INTERVISTA
Giordano Bruno Guerri: «D'Annunzio non era fascista»
Da 146mila, i visitatori sono passati, nel 2019, definito «l’ultimo anno buono» prima della pandemia, a 280mila e pochi giorni fa, per il 2022, superavano già i 200mila. È un luogo pieno di fascino, suggestioni e incanto, fermo nel tempo ma non nello spazio. L’elemento che colpisce di più il suo 15esimo presidente, lo storico Giordano Bruno Guerri, è l’officina: «Era lo studio in cui Gabriele D’Annunzio lavorava ed è anche la stanza più luminosa e la più grande. È il luogo sacro del Vittorale». Lo conosce profondamente, non solo per il ruolo istituzionale che ricopre, ma per un trasporto evidente verso la figura del poeta, che incarnò avanguardia e rivoluzione e di cui si è occupato a lungo, negli anni. Oggi rivendica, con la dovizia d’analisi degli studiosi, ogni scelta compiuta in quegli spazi diventati un’icona nel Paese, compresa la decisione di far sventolare sui pennoni l’attuale bandiera di Fiume (oggi Rijeka, in croato) e non quella del secolo scorso rossa gialla e blu, che nei giorni scorsi, su questo giornale, ha suscitato una serie di perplessità, sfociate in uno scambio «a distanza» tra Edoardo Bernkopf, Guerri e Marino Micich, direttore dell’Archivio Museo storico di Fiume.
«Ho cercato di ricucire i rapporti con la città di Rijeka, che non erano buoni: nessun presidente del Vittoriale era mai stato a Fiume e nessun rappresentante della città era venuto qui, così abbiamo compiuto gesti d’amicizia condivisa - ha spiegato Guerri -. L’amministrazione di Rijeka, in molte vie, ha ammesso le targhe in doppia lingua per ricordare gli anni italiani della città e i rapporti sono molto buoni (l’assessore alla Cultura della città e l’ambasciatore croato sono venuti al Vittoriale). Stiamo vivendo, ormai, un secolo dopo l’impresa di Fiume: c’è l’Unione Europea, di cui la Croazia fa parte, e nel 2025 sarà capitale della cultura europea Nuova Gorizia, che è in Slovenia, insieme a Gorizia, che è in Italia (le due città non hanno neanche un confine). Io credo che D’Annunzio, come non rivendicava Nizza e la Savoia, cedute nell’Ottocento, oggi non rivendicherebbe Fiume, per cui mettere la bandiera di Rijeka è un gesto d’apertura al mondo che, per altro, è condiviso sia dagli esuli istriani (come dimostra la lettera di Micich), sia da quelli dalmati, che vengono costantemente al Vittoriale e partecipano ai nostri eventi».
Guerri, lei è presidente del Vittoriale da tempo. Come è cambiato negli anni?
«Ci sono state tante trasformazioni. Io ho trovato un Vittoriale che si era ristretto: molti edifici non venivano utilizzati e gran parte del parco era chiuso; oggi è integralmente riaperto e sono accessibili anche zone mai visitate. Abbiamo vinto il premio per il parco più bello d’Italia grazie ai restauri e alle numerose sculture d’arte contemporanea che abbiamo disseminato nell’area. Abbiamo inaugurato un museo dedicato all’architetto Giancarlo Maroni e abbiamo aperto, per la prima volta, il canile, che è un suo capolavoro architettonico. Da oggi ci saranno tre mostre nuove e, infine, il 17 settembre, inaugureremo il portico del Parente, cioè il cortile interno della casa di D’Annunzio, che non era mai stato aperto. Ma il cambiamento più importante della mia gestione è un altro».
Vale a dire?
«Appena arrivato ho avviato le pratiche per la privatizzazione: dagli anni ‘80, tutti i governi lo chiedevano a enti e fondazioni, per rinunciare ai finanziamenti pubblici e per arrangiarsi in proprio. Nessuno lo faceva, io l’ho fatto: ora il Vittoriale è una fondazione di diritto privato, anche se la proprietà rimane di demanio, ma in cambio della rinuncia ai finanziamenti ho ottenuto uno statuto più dinamico, un consiglio d’amministrazione più snello, è stato nominato un direttore generale (prima c’era solo il presidente) e da allora le cose vanno molto meglio».
Si è trasformato il target dei presenti?
«Secondo me è cambiato perché l’operazione culturale più importante che abbiamo fatto in questi anni è stata mettere la luce giusta sulla figura di D’Annunzio: a scuola ci hanno insegnato, se ce lo insegnavano, che era un decadente, un uomo dedito al lusso, ai piaceri e, soprattutto, un protofascista. Abbiamo lavorato su questa immagine sbagliata, che è un pregiudizio creato dalla borghesia di fine ‘800, che lui combatteva perché era un anticipatore e un modernizzatore. In realtà, D’Annunzio si comportava con una libertà sessuale e di abitudini economiche che poi sono le nostre di oggi, però c’è ancora chi lo condanna per quel giudizio antiquato. Lo stesso vale per il fascismo».
In che senso?
«D’Annunzio non fu mai fascista: proprio nei giorni scorsi, abbiamo concluso un convegno a Pescara intitolato ''Un condottiero senza seguaci'', dove i maggiori storici italiani sono finalmente unanimemente arrivati alla conclusione che non era fascista. Ecco, avere cambiato questa immagine, oltre ad aver cambiato il Vittoriale in meglio, ha provocato un allargamento dei visitatori, che sono persone attirate dalla bellezza del luogo. Non direi, però, che la tipologia è cambiata: forse, l’unica differenza è che molte persone che avevano un’istintiva antipatia per il D’Annunzio politico non ce l’hanno più».
I visitatori sono consapevoli di quanto trovano al Vittoriale?
«Più o meno lo sanno: sanno che c’è una casa di estrema suggestione, perché arredata da un estate e un poeta come fu lui, sanno che c’è una nave da guerra in collina e un anfiteatro. Poi, arrivati lì scoprono che tutto ciò è di una bellezza stupefacente: 10 ettari di parco, due ruscelli e due laghi. La casa è veramente impressionante: ci sono 20mila oggetti, ognuno scelto e messo lì da D’Annunzio, con il vincolo di legge di non spostarli mai. Entrare in quel luogo è come fare un viaggio nel tempo, al 1° marzo 1938, quando il poeta morì. È di una suggestione infinita».