportato condanna definitiva per gravi reati, nonché della sospensione immediata dall’incarico per gli amministratori regionali e locali, anche in caso di condanna non definitiva per reati quali quelli in tema di criminalità organizzata, droga o contro la pubblica amministrazione. Pertanto, in questo modo si rimetterebbe al giudice, in base alla pena inflitta, l’applicazione dell’interdizione dai pubblici uffici, misura questa di portata notevolmente più limitata rispetto alla normativa attuale.
Quesito 2
Il quesito è volto ad abrogare, tra i presupposti che consentono l’applicazione di qualsiasi misura cautelare, il pericolo di commissione di reati della stessa specie di quelli per il quale un soggetto è sottoposto a procedimento penale. Pertanto, in caso di abrogazione della normativa attuale si corre il serio rischio di non potere più, in alcun modo, fermare soggetti pericolosi che commettono gravi fatti di reato, anche in assenza di violenza alla persona, quali, ad esempio, spaccio di sostanze stupefacenti, furti, corruzione, concussione, reati finanziari e/o tributari. Quindi, in caso di vittoria del «sì» sarebbe possibile applicare una misura cautelare, oltre che in caso di pericolo di inquinamento probatorio o di fuga, solo laddove vi sia il pericolo che il soggetto possa commettere reati con armi o con altri mezzi di violenza personale o delitti di criminalità organizzata.
Quesito 3
Il referendum tende ad abrogare le norme che consentono a un magistrato di effettuare, nel corso dell’intera carriera, quattro passaggi dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti o viceversa. Attualmente ciò è consentito nel rispetto di limiti territoriali e temporali (ad esempio un pm non può divenire giudice penale nella stessa regione e comunque non prima di avere esercitato cinque anni di servizio nella stessa funzione). Laddove vincesse il «sì» pertanto si costringerebbe il magistrato a scegliere, sin dall’inizio della propria carriera, la funzione da ricoprire. In questo modo il pm rischierebbe di divenire un mero «avvocato dell’accusa» così perdendo anche quella cultura giurisdizionale che gli impone di ricercare anche prove a favore dell’indagato.
Quesito 4
Il referendum è volto a consentire agli avvocati di esprimere il proprio voto anche nella fase di valutazione dei magistrati. Attualmente gli avvocati che fanno parte dei consigli giudiziari possono, infatti, esprimere il proprio voto solo su questioni relative all’organizzazione degli uffici giudiziari. Il pericolo è che in caso di vittoria del «sì» la valutazione di un magistrato passi anche attraverso il voto di coloro che prendono parte ai processi da lui celebrati; ciò ovviamente potrebbe portare alla compromissione del principio costituzionale di autonomia e indipendenza della magistratura, soprattutto in tribunali di non elevate dimensioni o comunque posti in luoghi ad alto tasso di criminalità organizzata.
Quesito 5
Il referendum è volto a consentire a ciascun magistrato di candidarsi alle elezioni del Csm pur in assenza di una lista di soggetti «presentatori». Attualmente è infatti necessario il deposito, presso l’ufficio centrale di Roma, di una lista compresa tra 25 e 50 magistrati presentatori. Non sembra trattarsi di una modifica così rilevante da consentire di superare le problematiche di correntismo emerse negli ultimi anni.
Andrea Bianchi e Giuseppe Saponiero