Dopo l'accoltellamento
L'ombra della mafia nigeriana sulla duplice aggressione all'ex Salamini
L'unica certezza, per ora, è che chi ha colpito voleva fare molto male. Tanto che sembra quasi un miracolo che i due nigeriani feriti nella notte tra domenica e lunedì, uno accoltellato alla schiena e uno con la faccia spaccata a bottigliate, se la siano cavata, tutto sommato, senza danni permanenti.
Ma se si può tirare un sospiro di sollievo resta comunque la domanda fondamentale: perché tanta ferocia? E quella zuffa è il risultato del proverbiale sguardo sbagliato tra due ubriachi o, piuttosto, si tratta di una resa di conti? Una delle tante che, anche nella nostra provincia raccontano con il sangue come gestisce gli affari la mafia nata in Africa: quella che, a livello di violenza, non ha nulla da imparare dalle consorterie di casa nostra.
In questo senso gli investigatori non si sbilanciano e si limitano a confermare che le indagini sono in corso e che si stanno vagliando ogni ipotesi per scoprire i retroscena della zuffa scoppiata all'ex Salamini.
Tuttavia viene naturale tornare con la memoria a quanto emerso pochi mesi fa quando la squadra Mobile della questura ha sgominato una banda di nigeriani specializzati nello smercio di droga nei parchi delle nostre città. E anche in quel caso l'indagine era partita, strana combinazione, proprio da apparentemente banali scazzottate tra stranieri che sono poi in realtà risultate essere le spedizioni punitive tra pusher. Pronti a tutto per difendere il proprio territorio.
Quella indagine in più aveva permesso di sequestrare molti chili di droga destinata ai market dello sballo dei parchi Ducale e Borsellino dove, secondo i riscontri, in pochi mesi sono state ricostruite oltre 1500 cessioni di sostanze, un numero in apparenza enorme ma in realtà una inezia per un mercato che non conosce crisi. E nel quale la mafia nigeriana ormai anche a Parma la fa da padrona. Lo dichiarano gli stessi investigatori che confermano che dei tre chili di cocaina che si calcola siano consumati ogni giorno tra città e provincia (ed è una valutazione per difetto), almeno il 70 per cento è stato smerciato da nigeriani che hanno impiantato anche a Parma i terminali di una organizzazione piramidale e unitaria, nata negli anni '50 nelle confraternite universitarie del delta del Niger, e negli anni '80 divenuta una vera e propria associazione a delinquere. Che come tutte le multinazionali ha diversificato gli investimenti: se all'inizio infatti il grosso del denaro arrivava dalla tratta delle ragazze spedite a calci, pugni e riti vudù a vendersi sui marciapiedi delle provinciali, ben presto si è passati alle truffe informatiche e, appunto, al business della droga che vede i «cults» africani, corrispondenti alle famiglie della mafia, fare affari con italiani, albanesi e narcos. E ogni pedina collabora al traffico: se la droga infatti arriva con le navi in Africa occidentale tocca poi ai corrieri, i cosiddetti ovulatori, riempirsi la pancia di involucri di sostanze prima di arrivare con voli e quindi treni dalle nostre parti. Dove il carico viene tagliato, diviso in zone e smerciato nella rete al dettaglio che prima sfruttava i cavalli fermi agli incroci di San Leonardo e Oltretorrente mentre ora lo spaccio sfrutta sempre di più case accoglienti e soprattutto contatti telefonici diretti tra venditore e compratore. Che viene se serve anche raggiunto al proprio domicilio. Il risultato è un giro d'affari enorme che potrebbe valere - e ancora una volta la stima è al ribasso- almeno un centinaio di migliaia di euro al giorno. E stiamo parlando della sola nostra provincia.
E' facile capire che di fronte ad un simile tesoro tutto è permesso. Così, se per rendere schiave le lucciole bastano i subdoli riti Juju, la versione africana della macumba, per stabilire il controllo delle piazze di spaccio servono invece lame, vetri rotti e tanta cattiveria. E anche questa è un metodo per fare soldi. Tanti soldi sporchi di sangue.