INCHIESTA «WORK IN PROGRESS»

Maxi frode fiscale, 43 rinvii a giudizio e via alla confisca di 1,4 milioni

Georgia Azzali

L'hanno battezzata «Work in progress». E di «lavori in corso», con una marea di persone all'opera - tra protagonisti e comprimari - ce ne sarebbero stati moltissimi, secondo l'accusa. E' la maxi frode fiscale, con 60 milioni di false fatture contestate tra il 2014 e il 2019, che avrebbe avuto come gran manovratore Franco Gigliotti, il fondatore della G.F. Nuove Tecnologie condannato nel novembre 2020 (in primo grado) a 6 anni e 4 mesi con rito abbreviato, quindi con lo sconto di un terzo, oltre che a 8 anni per concorso esterno in associazione mafiosa dalla Corte d'appello di Catanzaro. Ma nelle maglie dell'indagine parmigiana erano finite decine di collaboratori, oltre che professionisti e prestanome. E ieri il gup Adriano Zullo ha disposto 43 rinvii a giudizio, anche se per determinate posizioni, ma relativamente solo ad alcuni reati, è scattata l'assoluzione o la prescrizione. Il processo comincerà il 17 marzo 2023.

In quattro avevano scelto il rito abbreviato: Cataldo Luzzi e Orazio Luciano Pistritto (assolto da un capo d'imputazione) sono stati condannati rispettivamente a 2 anni e 8 mesi e 1 anno e 6 mesi. Il giudice ha anche ordinato la confisca di 783.465 euro alla società Technical Progress, di 463.375 euro alla Food Tech Impianti in liquidazione e di 168.861 euro alla C.L. Inox. Patteggiamenti per Domenico Santoro e Francesco Desiderio: due anni per il primo e 8 mesi, in continuazione con una precedente condanna, per il secondo. Pena sospesa per tutte e due. Assolti, invece, altri due imputati che avevano scelto il rito abbreviato.

Un anno e mezzo fa, oltre a Gigliotti, erano stati condannati anche gli altri cinque che erano stati arrestati insieme all'imprenditore nel maggio del 2020: Francesco Ingegnoso a 4 anni e 2 mesi, 3 anni e 8 mesi per Pasquale Romeo, 3 anni e 4 mesi sia per Alessandro Vitale che per Giuseppe Gigliotti, cugino di Franco, e 3 anni e 2 mesi a Michele Mari. Il commercialista gelese Ennio Di Pietro, che aveva scelto il dibattimento, era stato poi condannato a 2 anni e 6 mesi, ma era stato assolto dall'associazione a delinquere.

L'indagine, coordinata dal pm Paola Dal Monte e portata avanti dalla Guardia di finanza, aveva puntato i riflettori su decine di società con tanto di cartiere che facevano da schermo per poter evadere decine di milioni e metterne a credito altrettanti non dovuti. Articolato e complesso il «giochino», ma ben congegnato grazie anche a una schiera di prestanome. Due i consorzi finiti nel mirino degli inquirenti: la G.F. Nuove Tecnologie e la I.F.C. Impianti. Erano queste le due realtà con le quali le aziende si interfacciavano, ma poi erano le ditte consorziate, gestite di fatto - secondo la procura - da Gigliotti e Ingegnoso tramite varie teste di legno, a fare materialmente i lavori, utilizzando operai assunti rispettando le norme e facendo regolari fatture nei confronti dei due consorzi.

Fin qui, quindi, tutto lecito. Peccato, però, che immediatamente dopo le società consorziate utilizzassero le fatture fittizie emesse dalle cartiere, guidate da amministratori che sapevano tutto del sistema, per abbattere il reddito imponibile e ottenere consistenti crediti Iva,  compensando indebitamente i debiti tributari, in alcuni casi con crediti fiscali inesistenti per non versare le imposte. E i soldi delle fatture fittizie? Finiti in vari rivoli, secondo gli inquirenti. Anche all'estero.