L'INFERNO IN CASA

Cinghiate con i cavi del computer al figlio di 7 anni e pugni alla moglie: condannato

Georgia Azzali

Ha quasi 17 anni, ma ricorda ancora la geografia dei segni sulla sua pelle di bambino. «Vivevamo in un inferno», sussurra, seduto nell'aula del processo, quando gli chiedono di raccontare come si vivesse accanto al padre. David (lo chiameremo così) che parla delle cinghiate con i cavi del computer, delle umiliazioni subite perché era un bambino fragile, mai all'altezza delle aspettative di quel papà - camerunense, oggi 50enne - che con la moglie usava gli stessi metodi. Anche lei insultata, sottomessa e presa a pugni. Anni di maltrattamenti brutali finiti con una condanna che non ha concesso alcuna attenuante: 4 anni e mezzo, sei mesi in più rispetto a quanto richiesto dal pm Andrea Bianchi. Il collegio, presieduto da Gennaro Mastroberardino, ha anche disposto la sospensione dalla responsabilità genitoriale per 7 anni e 4 mesi. Prevista anche una provvisionale immediatamente esecutiva di 14.000 euro totali per la moglie e il figlio che si erano costituiti parte civile assistiti dall'avvocato Samuela Frigeri.

E' poco più di un ragazzino, David, ma ha vinto la guerra con la paura. Ha raccontato di quando, in prima elementare, insegnanti e bidelle avevano scorto i segni dei colpi sulla sue braccia e sulla schiena. Ha distillato i sensi di colpa provati per anni: si sentiva responsabile quando il padre si lamentava perché mancavano i soldi. C'erano anche altre due sorelle e un fratello, ma su David sfogava la sua ira. Il bambino che avrebbe voluto giocare a calcio, la passione che ha ritrovato negli ultimi anni, ma per il papà lui non valeva niente. Ieri, però, le ha ripetute una dopo l'altra le accuse, anche se il padre era seduto a pochi metri. Lui che per punirlo si sarebbe anche divertito a farlo stare piegato sulle ginocchia, con un piede sollevato e un braccio appoggiato al muro.

Ha subito, David. Ma ha anche vissuto l'inferno della madre. Anche lei mai all'altezza, secondo il giudizio incontestabile del marito. Insultata e controllata in ogni suo movimento. Era lui che ordinava anche come spendere il denaro che lei guadagnava con il suo lavoro. Aveva provato ad andarsene nel 2014, quando lui l'aveva buttata a terra, provocandole un trauma cranico, ma il volere della famiglia di origine era stato più forte, ed era tornata. Ce l'ha fatta sei anni dopo. Senza fare marcia indietro, anche se un giorno lui aveva fatto irruzione nella struttura che l'aveva ospitata insieme ai figli.

E ieri, davanti ai giudici, pur ammettendo qualche schiaffo e alcuni colpi con i cavi del computer, il marito ha cercato di minimizzare, negando comunque la violenza nei confronti della moglie. Ha parlato di certi «metodi educativi» che sarebbero diffusi nel suo Paese. Ma l'alibi non poteva reggere.